2.25 • CONTO ALLA ROVESCIA

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«Non mi fido di Immanuel» sussurrai. «Ho avuto una visione quando sono stata attaccata dai lemuri».

«Che visione? Che cosa hai visto? Perché non me lo hai mai detto?» sparò a raffica, prendendomi per i polsi.

«L'ho raccontato solo a Devon» risposi, mortificata. «Non è stata una visione chiara. L'ho visto e ho provato un odio profondo per lui. Tutto qui. Non te l'ho detto perché c'era ben poco da dire. E perché mi sembrava che i Vanhanen non fossero esattamente il tuo argomento preferito».

«Avresti dovuto dirmelo lo stesso!» rispose, a voce troppo alta.

«Scusami» tentai. «Però, comunque, Rami non c'entra niente. È una persona buona. Viene sempre escluso dal rapporto simbiotico dei fratelli ed è costretto a sopportare i maltrattamenti di Taide e degli altri stronzi come lei. Non è da te infierire su un ragazzo già così solo, Yumi».

La stavo sparando un po' a caso. Cioè, erano tutte sensazioni che avevo avuto realmente. Nella manciata di settimane in cui lo avevo conosciuto. Però, evidentemente, ci avevo azzeccato. Perché Yumi non replicò, ma anzi si ammosciò come un palloncino sgonfiato tutto insieme.

«È vero, non è da me» ammise. «Ma la sua faccia... mi dà così fastidio... non riesco a trattenermi».

«Lo capisco ma dovrai fare uno sforzo» le dissi, cercando di sembrare rassicurante. «Sono sicura che ci riuscirai».

«Ci sbraniamo questa torta, insomma?» propose Devon. «E nel frattempo mi raccontate cosa è successo al tetto di casa di Ania».

«Portala di là. Non farla cadere, mi raccomando» gli rispose Yumi, che poi si voltò verso di me: «Ania, io prendo i bicchieri e lo spumante. Tu porta i piatti puliti».

«Va bene» risposi, e mi diressi verso la credenza.

Però, non appena Yumi e Devon ebbero lasciato la cucina, un tonfo alle mie spalle mi fece sobbalzare. Riconobbi quel rumore: l'avevo già sentito al Lapis Niger.

«Kirk!» gracchiai, trovandomelo davanti. «Sei impazzito? Cosa ci fai qui?»

Senza dargli il tempo di rispondere lo afferrai per le spalle e lo spintonai dentro lo sgabuzzino.

«Ania?» mi chiamò Yumi, riaffacciandosi alla porta della cucina. «Hai fatto cadere qualcosa? Ho sentito un botto».

«No, no. Tutto bene!» risposi. «Arrivo subito!»

Tornai ad aprire la porta dello sgabuzzino, entrai a mia volta e mi chiusi dentro con lui.

«Devi andartene subito» starnazzai, accendendo la luce, una lampadina che penzolava da un filo volante. «Abbiamo ospiti a cena. C'è anche una mia compagna di classe Venator».

«Uhm, interessante. Hai pensato di fraternizzare anche con qualche Reazionario, già che c'eri?»

«No, ma ti assicuro che per la gente di là trovarsi seduto al tavolo con un Reazionario sarebbe meno sconvolgente che trovarsi faccia a faccia con te».

«Non ne dubito» rispose. «Questo conferma che frequenti la gente sbagliata. Aspetterai la mezzanotte con loro?»

«No. Andranno tutti via prima».

«Allora aspetterò qui dentro che se ne siano andati tutti» disse, e si issò a sedere sulla madia che Kumiko usava come dispensa di riserva. «Così a mezzanotte starò con te».

«Kirk» sospirai, in ansia.

Se non mi fossi sbrigata a tornare in sala Yumi sarebbe venuta a cercarmi. E neanche nella mie fantasie più sfrenate avrei potuto immaginare la sua reazione se mi avesse trovata chiusa nello sgabuzzino di casa sua con lui.

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