3.28 • MACERIE

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La grande statua di Cibele era lì, sul fondo di una sala oblunga e absidata quasi completamente buia. Il soffitto, altissimo e a volta, era sorretto da imponenti pilastri ai quali profonde crepe conferivano un aspetto assai instabile e che proiettavano spaventose ombre nere in quell'oscurità azzurrognola e melmosa.

La dea, alta almeno come due persone, emanava un tenue bagliore ed era stata raffigurata seduta sul suo trono con le vesti leggere drappeggiate intorno al copro e la corona in testa. Una delle sue mani era sollevata, come se fosse stata colta nell'atto di carezzare un grosso cane. O di invitare un visitatore ad avvicinarsi.

Intorno al suo collo, nera come la notte eppure, allo stesso tempo, abbagliante come un diamante colpito da un fascio di luce potente, la collana a cui mancavano due pendenti.

«Uscite fuori e aspettate con Genevieve» ordinò Kirk ad Agenore e i gemelli, che sembravano troppo sconvolti persino per parlare e che, quindi, ubbidirono senza remore.

Io e Daniel, invece, ci incamminammo dietro di lui.

«È la Magna Mater» disse Kirk, una volta giunto ai piedi della statua. «La dea della creazione e della distruzione».

«Aspetta un attimo qui» dissi a mio fratello, che annuì.

Raggiunsi Kirk e mi posizionai accanto lui. L'impressione che stesse vivendo un conflitto era più che un timore: era qualcosa che riuscivo a percepire. Sapevo che il suo istinto, i suoi trascorsi e la sua natura di Incendiario lo avrebbero potuto facilmente spingere ad assaltare la statua, appropriarsi della collana e usarla per compiacere la sua brama di potere. Brama di potere che lui, in realtà, non aveva. Era la vicinanza di quella pietra a cambiarlo in quel modo.

«O forse tira solo fuori il mio vero io» sussurrò.

«Come hai detto?» sobbalzai, stupita.

«Posso leggerti la mente» disse. «Te ne sei accorta? I nostri poteri sembrano triplicati, in questo posto».

«Bene» provai, incerta, «è quello che ci serve».

«Sì» confermò. «Quello che mi serve».

Quelle parole mi gelarono il sangue. Chiusi gli occhi qualche istante. Non poteva essere. Tutto era filato secondo i piani. Eravamo riusciti ad aprire il portale e la pietra nera, il Lapis Niger, era a una manciata di metri da noi. Aprii gli occhi, percependo un movimento al mio fianco.

Kirk, voltando le spalle alla dea, si ergeva proprio davanti a me, nero contro la flebile luce emanata dalla statua.

«Alastor lo sapeva. Sapeva che io e te, insieme, avremmo potuto conquistare il mondo» sibilò.

No, no.

«No, Kirk» dissi, terrorizzata e, con il pollice tremante gli ripulii il labbro inferiore dal sangue di mio fratello. «Non è quello che dobbiamo fare e non è neanche quello che voleva Alastor. Noi useremo la pietra per sconfiggere i Reazionari, istituire un senato e ottenere la parità dei diritti per...»

Kirk buttò indietro la testa e scoppiò a ridere.

«Fanculo il senato» tagliò corto. «Fanculo la parità dei diritti».

«No» insistetti, anche se cominciavo a sentirmi le gambe molli. «Noi non siamo come loro».

«Certo che siamo come loro» sogghignò.

«No, per favore» lo implorai, aggrappandomi alle sue braccia. «Non abbandonarmi ora».

«Sei tu che stai abbandonando me, veramente. Io non ti abbandonerei mai. Sei la nipote di Alastor, sei un Vendicatore e poi...» si chinò per parlami nell'orecchio, «...scopi benissimo».

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