3.8 • GRAPPA DELL'ACROPOLI

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«Che è successo ieri sera?» mi domandò Yumi, il giorno seguente, nello spogliatoio, alla fine di un allenamento di harpastum particolarmente cruento. «Pensavo che Onii-chan si fermasse a dormire da te».

A scuola ero riuscita a evitarla per tutta la mattina, poi ero arrivata appositamente in ritardo allo stadium per non doverla incrociare nello spogliatoio; dopo l'allenamento avevo finto di dover parlare con Ionascu sperando che lei, nel frattempo, se ne andasse con quella dannata Nozomi. Ma niente, era riuscita a intercettarmi comunque. Si era già fatta la doccia e cambiata e mi aveva aspettata a braccia conserte sulla porta dello spogliatoio.

«Si è incontrato con mia madre sulla porta» risposi, entrando nella doccia. «E lei non avrebbe mai acconsentito».

«Ha detto che si fermerà qualche giorno, comunque» disse. «Avrai modo di vederlo».

«Certo. Se non ci fosse questo schifo di harpastum sempre di mezzo».

«Vieni a cena da noi» propose Yumi.

Avevo l'impressione che la possibilità che potessi allontanarmi da suo fratello la terrorizzasse. Tuttavia, non riuscivo a capirne il motivo.

«Va bene, grazie» acconsentii, perché il desiderio di vedere Rei e di confrontarmi finalmente con lui era superiore all'intolleranza che avevo sviluppato nei confronti di Yumi.

Nozomi, il tronco di pino, era rimasta lì impalata per tutto il tempo, senza dire una parola.

«Vieni anche tu?» le chiese Yumi.

«Perché deve venire anche lei?» domandai, prima di riuscire a trattenermi.

«Ania!»

«No, ha ragione» intervenne Nozomi, con un filo di voce. «Già mi sono fermata a dormire anche ieri...»

Mi tirai indietro i capelli bagnati, chiusi il rubinetto della doccia e alzai lo sguardo su di lei.

«Hai dormito da Yumi stanotte?» domandai, avvolgendomi nell'asciugamano.

«Sì» rispose, a disagio. «Sì, lo avevamo già deciso... poi quando è arrivato Reijiro-kun...»

«Quando è arrivato Reijiro-kun?» la incalzai, iniziando a sentire la gola secca. Era un principio di sete. La mia.

«Niente» tagliò corto Yumi. «Abbiamo chiacchierato un po' e poi siamo andati a dormire».

«Ah, avete chiacchierato» sibilai.

«Era molto tempo che Nozomi e Onii-chan non si vedevano, quindi...» si interruppe, perché sapeva bene che non esisteva quindi che potessi ritenere accettabile.

«Bene» conclusi, dopo un attimo di silenzio. «Ora mi vesto e andiamo».

E andammo.

Per quanto mi sforzassi di apprezzare la dedizione di Yumi, sempre pronta a prodigarsi per fare in modo che la mia relazione col fratello andasse a gonfie vele, avrei preferito passare la serata solo con Rei, piuttosto che con Yumi, Nozomi e Takeshi. Perché Yumi, inspiegabilmente, aveva deciso che quella sarebbe dovuta essere una rimpatriata. Io avevo bisogno di parlarci, di baciarlo, di infilarmi sotto le coperte con lui. Erano passati mesi dall'ultima volta in cui l'avevo visto. Mesi. Avevo bisogno di lui, di affondare il viso nei suoi vestiti e respirare l'odore di fumo, di rivivere lo stesso fremito che le sue mani mi avevano provocato quella notte alle terme.

Però, tutto sommato, vedere Rei così sereno, in qualche modo, mi rilassava. C'era una parte di me che, in fondo, si sentiva sollevata nel rendersi conto che la sua felicità non dipendesse esclusivamente da me. Perché Rei aveva delle colpe, se così si potevano chiamare, ma anche io ero una pessima fidanzata. E non solo perché, la sera prima, mi ero fatta beccare tra le braccia di un altro. E neanche perché, avendo sempre i minuti contati, avevo deliberatamente deciso di lasciare Rei al di fuori di alcune faccende e di alcuni pensieri che, invece, avrei dovuto condividere con lui. Ma anche perché, più di una volta, mi ero interrogata se intrecciare una relazione con Eques fosse stata davvero la scelta giusta. E, nonostante non fossi mai arrivata a mettere in dubbio il nostro rapporto o la portata dei miei sentimenti per lui, la cosa mi faceva sentire in colpa lo stesso. Ero stata io a voler stare con lui a tutti i costi. Nonostante mi avesse avvertito che sarebbe stata dura, avevo insistito finché lui non aveva ceduto. Non avevo alcun diritto di nutrire dei dubbi, a quel punto. Non se lo meritava.

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