Gilbert era stanco e, probabilmente, fino a un attimo prima di trovarcisi davanti, non aveva desiderato altro che di scalciare via le scarpe e buttarsi a dormire sul divano davanti al camino. Però era stato attento a ogni mia parola.

«Mi dispiace doverla assillare, capisco che è stanco e che sta lavorando tanto» dissi, «ma ho paura che per Devon non ci sia più tempo».

Gilbert guardò Devon respirare flebilmente, poi si voltò in direzione delle fiamme e rimase in silenzio per un po'. Forse non aveva nessuna intenzione di aiutarlo. In fondo, uno ligio al dovere come lui non avrebbe avuto nessuna possibilità di empatizzare con Devon, il ragazzo che si era reso colpevole di un sacrilegio tanto grave. Gilbert si alzò in piedi e, anziché avvicinarsi a Devon, si inginocchiò proprio davanti a me.

«Hai il terzo occhio aperto» disse, fissandomi la fronte. «Proprio come sospettavo».

«Cosa?» chiesi, stupita.

«Ti capita mai di avere dei ricordi improvvisi, magari di qualcosa che hai letto o studiato anni prima?»

«Continuamente» ammisi. «Ho una memoria fotografica».

«Non esiste la memoria fotografica» rispose, brusco. «Esiste la visione superiore».

«Ok» concessi. «È una cosa bella?»

«Non è né bella né brutta» rispose. «È una caratteristica. È il motivo per cui riesci a vedere la maledizione sulla testa del tuo amico. Ed è il motivo per cui hai dei ricordi del tuo passato, nonostante la maledizione che ti è stata fatta».

«La maledizione che mi ha fatto» mi sentii in dovere di precisare.

«La maledizione che ti ho fatto» ripetè.

«È un potere che ha anche lei?» chiesi.

«No, io no» rispose, tornando a voltarsi verso il camino. «Elissa lo aveva».

Nonostante il fuoco scoppiettasse allegramente nel camino, nella stanza sembrò calare il gelo. Non l'aveva mai nominata in mia presenza.

«Può aiutare Devon?» chiesi, dopo un po'.

«No, non posso farlo» rispose. «Gli serve un Velatore che sia anche guaritore, ma non è detto che riesca ad aiutarlo. Rompere una maledizione non è uno scherzo».

«Mia madre?» domandai, piena di speranza.

«Tua madre, sì» mi rispose. «Mi chiedo perché tu non abbia domandato a lei, prima di precipitarti qui, in effetti».

Certo, non mi stupiva che se lo stesse chiedendo. Lui non sapeva davvero come fosse mia madre. Avrebbe aiutato Devon, certo. Ma dalla sua bocca non sarebbe mai uscita una parola. Io avevo bisogno di parlarne. Avevo bisogno di capire.

«Lascialo a dormire qui, per stanotte» aggiunse. «Fallo riposare».

E quindi, a conti fatti, non lo odiava affatto. Anzi. Sembrava in pena per lui. Guardai il volto stanco di Gilbert, illuminato dalle fiamme. Certo. Lui lo capiva. Perché anche lui aveva amato una Sibilla.

«Lei...» iniziai, per niente convinta. «Si è fatto un'idea della situazione?»

«Sì» rispose. «Ma è, appunto, solo un'idea».

«Sarei comunque felice se la condividesse con me» sussurrai, alzandomi in piedi. «Ma immagino che non lo farà. Quindi vado. Grazie per l'aiuto e scusi per il disturbo».

«Resta qui» disse, invece, alzandosi in piedi a sua volta.

Alzai lo sguardo su di lui, perplessa.

«Resta» ripetè. «Ti dirò tutto».

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