2.19 • TIZIO, CAIO E HARPASTUM

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«Questa è una cosa che stai dicendo tu» dissi, e lei alzò uno sguardo attonito su di me. «Noi? Noi chi? Mi hai mai chiesto, effettivamente, da che parte sto?»

«Ho dato per scontato che stessi dalla parte di tuo padre, di Reijiro e dei tuoi amici» ringhiò. «Ho sbagliato?»

Aveva sbagliato? Dovetti prendere un respiro o due.

No, certo che no. Io ero dalla loro parte. Di mio padre, di Rei e dei miei amici. O, per lo meno, lo sarei stata nei giorni seguenti. Quella sera avevo bisogno d'altro. Quella sera avevo bisogno della Setta.

«Dove stai andando?» mi urlò mia madre.

«Dove mi pare» risposi, prima di sbattermi la porta alle spalle.

«Dove mi pare» risposi, prima di sbattermi la porta alle spalle

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«Dove sei andata, ieri sera?» mi chiese Yumi.

«A farmi un giro» risposi.

«Fate silenzio» abbaiò Ionascu. «E mettetevi in fila».

Ci aveva costretti a scendere nel cortile del Collegium e, da lì, ci aveva fatto attraversare tutta Villa Adriana per condurci fino allo stadium, un'area adiacente al Pecile. Non ci ero mai stata prima. Allo stadium si svolgevano alcune gare di atletica, di tanto in tanto, che comunque non interessavano a nessuno. Il solo sport degno di seguito, per i Superbi, era l'unico su cui potevano fare scommesse: le corse con le bighe.

Era comunque un ambiente gradevole. Non dissimile dall'ippodromo, solo più piccolo, con meno giri di gradinate e sprovvisto della ingombrante presenza della colonna con la quadriga di terracotta e della sua ombra incombente.

Ionascu ci aveva costretti a indossare quelle stesse orripilanti strisce di tessuto con cui ci si faceva il bagno alle terme, poi ci aveva convocati in pista, un piazzale di pozzolana, dove, mezzi nudi e mezzi congelati, stavamo tutti aspettando che parlasse.

«Sono preoccupata per te» sussurrò ancora Yumi. «Dopo quello che è successo a Devon, se dovessi levarti di testa anche tu...»

«Devon non si è levato di testa» ribattei.

«Lo so, lo so, ho capito. Però...»

«Mei e Nakamura» tuonò Ionascu. «Visto che avete così tanta voglia di chiacchierare, fate un passo avanti».

Ubbidimmo e quindi, riluttanti, avanzammo di un passo. Era proprio la postazione perfetta per consentire a tutta la classe di ammirare il mio sedere strizzato in quella specie di orribile perizoma bianco.

I due Venatores della classe erano in piedi al suo fianco: Jacopo tronfio e impettito, con il petto nudo pieno di peli neri, e Roze, bianca come un cencio, ingobbita e più derelitta che mai.

«Il vostro chiacchiericcio è talmente fastidioso che non esiterei a scagliarvi una contro l'altra in un corpo a corpo» disse Ionascu. «Purtroppo, però, per oggi ho altri programmi. Chi di voi ha mai sentito parlare dell'harpastum?»

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