14. Perché non lo hai fermato?

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Era in ginocchio davanti alla valigia quando tutto intorno a sé si bloccò. Improvvisamente delle lacrime scesero dai suoi occhi, subito asciugate però dalla sua mano; si era ripromesso di non piangere, di non versare più lacrime. Voleva dimenticare tutto, voleva lasciarsi alle spalle qualsiasi tipologia di problema e guardare avanti; aveva bisogno di staccare la spina.

Non aveva mai pensato che lasciare la propria casa potesse essere così tanto difficile; quando succedeva nei film non sembrava così tanto pesante allontanarsi. Doveva però capire che quella fosse solo finzione, la sua vita era la realtà e il dolore era vero. Il dolore che provava non era un'illusione, le lacrime che scorrevano sul suo volto non si erano sviluppate a causa della cipolla; quel dolore e quelle lacrime erano in quel momento la sua debolezza.

Jimin ha sempre negato di essere debole; si è sempre mostrato forte, capace di resistere persino a una grande tempesta. Aveva mostrato quanto il sorriso fosse più forte di una lama, aveva mostrato quanto vedere un sorriso sul volto di Jungkook fosse più importante delle proprie lacrime.

In quel preciso istante però la vide, vide quella maglia verde fin troppo grande per essere sua. Si ricordava del momento in cui gliela prese, ma non gliela restituì: adorava, no, amava indossare i suoi capi. Molto probabilmente l'aveva sistemata in valigia senza accorgersene, non avrebbe mai portato con sé un oggetto così tanto importante così tanto doloroso.

Si asciugò le lacrime, chiuse la valigia e sistemò nell'armadio i propri vestiti: essendosi svegliato presto decise di rendere meno vuota quella stanza con le proprie cose. Dopo aver terminato, prese lo zaino e uscì, diretto verso il bar del campus.

«Posso farti una domanda?» domandò Namjoon, appena seduto accanto al minore. «Hai scelto anche con il cuore di venire a New York o hai preso questa decisione pensando solo con la ragione?»

«Ho pensato con entrambi hyung, non sarebbe normale se lasciassi casa solo dando ragione alla mia testa. Non si abbandona tutto per seguire solo ciò che dice la mente, non funziona così.» ammise, finendo poi il suo caffè.

«Ma tu lo hai fatto, hai lasciato tutto.» rispose, facendo alzare la testa all'altro. Non lo conosceva bene, ma da quello che sapeva era molto legato a Jungkook. Quindi perché lasciare tutto improvvisamente? «E lo hai fatto con la testa, perché nonostante non ti conosca bene, so che non saresti voluto partire.»

E cosa doveva fare altrimenti? Sapeva che non sarebbe partito se avesse ascoltato il suo cuore, sapeva che sarebbe sceso dal taxi per andare ad abbracciare Jungkook. Lo sapeva, era a conoscenza di quello che avrebbe fatto il suo cuore, ma per fortuna ascoltò solo la testa. Il cuore gli chiedeva di rimanere, di continuare ad amarlo, ma la testa lo supplicava di allontanarsi dal suo stesso malessere.

Come si permetteva a parlare senza conoscere tutta la storia? Lo rispettava tanto, lo conosceva da anni grazie a Seokjin e gli voleva bene, ma non aveva mai visto con i suoi occhi le dinamiche che intercorrevano con Jungkook. Lo guardò un secondo, ritornando a bere il suo caffè per poi prendere lo zaino e alzarsi.

«Hai ragione, non mi conosci affatto Namjoon-hyung e quindi non puoi trarre conclusioni senza sapere la verità. Se tu non vedi il dolore, non puoi dire di averlo capito.»

Quando finì di parlare iniziò ad avviarsi verso l'uscita del campus, dirigendosi poi in università. La sua prima giornata fu una tragedia: durante matematica la sua attenzione fu abbastanza alta, ma non si può dire lo stesso per la lezione di inglese. La terza e la quarta ora le passò nella stessa aula di Jackson ad ascoltare una lunghissima lezione di cultura americana.

Dopo dieci minuti però non riuscì più a star dietro alla professoressa, era troppo veloce nello spiegare. Non capiva nulla, non aveva più concentrazione e questo fece da intrattenimento a Jackson per molto tempo. Terminate le due ore infernali finalmente uscirono dall'aula, ma prima che Jimin potesse uscire venne bloccato dalla voce del suo compagno di classe.

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