3.25 • ESSERE UN GENIO È BELLISSIMO

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«Ehi, Kirk» dissi, lasciandomi cadere accanto a lui sui cuscini davanti al camino a forma di testa di Minotauro.

«Ania» sospirò. «Sono andati via tutti? Va' a riposarti anche tu».

«Non potrei mai» dissi. «Sono troppo elettrizzata».

«Ah sì? Credevo fossi delusa, vista la penosa assenza di spargimenti di sangue».

«Sì, è mancato un po' di pepe alla serata, in effetti» risi. «Ma, Kirk... sei riuscito a convincere tutti».

«Tutti tranne il Pontifex» mi corresse.

«Chi se ne frega del Pontifex» tagliai corto, allungando le braccia e le gambe per stiracchiarmi. «Sono tutti dalla nostra parte. Non potrà niente contro di noi lui che è un uomo solo».

«Un uomo solo con lo scettro di Priamo e con l'esercito sotto il suo comando».

«Un uomo solo con lo scettro di Priamo e l'esercito sotto il suo comando che tutti hanno visto fuggire via come un vigliacco rifiutando la decisione della maggioranza» precisai. «Ormai si è mostrato per quello che è e non sarà più possibile per nessuno tornare indietro».

«Ma non sarà possibile neanche andare avanti, finché il Pontifex e i Reazionari non saranno sconfitti».

«Dai, Kirk» dissi, afferrando la bottiglia del vino e versandone un bicchiere per ognuno. «Guarda che sei stato grande. Enea sarebbe fiero di te. E anche io lo sono».

«Sono stato nervosissimo per tutto il tempo» ammise, trangugiando una generosa sorsata di quel vino che non aveva toccato per tutta la sera. «Non si è notato?»

«Per niente» risposi, stupita. «Sembravi sicurissimo di te stesso e perfettamente calmo».

E maledettamente attraente. E io ho dovuto reprimere per tutta la sera l'istinto di saltarti addosso.

«Menomale» disse, sollevato. «Temevo di fare la figura del ragazzino idealista».

Il suo ruolo all'interno della comunità dei geni non cancellava il fatto che fosse, in fondo, solo un ragazzo di venticinque anni con tutto il suo bagaglio di ansie e insicurezze che tanto era abile a celare dietro una invidiabile padronanza di linguaggio e un'acuta ironia.

«Non c'è niente di male a essere idealisti, comunque. Anzi» dissi, girandomi verso di lui. «Non mi avevi detto niente dei sine imperio né della tua idea di istituire un senato».

«Anche io, alcune volte, perdo di vista l'obiettivo» rispose, prendendo le punte dei miei capelli tra le dita; quel misurato contatto era il nostro contatto. «E l'obiettivo è ottenere parità di diritti per tutti».

Che era un signor obiettivo, se proprio avessimo voluto stare a sindacare in merito. Ma io, in quel momento, non mi sentivo né in grado né in vena di farlo.

«Non sapevo che anche Ionascu fosse sfregiato» disse poi, attorcigliandosi una ciocca dei miei capelli intorno all'indice. «Non che la sua cicatrice sia paragonabile alla mia. Quella povera bambina avrà gli incubi, stanotte».

Che le due cicatrici non fossero paragonabili non c'era dubbio. Ionascu aveva un taglio profondo che gli attraversava la guancia sinistra dallo zigomo fino al mento. Una cicatrice dai margini precisi e puliti, quasi chirurgici. Niente a che vedere con quel confuso groviglio di cunicoli che sembrava essere stato scarabocchiato sul viso di Kirk da un bambino inferocito e che occupava, inevitabilmente, la quasi totalità della percezione di chiunque lo guardasse. Io stessa avevo sempre evitato di fissare troppo a lungo la metà deturpata del suo viso ma, in realtà, non avevo mai pensato che fosse qualcosa da nascondere, da non guardare o, ancora peggio, da non mostrare.

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