3.37 • IL DETENTORE DEL BRACCIO DELLA BILANCIA

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Immobilizzai Nerissa e Hans sbattendoli contro la parete rocciosa crepata e, senza fretta, mi occupai di tutti gli altri. Il Pontifex, purtroppo, non c'era più. Doveva essersela già data a gambe. Ma avrei trovato anche lui. Prima, però, mi sarei occupata di loro. Ignobili esseri viventi in bianco, facce che avrei dimenticato, nomi che non avrei mai pronunciato.

Andrete giù dopo di lui.

«Fermati! Maledetta!» mi urlò Nerissa mentre i suoi compagni, uno dopo l'altro, attendendo in fila indiana il loro turno, scavalcavano il parapetto per saltare nella cascata e morire.

La Strige si manteneva in aria battendo le ali e io, dalla mia postazione privilegiata, riuscivo a vedere l'intera valle e la furiosa battaglia che vi stava impazzando. Ma, volgendo lo sguardo verso ovest, in direzione di Roma, vedevo anche dell'altro. Un'ombra nera si stava allargando a macchia d'olio sotto la coltre di nuvole bianche, oscurando il cielo. Stavano arrivando altre Creature volanti. Creature che, senza indugio né remora alcuna, sarebbero state scagliate contro di noi.

Quando anche l'ultimo Reazionario si fu lanciato di sotto, in silenzio, buttai un'occhiata al piazzale innevato striato di sangue nel quale ormai erano rimasti solo i miei amici, oltre a qualche cadavere.

«Ania» pianse, Yumi, alzando la testa per guardarmi.

«Avanti, fallo!» urlò Nerissa, ancora appiattita e immobilizzata contro la roccia. «Fa' buttare di sotto anche noi, se hai il coraggio!»

Condussi la Strige, lentamente, fino a raggiungerla.

«Ti piacerebbe» le sussurrai, mentre lei voltava di lato il volto che il becco della Strige stava lambendo con lussuria.

Hans, talmente schiacciato contro il muro che sembrava non essere in più grado neanche di respirare, aveva iniziato a implorarmi.

La Strige aveva dischiuso il becco e ne era fuoriuscita una lingua mostruosa, con la quale stava iniziando a pregustare Nerissa.

«Ha fame» sibilai.

«No... non farlo» biascicò Nerissa.

Brava. Era quello che volevo sentire. Volevo sentirla supplicare.

«Tu non...» bofonchiò. «Abbi pietà».

Fissai per qualche istante la sua brutta faccia da cavalla rigata di lacrime.

«Va bene» dissi, poi mi rivolsi alla Strige. «Decidi tu se merita di vivere o morire».

Lei dimenò le ali un paio di volte, poi stridette in modo orribile e indietreggiò, lasciando a Nerissa lo spazio di tirare un lungo sospiro di sollievo.

«Io... saprò ricompensarti» disse.

E furono le sue ultime parole.

La Strige affondò il becco nel suo torace, trapassandola da parte e parte, come se l'avesse odiata per una vita intera. Quando lo sfilò, Nerissa gorgogliò un urlo strozzato affogato nel sangue e si accasciò a terra.

«Ha fame» ripetei, smontando dalla sua groppa.

Nerissa allungò una mano verso di me, forse nel tentativo di attaccarmi, forse come supplicava estrema. Non aveva alcuna importanza, ormai.

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