Capitolo 33

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Drew

Mi lascio scappare uno sbuffo infastidito.
Ho sbagliato ancora.
Ripeto il passaggio più e più volte, ma anche se adesso ho acquisito maggiore sicurezza, c'è sempre qualcosa che sfugge al mio controllo.
La melodia viene spesso interrotta da un mio errore di distrazione, e in fretta tutto il clima che ho costruito si infrange tra le mie stesse mani.
Quando ritento per l'ennesima volta, le dita che non mi hanno mai ostacolato ora sembrano essermi d'intralcio. Scivolano via dalle corde, dimenticano le posizioni e pizzicano il mio strumento in modo disattento, quasi volessero fargli male.
Mi lascio cadere sulla sedia, esausto.
È inutile.
E se non fossi in grado?
Quasi mi viene da ridere al pensiero di non riuscire ad eseguire delle note che io stesso ho messo in fila sul pentagramma.
Non è nemmeno necessario che io legga per riuscire a suonare questo brano, ricordo ogni battuta. Sono tutte nate dalla mia penna ieri notte, mentre ero in preda all'insonnia. Non so dire se a tenermi sveglio siano state le emozioni che custodivo nel petto, o le lunghe ore di sonno che ho trascorso con Nicholas.
Ripenso al mio corpo irrequieto, infastidito dall'abbraccio delle coperte.
E ogni volta che provavo a chiudere gli occhi, mi ritornavano in mente gli avvenimenti del pomeriggio: Margaret e la sua intromissione nella mia vita privata, le spalle di Nick che si allontanavano senza che io potessi fare nulla, i postumi della sbronza.
Ogni volta che una di queste immagini si ripresentava, venivo colto da una stretta al petto, come se potesse consumarmi dall'interno.
Ho fatto un casino.
E se credevo di risolverlo componendo una canzoncina in una notte, mi sbagliavo.
Dovrei andare a parlare con Nicholas, chiedergli scusa per come mi sono comportato, e non torturare questo povero violino.

Getto via gli spartiti che ho imbrattato con questa terribile idea, quasi la loro vista potesse far tornare il malessere della sbornia.
Forse non volevo veramente finire quel brano, in fondo sapevo che non sarebbe mai stato all'altezza.
Ormai non ha importanza.
Eppure non abbasso lo strumento, lasciandolo invece a riposo sulla spalla.
Dentro di me si fa largo un senso di nausea solo al pensiero di come mi sono comportato con Nick.
D'un tratto l'archetto torna sulle corde, accarezzandole con tenacia, seppur lentamente.
Quello che era partito come un insulso brano di scuse, si ripropone come lo sfondo del mio tormento.
Tutti quei virtuosismi che rendevano stucchevole la composizione precedente sono spariti, lasciando spazio solo a una verità malinconica.
Cerco di mantenere un ritmo duro, serrato, come il nodo alla gola che non riesco ad alleviare. La melodia deve essere lenta, ma senza mai lasciare un attimo di pausa, non ci può essere nessun momento di sollievo.
Mi dispiace.
Sono un idiota.
Sarei dovuto rimanere.
Le mie dita saltano da una corda all'altra in modo frenetico, istintivo. Più mi immergo nei miei pensieri, più le note si susseguono al ritmo delle mie idee, una dopo l'altra formano il caos che mi attanaglia.
Vorrei tanto lasciarmi andare in questo modo anche con te.
Senza che niente mi freni.
Non c'è nessuno schema, nessuna composizione già scritta, lascio solo che mie mani mi guidino verso un brano che non sapevo di aver composto.
È da quando ci siamo conosciuti che ho iniziato a vederne le note.
Il nostro primo incontro
Proprio nel giardino che la finestra mostra appena.
Si bemolle.
Rivedo i fiori vivaci, le rose contro cui Nick si è scontrato; pizzico le corde con cura, quasi potessi ritornare a quel giorno. I miei polpastrelli prendono e lasciano le corde in fretta, riproponendo il lieto sbocciare della natura.
A quel tempo non avevo idea che quel ragazzino sarebbe diventato così importante per me. Come adesso non ho idea dello sviluppo di questo brano.
La prima volta che gli ho preso la mano.
La composizione cambia ritmo, la svolta è piuttosto evidente. Improvvisa come il mio gesto.
Mi bemolle.
Eseguo un bariolage senza difficoltà, non per virtuosismo: non ho bisogno di dimostrare a nessuno che sono bravo, mi è solo sembrata la scelta giusta.
L'archetto cambia direzione ad ogni nota, senza mai staccare i crini; mi ricorda quel giorno.
Le corde cambiano continuamente, ma lo strato di crini rimane saldamente attaccato ad esse, come in un detaché.
Qualsiasi nota, qualsiasi movimento delle dita, loro rimangono lì.
E anche quella volta io non avrei lasciato la presa per nulla al mondo.
Il brano prende ancora una volta una sfumatura diversa mentre io scatto in fretta da una posizione all'altra per non perdermi nessuna delle note che sento echeggiare nella mia testa.
Quando gli ho tagliato i capelli.
Quel breve momento intimo che rischiava di ridurlo calvo.
Do.
Spiccato. Prima controllato, poi non più. Lascio che l'archetto rimbalzi spontaneamente sulle corde tese.
Il suono impreciso e sfuggente si fonde con l'immagine dei suoi capelli biondi sul pavimento.
Li vedo cadere al ritmo della mia melodia.
Quando ho dovuto dirgli che i suoi genitori lo avevano dato in affidamento.
Sol diesis.
Rallento il ritmo, turbato da questo ricordo. Ancora oggi non so dire se ricevere la notizia da me, da uno sconosciuto, sia stata la migliore delle condizioni.
Ho una famiglia, una madre, Brian, non posso sapere che cosa significhi sentirsi abbandonato, non il quel senso. Cerco di colmare i vuoti con la musica, immergendomi in delle emozioni che non sono mie, ma che di sicuro le note riescono a raccontare.
Adesso il brano sembra essersi esteso per tutta la stanza, contaminando tutto lo spazio disponibile.
I suoni bassi e stabili ricordano una litania piacevole, la dolcezza dell'oscillare di una culla.
Quando abbiamo dormito insieme, abbracciati.
Il mio cuore sussulta e per un po' resto ad ascoltarlo, riproducendo i suoi battiti con il violino. Prima sfioro appena le corde, poi lascio il posto a un andamento incalzante.
Senza confondersi, le mie dita si destreggiano tra le svariate posizioni, incapaci invece di sbrogliare i miei pensieri.
Ho così tante emozioni che si agitano nel mio petto che non riesco nemmeno a riconoscerle tutte.
Sono arrabbiato con me stesso.
Sono preoccupato che mia madre scopra di me e Nick adesso, per colpa di Margaret. E nonostante la detesti per il suo comportamento, il risentimento più grande continuo a riservarlo per me.
Se io fossi diverso non sarei in questa situazione.
Mi sarei già dichiarato a Nicholas, lo bacerei in pubblico e avrei urlato ai quattro venti quando io sia contento di averlo al mio fianco. Perché è quello che lui si merita.
È il tipo di amore che merita.
Se non di più. Tutto quello che io non sono nemmeno in grado di immaginare.
Invece ho così paura.
Le corde sono così tese che stridono per raggiungere le note più alte.
Mi sento proprio come se stessi camminando su una di queste corde, in bilico.
Ho bisogno di andare più in alto.
Stringo l'archetto con forza, senza mai allentare il controllo sul mio strumento. Sto arrivando al suo limite.
Ma è quello che cerco.
La perfezione che sta proprio lì, nella sfumatura di un movimento, in una corda che potrebbe spezzarsi da un momento all'altro.
È quell'istante prima che si rompa, che tutto si distrugga.
Sento la sua fragilità, la sua bellezza.
Avviene per un attimo, solo in quel momento.
E quando la corda salta non si può più tornare indietro.

Progetto 27|| Broken SoulWhere stories live. Discover now