Capitolo 37

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Ian

I guanti in pelle fasciano le mie mani alla perfezione.
Pensavo sarebbe stato fastidioso portarli, invece le mie dita sembrano aver sempre desiderato di essere avvolte nella morsa stretta dei guanti.
Li vedo ancora come un qualcosa di estraneo, ma è questione di tempo perché mi abitui.
D'altronde, è un cambiamento programmato, logico, imposto da me.
È il tipo di cosa che so gestire.

Quando chiudo le dita sul pomello della porta, mi accorgo di sentirne appena la superficie fredda. Qualsiasi sensazione tattile d'ora in poi sarà ovattata, e tutto mi sembrerà sempre meno reale.
Scrollo questi pensieri con un movimento del capo, poco prima di attraversare la soglia della sala da pranzo.
Brian mi ha detto che potevamo usare quella più intima, visto che saremo in pochi e un tavolo lungo tre metri complicherebbe solo le cose.
È la stessa sala in cui abbiamo pranzato il giorno in cui sono arrivato qui. Non so perché adesso mi sembra diversa.
La prima volta riuscivo solo a soffermarmi sulle appariscenti decorazioni dorate, sui quadri che tappezzavano le pareti. Lo trovavo eccessivo, pesante allo sguardo. Adesso non è più lo scintillio dell'oro a colpirmi, ma vedere l'austerità di cui la stanza si è appena fatta carico.
-Siete in anticipo- esclamo avvicinandomi al tavolo in marmo dove siedono tutte le persone che avevo convocato. Nei loro occhi posso vedere lo stesso curioso interesse per le pareti ornate, così diverse da quelle spoglie della Base.
Perfino Drew sembra interessato al lampadario sul soffitto, che avrà visto circa una migliaia di volte, ma deve essere più facile per lui che confrontarsi con lo sguardo divertito di Nick.
Che coglione.
-Anche tu lo sei- mi fa notare Renee.
Scrollo le spalle in risposta.
-Deve essere una vecchia abitudine della Base-
Noto solo adesso che hanno lasciato vacante il posto a capotavola, costringendo me ad occuparlo.
Mi sarei stupito se non lo avessero fatto, eppure non posso dire di essere contento di trovarmi in questa posizione.
Forse avrei preferito un'autoproclamazione alla loro fiducia assoluta.
-Vorrei chiarire una cosa- appena inizio a parlare il silenzio che ne sussegue è rapido e tagliente, come se la mia voce fosse sfrecciata nella sala in modo così improvviso da costringere le loro parole a ritirarsi.
-Non siete qui per eleggere un capo, ma per prendere decisioni ben più importanti- mi avvicino alla sedia con calma, lasciando che il suono dei miei passi si ripeta nelle loro teste. È da tanto che non mi sentivo così.
Credevo che tornare al mio ruolo, alle mie vecchie abitudini, sarebbe stato difficile, perfino doloroso.
Dovevo aspettarmi che la mia mente avrebbe reagito in questo modo.
Il mio talento non faceva altro che supplicarmi di tornare ai tempi in cui lo mettevo sopra ogni cosa.
Sono in bilico.
Mi basta poco per cadere dall'altro lato.

-Vuoi dividere la responsabilità, eh?-
Per poco non mi scappa da ridere, ma non credo avrebbe un impatto positivo sul mio interlocutore.
I ragazzi della Base hanno scelto il loro rappresentante, e il risultato rientra a pieno nei miei pronostici.
-Hai mai giocato a scacchi, Maverick?-
-Mai-
È evidente.
-Perché io sono un giocatore, e se io prendessi il controllo della partita, giocherei per vincere, ad ogni costo. Sacrificherei i pezzi deboli o li abbandonerei se fossero in difficoltà. Vinceremmo sì, ma non tutti. Vuoi sentirti una pedina? Non ho idea di cosa si provi, ma non penso sia piacevole.-
I lineamenti del suo volto si induriscono, ma non osa ribattere. Nessuno di loro ha intenzione di farlo.
Si sono accorti di essere delle pedine di un gioco molto più grande di loro appena un mese fa; è una ferita troppo fresca per permettergli di ragionare.
Sanno solo che non vogliono più sentirsi in quel modo.
E questo li rende facilmente attaccabili.

-Quindi è così che sei veramente? Sotto i tuoi modi affabili si nasconde un calcolatore senza pietà?-
Sorrido, contento della sua domanda.
Poggio il gomito sul tavolo e lascio che la mia mascella si rilassi sulle mie nocche, posso sentire sulla pelle la superficie ruvida dei guanti.
-Oh no, io sono molto peggio-
Maverick Bowers ha fatto parte della cerchia di ragazzi con cui mi divertivo a quindici anni. E mi dispiace che lui non possa ricordare che ha già visto come sono veramente. L'ho manipolato tante volte, così tante che ho smesso di tenere il conto e annotare i miei progressi su un taccuino. Su qualcuno dovevo pur fare pratica.
E anche quando ha iniziato a soffrire di mal di testa per una settimana, mi sono detto che nel caso avessi combinato un disastro con la sua mente la Base era comunque satura di atleti pieni di sé.
Sono stato costretto a crescere con loro per via della mia media e dei miei risultati ai test, e ho dovuto imparare a rivoltare la situazione a mio vantaggio, a non sprecare il mio tempo.
Non ho mai avuto niente in comune con loro.

Progetto 27|| Broken SoulWhere stories live. Discover now