Capitolo 40

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Alexa

-Sicura di stare bene?-
Lancio un'occhiataccia a Jules nella speranza che ponga finalmente fine alle sue domande sulla mia salute.
No che non sto bene.
23 frustate.
Una per ogni minuto in cui l'ho fatto attendere.
Jason si è sempre divertito a inventarsi questi piccoli collegamenti tra punizione e colpa. Lo fa sentire giusto, forse anche magnanimo.
Ho provato a resistere oltre la nona, ma già alla decima urlavo per il dolore. Alla sedicesima ho iniziato a piangere. E più sentivo i miei singhiozzi strozzati, più mi odiavo per non aver abbastanza autocontrollo, e più mi detestavo, più le lacrime scendevano copiose.
Come il sangue lungo la mia schiena, del resto.
Era come se mi stesse strappando la pelle a forza, maciullandomi come se fossi un animale.
E a ogni frustata speravo che fosse l'ultima, aspettavo di non sentire più la cinghia della sua cintura sul corpo, ma quello stronzo lo sapeva. Alcune volte si fermava, forse tra sé e sé si diceva che era per darmi fiato, ma la verità era che voleva che credessi che avessimo finito.
Non l'ho mai supplicato però.
Urlavo, piangevo e stringevo i pugni, ma non gli ho mai chiesto di smetterla.
Ho aspettato, resistito fino a quando il mio respiro affannato è rimasto l'unico suono nella stanza, e il guizzo della cintura solo un ricordo.
Il suo silenzio non faceva altro che stringersi intorno alla mia gola, già lacerata e affaticata dal pianto.
Per qualche minuto nessuno dei due si è mosso: lui è rimasto a guardare il suo capolavoro e io a raccogliere i pezzi di quello che aveva combinato.

Poi, ha iniziato a girarmi la testa.
Anche se stavo ferma, in ginocchio, con il busto crollato sul materasso.
Il dolore, le guance bagnate, la voce di Jason, sembrava tutto ovattato, per nulla reale.
Il mio istruttore, il mio carnefice, ha cercato di impedirmi di perdere i sensi. Mi ha tenuto sveglia tutto il tempo della medicazione, non mi meritavo nemmeno un secondo di sollievo dal bruciore delle ferite.
Ogni volta che sfiorava la mia schiena era come se stesse continuando a frustarmi, come se non avesse mai smesso.
Sentivo le vecchie cicatrici ardere insieme alle nuove, come fuoco vivo.
Le stesse mani che prima si accanivano contro di me, adesso si prendevano cura del mio corpo in modo meticoloso: pulivano, coprivano e disinfettavano ogni centimetro di pelle vittima della sua rabbia.
Dopo avermi avvolto il busto con le garze mi aveva raccolto da terra facendo attenzione a non premere sulle ferite. Anche se c'era la fasciatura, lui sembrava ricordarle già a memoria. Una volta stesa sul fianco tra le lenzuola che io stessa avevo spiegazzato durante la punizione, avevo cercato di chiudere gli occhi e dimenticare quello che era accaduto.
-Mi dispiace per aver dubitato di te- aveva sussurrato contro la mia fronte, stringendomi per le gambe. Non avevo la forza per rispondere, per ricambiare o oppormi ai suoi gesti, così ero costretta a lasciare che lui rimanesse abbracciato a me.
Forse avremmo fatto sesso se fossi stata nelle condizioni, se lui fosse stato più spietato, perché potevo sentire la sua eccitazione sotto i vestiti. So bene che il potere che esercita su di me è il carburante della nostra relazione; per questo ho insistito per essere punita.
E so anche che una parte di lui ha desiderato continuare a picchiarmi per nutrirsi delle mie urla.
La parte di lui che conosco meglio in assoluto, quella che comunica solo attraverso la violenza: quella che mi prende per la gola per dirmi che ha paura che me ne vada e con le frustate ammette che ho ragione.
So poco, pochissimo, dell'altra parte di lui: quella che mi stringe evitando le ferite, che asciuga le mie lacrime e che continua a sussurrarmi che gli dispiace. Non so a che cosa si aggrappi questo lato di lui, che cosa lo tenga in vita. Il primo è legato agli istinti più bassi della sua natura, viene alimentato fin troppo spesso.
Ma questa altra parte è troppo fragile per essere sopravvissuta per tutti questi anni. È tutto ciò che gli ha impedito di approfittarsi di me mentre ero semicosciente tra le sue braccia. Ha continuato ad accarezzarmi con delicatezza, a dirmi che il dolore sarebbe passato. Il suo cuore batteva all'impazzata, così irrequieto, in contrasto con i suoi gesti calmi che mi hanno accompagnato fino a quando non mi sono addormentata.
Entrambe le parti di lui mi amano allo stesso modo.

Progetto 27|| Broken SoulWhere stories live. Discover now