ƈą℘ıɬơƖơ 23

2.7K 299 9
                                    

La decisione appena presa da Selin fu estremamente rischiosa, ma di questo lei ne era perfettamente consapevole.
Non a caso, per tutto il tempo badò di restare più lontana possibile dal killer e si assicurò che lo stesso venisse fatto dalla piccola Felia, scongiurando la possibilità che lui tradisse quel poco di fiducia tornando ad assumere atteggiamenti aggressivi nei loro confronti; osservò con attenzione ogni singolo movimento del ragazzo con il cuore in gola che batteva all'impazzata.
Jeff si alzò dal letto molto lentamente mentre un ghigno di dolore si allargava sul suo volto, e zoppicando pesantemente riuscì a calciare via la catena allontanandola dai suoi piedi; poi, con evidente fatica, raggiunse la porta d'ingresso. Era chiaro che a causa delle sue condizioni fisiche stesse patendo molto dolore, lo si poteva notare dalla lentezza con la quale si muoveva cercando di sollecitare il meno possibile le zone del suo corpo che presentavano le più gravi ferite.
Nonostante i dubbi di Selin sembrava proprio che lui fosse realmente non più intenzionato a farle più del male, infatti senza neanche voltarsi in sua direzione raggiunse la porta, ed iniziò ad osservare attentamente il meccanismo di apertura all'interno della quale era ancora presente la metà recisa della chiave.
Considerate le sue condizioni fisiche attuali non era per niente sicuro di riuscire ad abbatterla banalmente prendendola a spallate, perciò fin da subito optò per una soluzione meno invasiva.
Aiutandosi con le dita e con le unghie riuscì ad estrarre lo stelo di acciaio dalla toppa, lasciandolo cadere; rimbalzando sul pavimento di mattonelle, il piccolo oggetto metallico emise un suono acuto e fastidioso.
-Che stai facendo?- gli chiese Selin con preoccupazione, mentre lo osservava a diversi metri di distanza con Felia stretta tra le braccia. La piccola era adesso molto più tranquilla, per qualche ragione.
Jeff rizzò la schiena e si diresse verso il bagno, voltando le spalle con disinvoltura. -Apro la porta, non è quello che volevi?- rispose, con una naturalezza disarmante.
Iniziò a frugare tra i cassetti sotto allo specchio e reperì un sottile filo di ferro arrugginito, che aveva già utilizzato un paio di altre volte per operazioni molto simili; poi, con la solita andatura zoppicante, tornò all'ingresso e lo inserì all'interno del meccanismo di apertura.
Aveva imparato a scassinare le serrature a suon di tentativi falliti, e nel corso del tempo aveva pian piano migliorato la sua tecnica ed appreso in quale modo agire sulla base della tipologia di porta che si trovava davanti: questa in particolare, era una di quelle molto facili da aprire.
Con entrambe le mani eseguí dei movimenti estremamente precisi e calcolati che poco si addicevano al suo carattere impetuoso, finché dopo pochi minuti riuscì a muovere l'ingranaggio sbloccando la serratura. Emise un piccolo sospiro mentre estraeva il filo metallico utilizzato al posto della chiave, e con una smorfia di dolore si voltò indietro cercando lo sguardo di Selin.
-Ecco fatto- annunciò, striracchiando la schiena con le mani distese lungo i fianchi.
Era tormentato da violente fitte di dolore che si stavano manifestando quasi in ogni parte del suo corpo, ma era grato di non avere nessun osso rotto. Dopotutto il semplice dolore fisico era molto bravo a sopportarlo: nel corso della sua vita aveva imparato ignorarlo, e non era certo la prima volta che gli capitava di uscire da uno scontro in condizioni disastrose. 
Selin osservò la porta per alcuni secondi, era certa di aver sentito un suono promettente provenire dalla serratura ma non era ancora del tutto certa che fosse stata effettivamente sbloccata.
Non si fidava.
-Aprila, fammi controllare- gli ordinò.
La piccola Felia, sul cui petto l'altra teneva avvolte le braccia, si accese di gioia.
Presto sarebbe finito tutto quanto.
Nell'udire quelle parole il killer sembrò deluso, forse perché si aspettava che con il suo gesto avrebbe guadagnato da parte della ragazza un poco di riconoscenza; poggiò una mano sulla maniglia e la abbassò, aprendo la porta di pochi millimetri giusto per dimostrarle che avesse davvero mantenuto la promessa. -Visto? È aperta- commentò.
La castana aggrottò la fronte, a quel punto si trovava a pochi passi dalla libertà ma c'era ancora un problema: il suo aguzzino si trovava davanti all'ingresso. Non sarebbe stata così stupida da passargli accanto.
-Ok, adesso allontanati dalla porta- gli ordinò freddamente, indicando un angolo in fondo alla stanza. -Mettiti laggiù-.
Controvoglia Jeff eseguí anche quell'ordine, a quel punto ci teneva davvero a dimostrare il suo pentimento per ciò che aveva fatto; non che fosse una cosa che gli era già capitata prima.
Non aveva mai provato sentimenti di colpa per le sue azioni, ma con quella ragazza e quella bambina tutto sembrava essere diverso dall'ordinario.
-E va bene- mugolò infastidito, mentre con fatica attraversava la stanza e si posizionava esattamente dove lei aveva chiesto; ciò gli richiese non poca fatica, a causa della debolezza generale causata dall'abbondante perdita ematica che aveva subito.
Solo quando stabilì che lui fosse sufficientemente lontano, e calcolando anche che non avrebbe mai potuto raggiungerla in tempo a causa della lentezza dei suoi movimenti, Selin compì il primo passo in direzione della porta aperta tenendo la mano della piccola Felia ben stretta nella sua.
Si voltò indietro più volte per assicurarsi che Jeff non tentasse di avvicinarsi ancora, poi con un gesto deciso spalancò l'ingresso e si ritrovò dinnanzi a quel corridoio sporco e vuoto che, nel corso dei giorni di prigionia, aveva desiderato raggiungere più di ogni altra cosa.
E Jeff, fermo in piedi sul fondo della stanza, la osservò per tutto il tempo senza dire una parola ma con il volto ricoperto da un fitto velo di profonda tristezza.
La ragazza non esitò un secondo a varcare la soglia, da quel punto in poi non osò più voltarsi indietro: ciò che doveva fare adesso era preparare in fretta il suo bagaglio e scappare via da quel posto il più lontano possibile.
Si riempì i polmoni di una abbondante boccata d'aria, gonfiando il petto. 
-Felia, ti riporto dal tuo papà- annunciò, iniziando a tirare con forza il braccio della piccola. Ma lei, tentando di impedirle di trascinarla, puntò i piedi a terra con tutta la forza che aveva.
-No, non voglio! Non voglio!- iniziò a dire mentre si aggrappava alla parete.
La bambina sembrava davvero terrorizzata alla sola idea di rivedere suo padre, e per quanto fosse assurdo Selin non aveva tempo di assecondare il suo capriccio.
Senza insistere ulteriormente lasciò la sua piccola mano abbandonandola in corridoio ed a passo svelto si diresse in direzione della propria stanza, laddove conservava i suoi pochi averi; dopo un paio di secondi, la piccola correndo la seguì.
Era tutto finito.
Selin entrò di fretta nella sua stanza inspirando a pieni polmoni l'odore di muffa che aleggiava l'interno, reputandolo decisamente più piacevole del tanfo si sangue e sporcizia che aveva respirato fino a poco prima: faticava a crederlo, ma rivedere quella camera fu un sollievo enorme.
Sotto lo sguardo preoccupato di Felia recuperò molto rapidamente tutto ciò che possedeva infilando gli oggetti sparsi all'interno del suo zaino, che poi si caricò frettolosamente in spalla.
Era esausta e destabilizzata come mai prima d'ora, ma allo stesso modo dannatamente felice: era stata un grado di sopravvivere ad una situazione disperata, sfuggendo alla morte in modo tanto assurdo quanto coraggioso.
Pochi secondi la separavano dalla libertà, e una volta fuori da quel maledetto hotel avrebbe pensato con più calma a cosa avrebbe dovuto fare dopo.
-Devo andarmene, Felia- esordì, stringendo le spalline dello zaino. -E anche tu, devi dire a tuo papà che dovete scappare via da qui-.
La bambina sollevò la testa, mettendo in luce uno sguardo profondamente triste e spaventato. -Non te ne andare, ti prego! Ho paura, non voglio...-
-Parlo io con tuo padre, ok?- la interruppe, mentre si stava già dirigendo a passo svelto verso l'uscita.
Non si aspettava di certo che, appena dopo aver messo un piede oltre la soglia, si sarebbe trovata davanti proprio la persona di cui stava parlando, in un atteggiamento per nulla amichevole.
Il padre di Felia le bloccò immediatamente la porta, e con uno spintone assestato sulle spalle la spinse indietro costringendola a rientrare; il suo volto era carico d'ira, la fronte aggrottata e le labbra strette risaltavano in modo ulteriore le rughe che attraversavano la sua pelle.
-Quella è mia figlia!- gridò l'uomo a denti stretti; il suo fiato puzzava di alcol.
La piccola scivolò via di lato e si allontanò dai due, rintanandosi dietro alla scrivania con le ginocchia piegate portando entrambe le mani alla testa per tappare le orecchie, come cercasse un modo per non udire le grida dell'uomo o quelle di Selin.
-Sapevo che eri stata tu a portarla via, maledetta puttana!-.
Terrorizzata la ragazza sollevò le mani in segno di resa e continuò ad indietreggiare con lo zaino ancora in spalla fino a che non andò a sbattere contro al letto. -Calmati, calmo, io non ho fatto niente!- tentò di spiegare, annaspando.
Ma la furia dell'uomo, chiaramente espressa dal suo volto teso sul quale albergavano anche due grandi occhiaie scure, fu incontenibile. -Hai rapito la mia bambina!- gridò ancora, mentre spostava lo sguardo sulla figura rannicchiata della piccola forse per assicurarsi che lei fosse ancora tutta intera.
-Che cazzo credevi di fare? Io ti ammazzo!-.
Avanzò rapido verso di lei e le sferrò un pugno che tentò di schivare, e che per questo non impattò sul suo viso ma bensì sulle sue costole. -Ascoltami ti prego! C'è un assassino in quest...-.
Non le fu concesso di terminare la frase, perché l'uomo la afferrò per i capelli e la fece cadere a terra, con la faccia sul pavimento.
-Cosa sei, una commerciante di bambini? Una zingara? Chi cazzo sei tu!-.
Nel caos infernale che si era creato la piccola Felia dovette far appello a tutto il suo coraggio per alzarsi in piedi, con le manine aggrappate al bordo sfibrato del mobile. -Papà non farle male!- gridò, ed il suono sqillante della sua giovanissima voce riempì la stanza di tristezza.
Selin tentò di ripararsi dai colpi avvolgendo le braccia attorno alla testa. -Ascoltami, lasciami spiegare!- gridò a sua volta.
Per un attimo la rabbia dell'uomo sembrò placarsi: si fermò, e rivolgendo uno sguardo severo alla figlia le fece cenno con una mano di raggiungerlo. -Vieni subito qui, Felia- le ordinò.
Ma la piccola, terrorizzata com'era, non osò muovere un singolo passo.
-Vieni qui!- le gridò ancora, con la lingua chiusa tra le labbra come stesse cercando di contenere il desiderio di afferrarla e trascinarla via con la forza.
Nel frattempo, udendo tutto quel baccano, una terza persona giuse sul posto.
La porta di fronte, posizionata al lato opposto del corridoio, si spalancò in modo improvviso e ne uscì la figura alta e snella di Rose. La donna indossava ancora il suo pigiama, ma aveva gli occhi spalancati per la paura; non aveva idea di cosa fosse quel caos, ma udendo le grida aveva capito sin da subito che stava accadendo qualcosa di grave nella stanza della sua vicina.
Rose si precipitò sulla soglia in fretta, visibilmente spaesata. Sotto alle palpebre il trucco nero sbiadito imbrattava la pelle del suo volto, i capelli neri erano arruffati ed il suo volto assonato esprimeva una certa preoccupazione.
-Hei, ma che succede qui?!- esclamò.

Più della Morte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora