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Stancamente Selin sistemò una sedia sotto alla finestra ed appoggiò i gomiti al davanzale, posizionando il volto vicino al vetro sul quale il suo respiro creava dei piccoli aloni bianchi.
Osservò immobile il calare della notte su quella porzione di cittadina che le era visibile, come si trattasse di un quadro che lentamente cambiava forma e colore; ed inevitabilmente, sola in quella stanza, si ritrovò a pensare a tutte quelle cose del suo passato che si era lasciata alle spalle partendo per l'America. Proveniva da un ambiente estremamente povero e malavitoso, nel quale era cresciuta patendo la fame e sognando ogni singolo giorno di ottenere qualcosa di più; e adesso che era partita per quella folle avventura, con un coraggioso salto verso l'ignoto, si ritrovava in una condizione molto simile a quella da cui era fuggita.
Quella notte non dormì quasi per niente, ma per tutto il tempo si rifiutò in modo categorico di uscire dalla stanza. Sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto farlo, ma si era promessa di attendere l'indomani perché la luce del giorno le avrebbe dato maggior sicurezza nel farlo.
Durante la notte le capitò più volte di avvicinarsi alla parete che separava la sua camera dalla centoquattro, e con i palmi delle mani poggiati sulla superficie restare in ascolto di ogni rumore che potesse provenire dall'altro lato; ma non udì mai niente. Forse quello strano ragazzo stava dormendo, o forse semplicemente non si trovava all'interno.
Il solo pensiero di poter incontrarlo ancora la paralizzava, ma allo stesso tempo una parte di lei la spingeva a provare ancora della curiosità nei suoi confronti; desiderava capire chi lui fosse davvero, e perché sembrasse tenere così tanto alla sua privacy in un posto come quello in cui tutti facevano qualsiasi cosa a porta aperta fregandosene del resto dei residenti.
Ripensò poi a quella macchia rossa; adesso non le sembrava più così tanto improbabile che fosse davvero del sangue.
Quando finalmente giunse il mattino la ragazza si vestì ed infilò nello zaino i suoi pochi averi per poi caricarlo in spalla; dovette fare diversi respiri profondi prima di trovare il coraggio necessario ad aprire la porta: lo fece con un gesto lento e calcolato, e prima di uscire del tutto sporse soltanto la testa per assicurarsi che in corridoio non vi fosse nessuno. Solo allora, con evidente titubanza, abbandonò la sua stanza richiudendola a chiave con cura e si avviò a passo svelto verso i piani inferiori.
Aveva urgenza di parlare con Dan, e voleva farlo adesso.
Mentre camminava con la testa bassa su quel pavimento di piastrelle rotte affiancato da numerose porte chiuse, la ragazza sentì una voce familiare che richiamava la sua attenzione dal fondo delle scale.
-Buongiorno ragazzina-.
Mentre scendeva sollevò lo sguardo e riconobbe lo sguardo di Rose, la donna con la quale aveva parlato il giorno prima; era vestita in modo lievemente più sobrio, inoltre sembrava essersi appena tinta i capelli aggiungendo una tonalità di blu mischiata al suo nero naturale.
-Aspetto un cliente tra mezz'ora- le disse ancora, con indifferenza. -È un tipo un po' strano ma paga bene, non scandalizzarti se facciamo casino-.
Selin fece un piccolo sorriso e scosse la testa, distogliendo lo sguardo. -Non preoccuparti, me ne sto andando- le rispose.
La donna aggrottò la fronte e restò a fissarla come se stesse aspettando una spiegazione; poi, vedendo che l'altra restava in silenzio, le pose il quesito direttamente. -Perché te ne vai?-. Nel frattempo continuò ad osservarla con attenzione, doveva aver capito che Selin era molto a disagio, e le pareva anche piuttosto spaventata dal modo in cui continuava a guardarsi intorno.
-Io... Non mi sento al sicuro, qui- rispose lei con franchezza, stringendo le spalle. -Hai presente il tizio della centoquattro? Ieri mi ha quasi aggredita-.
Nell'udire quelle parole Rose si fece ancora più stranita, ed assunse un'espressione confusa. -Tesoro... È vuota quella stanza- le rispose sollevando le spalle. -Ma di quale tizio stai parlando?-.
Selin deglutí a vuoto, cercando di bagnare la gola secca.
Non aggiunse altro, ma riprese a camminare dritta verso il salone alla ricerca del padrone di casa; quella faccenda la stava facendo impazzire e doveva assolutamente capire che cosa stava succedendo. Non poteva aver immaginato tutto, non era proprio possibile.
Poco dopo trovò Dan seduto su una delle poltrone al piano terra, intento a chiacchierare con alcuni ospiti.
-Mi scusi, Dan? Possiamo... Parlare un attimo?-.
L'uomo sembrò infastidito, doveva aver pensato che lei volesse esporgli una nuova lamentela come era accaduto l'ultima volta. Nonostante ciò si alzò in piedi e la seguì svogliatamente fin davanti all'ingresso, dove avrebbero potuto parlare lontano da orecchie indiscrete.
-Che c'è questa volta?- le chiese subito, grattandosi la nuca con una mano.
Selin sospirò velocemente, iniziando a giocherellare con le dita per sciogliere un po' di tensione. -Io... Devo andarmene via. Quindi le volevo chiedere di restituirmi la caparra-. Andò dritta al punto, perché girarci intorno non sarebbe servito a nulla se non a sfidare la pazienza di Dan.
E lo sguardo di lui, a seguito di quella richiesta, divenne estremamente truce. -Cosa? Dovrei restituirti i soldi?- sbraitò, non curandosi della presenza di diverse altre persone nei dintorni. -È questo che mi stai chiedendo?-.
La ragazza annuì debolmente. -Mi dispiace, ma devo andarmene via, ed ho consegnato a te quasi tutti i miei averi...- tentò di spiegare. -Senza quei soldi non potrò...-.
-Non si fanno rimborsi- la interruppe Dan, alzando ancora una volta il tono della voce. -Dove pensi di essere, al grand hotel?-.
Selin rivolse lo sguardo al portone d'ingresso e per un attimo valutò l'idea di andarsene via anche senza il suo denaro; ma subito dopo, la consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto affrontare la fece demordere. Che avrebbe fatto? Dormito sotto un ponte, frugato nella spazzatura?
Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani, e maledì il giorno in cui aveva deciso di prendere in affitto una stanza in quel posto sporco ed umido dimenticato da Dio.
-Se vuoi andare vai, ma non avrai alcun rimborso. Quando sei arrivata sono stato chiaro- concluse Dan, voltando le spalle e ritornando al suo divano.
Tremante di rabbia Selin rimase ferma a guardarlo, avrebbe tanto voluto raggiungerlo e prenderlo a schiaffi in quel momento; ma sapeva bene che, considerata la situazione, la cosa più conveniente per lei era resistere ancora. Avrebbe dovuto sfruttare tutta la caparra versata e poi finalmente andarsene via, perché farlo senza il becco di un quattrino l'avrebbe condotta ad una condizione ancora peggiore di quella in cui riversava adesso.
Strinse le mandibole e sistemò lo zaino in spalla, per poi risalire le scale in totale silenzio. Avrebbe innanzitutto riportato in camera le sue cose, anche se non aveva idea di cosa avrebbe fatto dopo.
Quando giunse al secondo piano notò la presenza della piccola Felia seduta a terra nelle vicinanze della sua camera, stava giocando con una piccola bambola dai capelli ricci e biondi come i suoi, vestita con un abito bianco. La due si scambiarono un rapido sguardo, ed istintivamente Selin sorrise.
Sembrava attendere il suo arrivo.
-Ciao piccola, che fai di bello?-.
La bambina sollevò il suo giocattolo e lo agitò a mezz'aria. -Gioco con questa! Ti va di giocare assieme a me?-.
Lei si avvicinò e si chinò a terra, donando alla bimba una tiepida carezza sulla fronte. -Magari un'altra volta, ok?-. Tornando ad alzarsi voltò lo sguardo in direzione della porta centoquattro, sempre rigorosamente chiusa, e senza neppure rendersene conto restò ferma a fissarla per una lunga manciata di secondi.
Anche Felia ad un certo punto poggiò a terra la bambola e la raggiunse. -Hai paura di lui?- le chiese, indicando la porta con una manina.
Sbigottita la ragazza guardò Felia con rinnovata attenzione. -Cosa? Intendi l'inquilino di questa stanza?- le chiese subito, quasi sussurrando per paura di essere udita da qualcun'altro. -Tu... Sai chi è?-.
Dentro di se si sentì profondamente sollevata: quella era la conferma che lei non fosse diventata pazza.
La bambina scosse energicamente la testa. -Non esce mai, e quando esce non torna mai- spiegò.
Selin non fu sicura di aver capito bene ciò che intendesse dire la bambina, ma probabilmente le stava dicendo che quel tizio se ne stava spesso chiuso dentro senza uscire, e che quando le capitava di vederglielo fare notava che lui restava via dal motel per diversi giorni.
-E mi spaventa un po'- aggiunse Felia, recuperando la bambola da terra e riprendendo a giocare.
L'altra tacque, ma fu in qualche modo sollevata dalle parole della bambina; significava che qualcun'altro era a conoscenza della presenza di quel losco tipo.
E le poche cose che le aveva detto, le confermavano che lui avesse abitudini molto strane.
Con la mente avvolta da troppi pensieri Selin si apprestò a raggiungere la sua stanza e mentre entrava notò che dal corridoio stava arrivando Rose, seguita da un uomo che identificò come il cliente di cui le aveva parlato poco prima. Nonostante tutto provava una certa ammirazione nei confronti di quella donna, non solo per la sua bellezza e per la sua sicurezza, ma anche perché aveva trovato senza vergogna un modo per sopravvivere alla miseria della vita.
Chiudendosi in camera Selin lasciò cadere lo zaino sul letto e si mise a sedere lì affianco, fortemente affranta. Aveva tentato una via di fuga da quel posto senza riuscirci, e si sentiva letteralmente intrappolata in una realtà spietata dalla quale sentiva di non aver scampo.
Quel maledetto hotel fatiscente sarebbe stato la sua dimora per un mese come inizialmente era stato previsto, nonostante tutto. E non aveva idea di come avrebbe potuto sopportare l'idea.

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