ƈą℘ıɬơƖơ 28

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Le piccole mani di Felia, chiuse in due pugni stretti, afferravano un lembo della felpa di Jeff e lo tiravano con una forza tale da rischiare di strapparlo via.
I suoi occhi erano lucidi ma pieni di rancore, che era esattamente ciò che la stava spingendo ad agire in quel modo senza essere più bloccata dalla paura.
Era furiosa, confusa e disperata.
-Dov'è il mio papà!- ripeté ancora, questa volta urlando a squarciagola.
Il killer la fissava immobile, lasciando che lei si sfogasse senza muovere un solo muscolo; si limitava a puntarle addosso uno sguardo neutro, quasi inespressivo, così tremendamente vuoto che risultava impossibile capire che cosa lui stesse pensando.
E Selin, distante solo un paio di metri, li guardava con entrambe le mani premute sulla bocca spalancata: non poteva sapere quale sarebbe stata la reazione di Jeff a quella situazione, e più di ogni altra cosa temeva che si sarebbe difeso aggredendo e uccidendo la bambina.
Ma non accadde.
Felia continuò a strattonarlo con tutte le forze che aveva in corpo, senza più versare una lacrima: tutta la frustrazione e la paura accumulate si erano trasmutate in furia cieca. A causa del trauma subito non era in grado di ricordare con lucidità ciò che aveva visto, e per questo si era convinta che il suo papà si trovasse ancora da qualche parte al vecchio hotel, magari solo e ferito, ad aspettarla.
Si era costruita una realtà alternativa in cui non aveva mai visto Jeff tagliargli la gola, si era convinta che niente di tutto ciò fosse mai accaduto per davvero.
-Rispondi!-.
Solo dopo interminabili secondi il moro sollevò una mano con una rapidità disumana, bloccando in modo istantaneo le braccia della bambina. E ancora una volta Selin sussultò.
-Non puoi tornare da lui- le rispose, senza neanche provare ad intonare una voce rassicurante.
Felia si fermò, ritrovandosi con entrambe le mani immobilizzate, e gli rivolse uno sguardo disorientato. Non stava fingendo, la sua giovane ed ingenua mente aveva realmente rimosso quel ricordo; strinse le labbra ed aggrottò la fronte, come stesse cercando di ragionare.
-Ma lui... Mi starà cercando- borbottò.
Tirando su con il naso la bambina restò immobile, mentre il moro lasciava la presa sui suoi polsi continuando semplicemente ad osservarla: era chiaro ormai che non avesse alcuna intenzione di farle del male.
Sollevò poi lo sguardo su Selin, trovandola immobile con gli occhi spalancati ed il fiato sospeso.
Sapeva bene cosa lei stava pensando, e non poteva di certo biasimarla: al posto suo, anche lui avrebbe temuto per il peggio.
Ma la bestia annidata nella sua mente quel giorno si era placata ed aveva lasciato spazio alla parte più umana del suo inconscio, permettendogli di comportarsi in una maniera molto differente da ciò che era solito fare.
Sospirando Jeff poggiò la nuca contro ad un'anta socchiusa dell'armadio, odiava i momenti in cui la sua ferocia svaniva del tutto perché si sentiva debole, ma allo stesso tempo li apprezzava perché quelle erano le uniche occasioni che aveva di poter provare dei sentimenti come tutti gli altri.
Per qualche breve secondo il silenzio inondò la stanza con le sue grida sorde, finché la piccola Felia non riprese ad agitarsi.
-L'hai portato via tu, cattivo!- esclamò, provando ancora ad afferrare la felpa del killer. Questa volta però fu fermata pressoché subito dalla mano rassicurante di Selin, che si posò dolcemente sulla sua piccola spalla.
-Lascialo stare, smettila- le disse, con un tono di voce estremamente calmo e caloroso.
La bambina fece un passo indietro ed istintivamente si aggrappò ad una gamba della ragazza, premendo la faccia sui suoi vestiti e riempiendosi le narici del suo odore. Jeff si scambiò uno breve sguardo con lei, e sembrò quasi volerla ringraziare ma non una singola parola uscì fuori dalle sue labbra.
Selin accarezzò delicatamente la testa della bambina affondando le dita tra i suoi capelli, e sorrise. Forse non aveva più alcun motivo di temere per le reazioni del killer, che si era trasformato nel giro di un paio d'ore in una persona completamente diversa... Anche se le sfuggiva ancora il perché.
E seppur l'idea di trascorrere una giornata intera tra quelle mura decadenti non le piaceva affatto, iniziava a pensare che avrebbe potuto sopportarlo; anche perché era parecchio preoccupata di venir rintracciata dalle forze dell'ordine e sapeva che le probabilità che ciò potesse accadere sarebbero state molto più alte se fosse uscita allo scoperto andando a zonzo per la città.
Si guardò intorno per qualche attimo e la sua attenzione fu catturata ancora una volta dal materasso riposto in piedi contro alla parete: non sembrava particolarmente pulito ma almeno era asciutto, e inoltre era sicura che Jeff non avesse grandi pretese a riguardo considerato lo stato pietoso in cui riversava la sua camera all'hotel di Dan. Così lo raggiunse ed iniziò a trascinarlo sul pavimento sporco fino a posizionarlo in un preciso angolo della stanza, ovvero quello che valutò essere il più asciutto e riparato dalle correnti d'aria.
-Che ne dici di stenderti qui?- disse al ragazzo, senza voltarsi a guardarlo. -Credo tu abbia bisogno di riposare-.
Jeff non disse niente, ma quella frase scaldò il suo cuore facendolo battere più velocemente: nessuno aveva mai avuto una tale premura nei suoi confronti.
Lentamente riuscì ad alzarsi in piedi ed avanzò, con altrettanta lentezza, fino a raggiungere il materasso che Selin aveva posizionato a terra. Fu particolarmente faticoso per lui compiere quel gesto, sembrava proprio che tutte le complicazioni dovute alle sue ferite avessero atteso quel preciso momento per venire a galla.
E non gli piaceva.
Se nel breve percorso che aveva affrontato per giungere fino a quella vecchia casa aveva fatto una certa fatica ma riuscendo comunque a sopportare il dolore, adesso aveva la netta sensazione che le sue condizioni fossero precipitate.
Emettendo un soffocato gemito di dolore si distese poggiando la testa sulla superficie morbida, tappezzata di macchie e scucita in più punti, trovando un immediato sollievo ai suoi giramenti di testa.
Selin lo guardò compiaciuta, mentre Felia ancora nascondeva la testa tra le pieghe della sua maglietta.
Si chinò e le accarezzò il viso, facendo nel contempo un rassicurante sorriso.
-Potrai contare su di me piccoletta, sempre- le disse, scacciando via con un dito le lacrime che stavano rigando le sue guance rotonde. -Sistemerò ogni cosa, devi solo avere un altro po' di pazienza-.
Quelle parole sembrarono davvero tranquillizzare la bambina, che pochi minuti dopo recuperò del tutto la calma ed iniziò a trotterellare per la stanza, curiosando qua e là con stessa innocenza di sempre. Sembrava volesse estraniarsi da quei pensieri negativi e cercare qualcosa con cui distrarsi, anche solo per qualche minuto; ma i mobili contenuti in quella vecchia casa erano davvero pochi, e la maggior parte di essi riversavano in uno stato a dir poco pietoso. Non si stupì molto, infatti, di non riuscire a trovare nulla mentre frugava nei cassetti.
Lanciando un'occhiata a Jeff e notificando che lui se ne stava disteso immobile sul materasso, alla fine anche Selin decise di aiutare la piccola nella ricerca di qualcosa con cui giocare. Dirigendosi in quella che molto tempo prima doveva essere stata una cucina, con un certo stupore trovò nascosta all'interno di una panca di legno una pila di fogli da disegno ormai ingialliti dal tempo, ed anche una scatola di matite di cui più di metà erano assenti. Non era molto, ma forse poteva bastare.
-Hei, Felia!- esclamò richiamando la sua attenzione. -Forse con questi puoi provare a fare un disegno, che ne dici?-.
La bambina allargò un enorme sorriso mentre la raggiungeva saltellando, ma la curva delle sue labbra si appiattì nell'immediato momento in cui si ritrovò davanti dei fogli gialli pieni di macchie.
-Sì beh, non sono il massimo- commentò Selin ridacchiando. -Ma potresti sfruttare tutte queste macchie a tuo vantaggio, sai?-.
-E come?- rispose la piccola, mente con poco entusiasmo afferrava sia i fogli che la busta di matite colorate.
L'altra si chinò ed indicò con una mano tutti gli aloni grigi e gialli che tappezzavano la carta. -Puoi colorare queste macchie, darci una forma e trasformarle in qualcosa di nuovo. Dai, prova!-.
Quel suggerimento sembrò piacere molto alla piccola, che con rinnovato entusiasmo sistemò a terra gli oggetti ed iniziò subito a disegnare, seppur la punta delle matite sembrava essersi molto rovinata con il passare del tempo ed il colore che imprimevano sul foglio risultasse molto meno acceso di ciò che sarebbe dovuto essere.
Osservando con tenerezza i movimenti della sua piccola mano su quei pezzi di carta straccia Selin si sentì pervasa da una sensazione di calore, che interpretò come felicità: ancora una volta, come era già accaduto giorni addietro, guardare Felia mentre era intenta a giocare era come vedere la sua sorellina minore, quella che aveva ormai perduto.
Intrecciò le braccia sul petto con un sorriso appena accennato, mentre pensava tra se e se che la somiglianza tra le due si faceva sempre più palese, e mentre ragionava su questo tornò a passo lento nell'altra stanza.
Jeff la stava guardando, mentre teneva la testa adagiata sul materasso sul quale alcuni ciuffi dei suoi lunghi capelli si erano distesi in modo disordinato; sembrava estremamente rilassato.
Senza pensarci troppo la ragazza si mise a sedere a terra proprio accanto al materasso e rivolse uno sguardo neutro sul fondo della stanza, laddove qualche ciuffo d'erba era riuscito a crescere su un cumulo di sporcizia e terra che si era ammucchiato sul pavimento sotto alla finestra.
-Quando sarà di nuovo sicuro uscire allo scoperto..?- mugolò, senza voltarsi a guardare il suo interlocutore.
Jeff emise un piccolo sospiro. -Probabilmente non lo sarà mai più- le rispose. -Ma sei fortunata, non hai i documenti. Ti basterà cambiare città e farti una nuova identità daccapo-.
La castana annuì brevemente, aveva ragione. La sua esistenza non era ancora stata segnalata e schedata da nessuna parte, almeno non in terrirorio americano, perciò se anche fosse stata accusata di quel crimine nessuno lo avrebbe ricondotto ad una sua ipotetica nuova identità.
Per Felia, invece, era diverso.
Avrebbe dovuto affidarla alle forze dell'ordine, solo in questo modo poteva garantire la sua salvezza: di certo sarebbe stata condotta in un orfanotrofio, o magari affidata a qualche parente, ammesso che ne avesse uno.
Senza rendersene conto la castana strinse i pugni, l'idea non le piaceva per niente ma d'altro canto sapeva che sarebbe stata la cosa giusta da fare.
Lentamente voltò la testa verso Jeff, che immobile la stava osservando. -Tu che farai?- gli chiese. La sua fu una domanda istantanea, che le uscì dalla bocca senza averci ragionato su.
E il moro, con aspra onestà, le rispose. -Quello che ho sempre fatto, ovviamente-.

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