3.34 • UN'ULTIMA VOLTA SOLTANTO

Depuis le début
                                    

Il secondo confronto da cui non potevo più scappare era quello con mio padre. Una persona discreta e defilata ma che aveva avuto un ruolo gigantesco in tutta quella faccenda e che doveva fornirmi ancora molte risposte.

«Benvenute» ci disse Clio, aprendo la botola sopra le nostre teste.

Una sottile e impalpabile foschia di incertezza si era ormai diffusa su tutta Tibur, avviluppando ognuno di noi e facendo sì che tutte le nostre mosse, persino le più banali, sembrassero un azzardo. Anche un passo brevissimo, mosso al buio, avrebbe potuto farci precipitare in un baratro oscuro. L'acropoli, tuttavia, conservava quella sua innaturale quiete statica. Nel cielo brillavano le stelle e la temperatura era mite e gradevole nonostante la valle sottostante fosse completamente ghiacciata e ricoperta dalla neve.

Un attimo prima di lasciare il Tempio di Vesta insieme a Yumi mi fermai e mi tastai il viso con le dita.

«Va già molto meglio, sai?» mi disse la mia amica. «Non sono più gonfie come ieri».

Non avevo coraggio di proseguire. Le circostanze mi avevano piegata e ferita nel profondo ma, allo stesso tempo, avevano fatto sì che trovassi la forza di sopravvivere a tutto ciò che mi era capitato negli ultimi giorni: assistere a quello spettacolo orribile al Colosseo, stringere Agenore tra le braccia. Guardare Kirk negli occhi. Ma non mi sentivo ancora abbastanza audace per mostrare a tutti cosa lui mi avesse fatto.

«Ragazze».

Immanuel era lì, davanti a noi. Con i lunghi capelli biondi mossi appena dalla brezza e lo scudo bilobato legato sulla schiena.

«Che ci fate qui? Come siete entrate?»

«Ania ha scoperto che i Reazionari hanno dalla loro parte Creature di ogni sorta di cui dispongono a loro piacimento e teme che possano tentare di attaccare l'acropoli» rispose Yumi, parlando tutto d'un fiato. «Volevamo avvisarvi».

«Capisco» rispose lui, e aggrottò leggermente le sopracciglia quando incrociò il mio sguardo.

«Signor Vanhanen...» dissi, ma poi dovetti trattenermi. Avrei avuto fin troppe cose da dirgli. Sui suoi figli, su suo nipote e, soprattutto, su suo fratello.

«È notte fonda» disse Yumi, dopo avermi lasciato qualche attimo per terminare la frase. «Domani arriveranno i rinforzi, il nostro esercito, e ci uniremo a loro. Possiamo restare qui, nel frattempo?»

«Per nessuna ragione al mondo l'ordine degli Equites negherebbe l'ospitalità alle figlie di Kento e Gabriel» rispose. «Ci mancherebbe altro. Vi accompagno alla Casa degli Equites».

La figlia di Immanuel, invece, pare abbia trovato ospitalità altrove, pensai, ma decisi di tapparmi la bocca.

«Grazie, signore» sussurrai, «accompagni Yumi. Io devo parlare con mio padre e con Reijiro».

«Va bene» concluse, poggiando una mano sulla spalla di Yumi. «Sono entrambi di ronda nella foresta».

Non insieme, sperai. Perché se anche avessi potuto parlare con mio padre in presenza di Rei, di sicuro non avrei voluto parlare con Rei in presenza di mio padre. Così, quando scorsi in lontananza nelle tenebre la figura bionda di Gabriel, inspirai a fondo e la aggirai. Avevo da fare qualcosa di più urgerete, nonostante tutto. Allo stesso modo, evitai con discrezione ogni altro Equites finché non mi fui ritrovata a ridosso delle mura di cinta.

Rimasi a osservare i due pietroni addormentati che, silenziosamente, sorvegliavamo l'uscita murata e mi ritrovai a sorridere. Erano grossi e imponenti ed erano abbigliati ed equipaggiati come due Equites severi. Ma io sapevo bene quanto, in realtà, fossero spassosi.

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