Disamore

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"Lo sai cos'è a renderti così bella?"
Le cicatrici.
Quei tagli che porti cercando di nascondere in tutti i modi.
Quelli raccontano più di mille parole.

Sentivo le sirene vicino a me e una coperta avvolgermi le spalle, le voci di quelle persone che mi giravano in torno non le sentivo, era un suono ovattato per nulla netto e sicuro e io mi sentii destabilizzata dal freddo che faceva.

Mi facevano domande ma mi era impossibile rispondere. Balbettavo tremolante dal freddo sentendomi tremendamente bagnata.
Guardavo l'acqua mentre i sommozzatori cercavano, mi sembrava che quel lago avesse appena risucchiato sogni e ricordi, insieme a lui portandoli nella profondità delle acque.

-Elizabeth!-
La sua voce.
Bastò quella parola per risentire tutto e la realtà tornò come uno schiaffo, uno di quelli che ti tirno per umiliarti e la botta e talmente forte che le lacrime ti salgono su con prepotenza.
E tu non puoi fare altro che stare ferma ed è ipossibile rimanere con un espressione storica.

-Papà!-
Gridai girandomi di scatto con la voce spezzata e frstornata da mille idee che mi ingombravano la testa.
Mi venne vicino e mi immobilizzai dalla vista dei suoi occhi azzurri dietro le spessissime lenti degli occhiali.

Le sue braccia mi avvolsero in un abbraccio disperato, che conteneva uno dei più calorosi degli addì.
La sua mano lassava sui miei capelli tremando e sendivo le sue lacrime bagnarmi il volto.

-non e colpa tua non e colpa tua-
Continuava a ripetermi cercando di essere forte.
-signor Parker-
Mio padre alzò la testa e in tremito di gelo e brividi si stacco da me.
-dovremmo fare delle domande a sua figlia-

E in un momento al altro mi ritrovai al distretto di polizia, c'ero solo io, mio padre non lo lasciavano entrare e mi sentii a disagio non ci capivo piu niente.
Le immagini mi ritornavano alla mentre con prepotenza ma erano pezzi disparsi e incoerenti. Come pezzi di un puzzle non acora completo.

Il poliziotto era davanti a me con uno sguardo severo continuava a farmi donande, ma io non riuscivo a sentire il suono dei freni della macchina sul asfalto era troppo assordante per poter sentire altro.
Il rumore dello sparo e lo schianto.
Con occhi sgranati lo guardai atterrita e deglitii.

-Fatemi entrare!-
Urlò mio padre dimenandosi tra le braccia degli uomini che lo tenevano.
-Signore...-
Sospiro il poliziotto guardando mio padre e vidi la sua espressione fredda priva di calore e sentimento, come se fossero occhi di vetro di una bambola.
Inermi.
-lei è mia figlia...e ha solo sette anni-
Anche se avevo la faccia girata potevo sentire che era in lacrime, la disperazione nella sua voce si udiva da lontano in un modo da spezzarmi il cuore.
-lei non dirà altro, la macchina ha sbandato ed è andata a finire nel lago tutto quí-

Disse con un tono abbastanza infastidito ed io mi feci più piccola nella mia sedia dove ero seduta stringendo spalle e gambe.
Sarei mai riuscita a dire la verità?


Quella mattina mi svegliai in un modo molto brusco.

I sogni continuavano a cercarmi ogni notte e non mi davano mai tempo per svegliarmi così che io non potessi rivivere quei ricordi. Ancora, ancora e ancora...

Non mi bastava svegliarmi per dichiarare che fosse tutto finito, no.

Perché il giorno riuscivo a tenerli a bada ma la notte prendevano il sopravvento, stringendomi la gola e graffiandomi il cuore fino alle lacrime.

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