1.14 • CATABASI

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«Ma come è possibile?» mi chiese Gaia, tenendosi la testa tra le mani.

«Purtroppo non ho scelta» risposi.

«Ma rischi di perdere l'anno! Sei già stata assente per due mesi» disse Sara.

Certo, era vero.

Ci eravamo riunite a casa di Gaia nella speranza di riuscire a consolarla e io ne avevo approfittato per annunciare la mia prossima nuova assenza. Non sapevo quanto tempo mi avrebbe portato via la missione della Di Pietro, quindi mi era rimasto molto difficile inventare una scusa ad hoc.

Quello di cui invece ero certa era di non voler più dire bugie alle mie amiche. Non potevo dire neanche la verità, certo. La Di Pietro si era raccomandata mille volte. Ma non avrei più mentito. Avevo quindi detto loro di dover partire. Di avere un lavoro importante da svolgere. E che non avrei detto una parola in più, in proposito.

«C'è qualcosa che possiamo fare per aiutarti?» mi chiese Edera.

«No. Però ti ringrazio».

Gaia fu quella che ebbe più difficoltà di tutte a trattenere le domande. Continuò a bombardarmi per tutto il giorno finché, quasi a ora di cena, io e le altre decidemmo di andarcene.

«Sono preoccupata per Gaia» dissi, al portone. «Odio dover andare via proprio adesso».

«Ci siamo noi» mi rispose Edera, e Sara e Corinna annuirono. «Anche se, senza il tuo spietato cinismo, sarà dura convincere Gaia a tornare a scuola. Quindi torna presto. E sana e salva».

La notte seguente, qualcuno bussò alla porta della biblioteca

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La notte seguente, qualcuno bussò alla porta della biblioteca.

«Avanti» disse la professoressa, senza alzare lo sguardo da una vecchia pergamena ingiallita.

Nella penombra, sulla soglia, comparvero due figure incappucciate, una molto alta, una molto poco, entrambe molto magre. La sagoma più bassa fece un passo avanti, si tolse il cappuccio e mi abbracciò.

«Ania!» esclamò Yumi.

Poi abbracciò anche Devon, che era arrivato qualche ora prima di lei.

Avanzò anche Mario, che aveva accompagnato Yumi fino alla scuola, e tutti e cinque ci mettemmo seduti dove trovammo posto, che fosse una sedia o una pila traballante di libri.

La Di Pietro, per prima cosa, ci consegnò un anello per uno e ci invitò a infilarceli.

«Questi sono per riuscire a comunicare anche al di fuori di Tibur. Non levateveli mai, ragazzi, altrimenti non sarete più in grado di capirvi».

Era un semplice anello d'oro che io e Yumi ci infilammo al pollice, Devon all'indice.

«Bene. Detto questo, veniamo al dunque. È una cosa molto seria quella che dovete fare. Estremamente importante. Melania è già stata istruita su tutto, quindi partirete questa notte stessa. Sarà Mario ad accompagnarvi».

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