I - Mal di testa

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Lunghi capelli mori raccolti in uno chignon con due piccole ciocche davanti lasciate libere al vento, jeans larghi per mascherare le curve del mio corpo, a mio parere fin troppo notevoli ed occhi giallognoli nascosti sotto delle lenti a contatto color oceano.
Non ho paura dei pregiudizi, solo, odio essere diversa.
Ho una monotona vita da diciottenne, tra l'altro, bravissima studentessa. Tendo a non avere molti amici, mi fido solo di una ragazza, Megan, che da quando sono arrivata in una piccola cittadina accanto a Fargo, negli USA, mi è sempre stata accanto. Lei è l'unica che sa tutto di me, tutto.
Abbiamo vissuto per quattro anni come vicine di casa, ed ora, che abitiamo a qualche isolato di distanza, abbiamo deciso di iscriverci nello stesso istituto scolastico per non far cedere il nostro rapporto.
La scuola, tuttavia, non è stata il mio forte fino ai diciott'anni, poi, avendola ripetuta per altri centotrentuno, direi che qualcosa ho imparato. Però, in fin dei conti, la mia vita mi piace così com'è. Anche con dei minimi problemi e con i miei dannatissimi centotrentanove anni. Com'è che si dice? Averne duecento e non sentirli... perché è proprio questo che mi rende diversa: l'essere per ogni essere umano uno "schifoso succhiasangue."
Mi chino infilando con forza il piede nella scarpa ed afferro il giacchetto beige, dello stesso colore della mia felpa oversize. Esco di casa ammirando attraverso la finestra il cielo di maggio che inizia a farsi vivo e chiudo a chiave la porta, prima che me ne dimentichi.
Sfilo dalla tasca le chiavi della mia macchina, una fantastica Abarth 500 X color panna e salgo su di essa, pronta per un'altro giorno di scuola.
Metto in moto l'auto e parto subito. Sono già abbastanza in ritardo ed anche se non è una novità, preferisco non farmi riconoscere anche questa volta.
Accelero guardando l'orario sul piccolo schermo digitale della mia piccola auto, sperando per qualche assurda magia, tutto attorno a me si fermi, così da poter arrivare in orario.
«Merda!» Esclamo, fermandomi anche questa volta al semaforo rosso. Ogni volta che sono in ritardo, sembra che il mondo faccia di tutto per rallentarmi ancor di più.
«Grande, universo. Sei davvero simpatico stamattina...» Sbuffo poggiando violentemente la testa contro il poggia nuca, procurandomi un lieve dolore che mi fa serrare gli occhi per qualche istante. Sospiro esausta.
«Credo che non sia carino prendersela con l'universo.»
Sobbalzo impaurita. Ecco un'altra cosa bizzarra della mia vita, Aurel, mio fratello, che riesce ad essere dove vuole in ogni momento. Il suo potere, infatti, è quello di teletrasportarsi ovunque voglia nell'approssimativo raggio di un chilometro.
«Dio! Sei fatto apposta per spaventarmi.»
Ride divertito, passandosi una mano tra i mossi capelli scuri. I suoi occhi ocra sono nascosti da lenti a contatto di un azzurro che incanta.
«Grazie, principessa. Mi piacerebbe essere Dio, ma non lo sono.» Risponde alzando le sopracciglia e poggiando il gomito sul finestrino semi aperto.
«Dovresti mettere la cintura di sicurezza.» Mi ricorda serio.
«Come se la mia vita potesse avere una fine.»
«Proprio per questo, draculina. Se farai un incidente e ne uscirai illesa toccherà a te spiegare il misterioso miracolo del non avere nemmeno un graffio.»
Alzo gli occhi al cielo mentre parto notando il luminoso colore verde comparire. Non ha tutti i torti, ma sono circa ottant'anni che non faccio un incidente, spero non mi porti sfortuna.
«Hai deciso di venire a scuola con me?» Domando ironica, notando i pochi centinaia di metri che mancano alla mia destinazione.
«Esatto, ho bisogno della tua macchina. La prenderò il prestito appena varcherai la porta d'entrata.»
Dio, cosa deve fare con la mia auto?
Mio fratello non è la persona con la guida migliore che io conosca, diciamolo così.
«No, scordatelo. L'ultima volta che ti ho prestato la mia macchina l'hai distrutta andando contro un muro, Aurel. Te lo ricordi, vero?»
«Oh andiamo! È stato quarant'anni fà!»
«Per me è come se fosse ieri. L'hai distrutta la mia piccola. Era stupenda, ci ho messo anni a trovarla color petrolio.» Gli ricordo con un filo di tristezza nella voce.
«Si, ricordo vagamente!» Scherza ridendo.
Sospiro parcheggiando l'auto al solito posto, sul retro dell'istituto.
Scendo da essa e chiudo lo sportello. Lui è già fuori, accanto al cancello.
Anche questo, tipico. Se qualcuno dovesse vederlo finiremmo nei guai.
«Hai deciso di farci ammazzare?» Domando sussurrando. Anche se lontano da me, so che mi sente. Un altro inutile e fastidio potere di noi vampiri: riuscire a sentire le conversazioni di ogni persona che la nostra vista può catturare.
«Assolutamente no! Questi umani sono così idioti!» Sorride.
Scuoto la testa e lui è di nuovo accanto a me.
«Smettila, Aurel!»
Ride divertito, mentre mi avvicina il palmo della mano, aspettando con un tenero sorriso le chiavi della mia auto.
Sbuffo e gliele porgo.
«Ciao tesoro!» Mi saluta aprendo la portiera e facendomi cenno di entrare a scuola toccando un paio di volte lo schermo del suo orologio.
«Ci vediamo dopo.» Lo saluto, dirigendomi verso l'entrata.
L'odore di essere vivente, con sangue che scorre tra le vene, si fa sempre più forte. Per fortuna però, sono oramai centodieci anni che ho imparato del tutto come gestire le mie voglie. Solo con alcuni mi rimane complicato, specialmente gli umani di sesso maschile... anche se con il tempo ho capito che è semplicemente una conseguenza della forte attrazione fisica. Superabile senza alcun problema.
«Ada!» Mi chiama una voce familiare. È Megan, ovviamente, che corre verso di me con lo zaino su una spalla che minaccia di caderle da un momento all'altro. Le sue naturali onde rosse sono più ordinati del solito. La saluto con un grande sorriso cordiale, finché non si avvicina abbracciandomi. Credo sia l'unico essere umano con cui posso avere un contatto fisico del genere.
Mi propone di entrare, superandomi.
La seguo, attraversando il grande corridoio celeste che fa contrasto con gli armadietti color grigio antracite.
Entriamo in aula, come sempre siamo tra i primi ad arrivare. La dolce professoressa di letteratura è già seduta sulla sua scrivania color faggio, perfettamente in ordine come sempre, con piuma e calamaio decorativi in alto a destra e le mille cartelle degli appunti, con registro compreso, in basso a sinistra. Sempre a sinistra, in alto, tre libri sottili tenuti fermi da un piccolo contenitore di penne e matite.
I nostri banchi sono dello stesso colore di quest'ultima.
Quando finalmente tutta la classe si riunisce in aula, inizia con il solito appello, dove rigorosamente, sbaglia il mio cognome.
«Pavesci.» Chiama. Oramai non c'è più speranza, dopo quasi cinque interi anni di liceo continua a sbagliare.
«Pavescu, prof. Eccomi.» La correggo. Capisco la novità di un cognome di provenienza Rumena, ma non vedo la difficoltà nel pronunciare una U alla fine di esso.
«Scusami! Non lo imparerò mai!»
Si, l'ho notato.
«Non si preoccupi!» Le sorrido cordiale, mentre continua con l'appello.
«Secondo te per la fine dell'anno riuscirà a dirlo correttamente?» Mi domanda Megan sporgendomi delicatamente verso di me, ridendo.
«Pfh, assolutamente no!»
«E anche, entro la fine dell'anno, riuscirai a mordermi?»
Ci risiamo!
«Scordatelo, Meg.»
Sbuffa alzando gli occhi al cielo. Non smetterà mai di chiedermelo, nonostante sa bene che non l'accontenterò mai.
La lezione inizia, così come il mio solito fastidio alla testa. Mi porto una mano sulla tempia sentendo le orecchie iniziare a fischiare. Il mio potere è questo: riuscire a percepire le cose qualche secondo -alcune volte anche minuto- prima che accadano, ma questa volta non riesco a visualizzare il problema.
«Tutto ok? Cosa senti?» Mi domanda Meg, notando la situazione. Ormai mi conosce bene.
«Non lo so. C'è qualcosa che non va, non visualizzo niente. Non è mai successo prima.» Confesso, dannatamente confusa.
«Hai bisogno di uscire?» Domanda ancora.
Scuoto la testa. Il non riuscire a vedere il problema mi manda paranoia, ma non così tanto da uscire dall'aula.
Qualcuno bussa alla porta e il mio sguardo con Meg si incrocia. Dietro quella porta potrebbe esserci il motivo della mia visione.
«Avanti.» Grida la prof concedendo il permesso e lasciando entrare un ragazzo. È alto, moro e con una carnagione visibilmente pallida che fa contrasto con i vestiti completamente neri. Le sue dita sono piene di anelli, grandi e dello stesso colore dei suoi vestiti. Non indossa nemmeno l'uniforme scolastica.
«Buongiorno professoressa. Credo di essere in ritardo, sono Peter, il nuovo alunno.» Dichiara sorridendo con aria di superiorità. Lo guardo da capo a piedi e rabbrividisco notando i suoi occhi color orca. Quei maledettissimi occhi della mia specie li riconoscerei a mille chilometri di distanza.

Flame And Secrets [Vampiri]Where stories live. Discover now