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Travolta da un pianto disperato, Selin pensò molte cose in quel momento: pensò che fosse spacciata, che forse avrebbe preferito venir uccisa subito anziché soffrire per un tempo così prolungato. Pensò che sperare nella compassione di quel folle fosse uno sforzo inutile, che tanto valeva sperare in una fine non troppo dolorosa e possibilmente veloce.
Con la testa bassa ed il corpo scosso da continui brividi pianse in modo silenzioso per svariati minuti, mentre il suo aguzzino si limitava ad osservarla senza commentare; se ne stava seduto sul bordo della finestra con le gambe a penzoloni, giocherellando con il suo coltello tra le mani come se si sentisse annoiato dalla situazione.
La camera, intrisa dell'odore del sangue e ora anche della candeggina che il killer aveva utilizzato per ripulire il pavimento, era avvolta in un soffocante silenzio.
Selin tentò di asciugarsi le guance con le mani legate e si concentrò sulla sua stessa respirazione, per regolarizzarla e calmarsi: era quasi certa che più avesse continuato a lasciarsi prendere dalla paura e minori sarebbero state le sue possibilità di uscirne viva. Voltandosi verso di lui si sforzò di tentare un ennesimo approccio, perché a quel punto non poteva fare proprio nient'altro.
-Io... Ho una famiglia...- mormorò, con evidente indecisione. -I miei genitori mi verranno a cercare...-.
Mentì su entrambe le cose, ma non importava: quel mostro non la conosceva, non poteva sapere che fosse in realtà completamente sola in un paese straniero.
Il killer restò ancora in silenzio a guardarla con totale indifferenza, poi piegò le labbra in un sorrisetto crudele appena accennato come a volerle suggerire che non gli importava assolutamente niente di chi lei fosse.
L'avrebbe ammazzata comunque.
-Per favore... Non parlerò...- mormorò ancora una volta Selin, con un filo di voce.
A quel punto lo vide saltar giù dal davanzale e avvicinarsi a lei, per un secondo pensò che forse era davvero riuscita a convincerlo.
Sollevò i polsi dolenti, ormai arrossati e gonfi, e trattenne il fiato mentre quel mostro le si fermava in piedi proprio davanti. Con le labbra socchiuse sussurrò un "ti prego" a malapena percettibile, terrorizzata dalla possibilità che le sue continue preghiere avrebbero potuto infastidirlo.
Lo vide osservarla immobile a pochi centimetri di distanza, poi iniziare improvvisamente a spogliarsi senza dire una singola parola.
Di nuovo fu pervasa dal terrore e iniziò ad agitarsi.
Tentò ancora una volta di liberare i polsi ignorando il dolore che ciò le stava causando, mentre il killer con disumana indifferenza si sfilava via la felpa e la gettava a terra, a pochi centimetri dai suoi piedi. Il suo torso era magro e asciutto ma ricoperto da una fitta muscolatura, attraversata da qualche vecchia cicatrice ancora molto evidente.
-Stai lontano da me!- gridò Selin iniziando a scalciare come poteva, nonostante si trovasse distesa a terra e con gli arti bloccati. Era certa che lui intendesse abusare di lei, il solo pensiero le scaturiva rabbia e immenso disgusto.
Tuttavua lui non se ne curò affatto, con indifferenza finí di spogliarsi fino a rimuovere completamente ogni indumento che stesse indossando. E non sembrò provare alcun disagio, nel farlo.
A quel punto si chinò davanti alla ragazza, che a quel punto si agitò ancora di più, e improvvisamente le mollò un sonoro schiaffo sulla guancia con forza tale da lasciarle sulla pelle lo stampo delle dita.
-Ti ho detto di non fare casino- grugnì irritato.
Selin spalancò le palpebre e voltò la testa in direzione del muro, a denti stretti; se avesse dovuto davvero sopportare quell'abuso, l'ultima cosa che desiderava era guardare quel mostro in faccia mentre faceva del suo corpo un suo personale giocattolo.
Chiuse gli occhi, riprese a tremare.
Stava solo aspettando di sentirlo afferrarla e strapparle via i pantaloni.
Tuttavia, poco dopo si rese conto che il killer era tornato ad alzarsi in piedi e si stava dirigendo verso il bagno con disinvoltura; non sembrava intenzionato a farlo, almeno non per il momento.
Sollevata la ragazza fece tre o quattro grandi respiri nel tentativo di recuperare la calma, cosa che riuscì a fare solo e soltanto nel momento in cui vide la figura del killer sparire dietro alla porta del bagno.
A quel punto sollevò il capo e poggiò la nuca contro alla parete, rivolgendo lo sguardo al soffitto; sentì lo scrosciare dell'acqua che veniva aperta, unito ad un fastidioso gorgoglìo derivato dalle tubature arrugginite.
Trovandosi finalmente da sola pensò che avrebbe dovuto sfruttare quell'occasione per tentare di liberarsi; aveva poco tempo a disposizione, era certa che lui non avrebbe impiegato molto a farsi la doccia.
Rotolando sul pavimento riuscì a raggiungere il comodino accanto al letto ed iniziò a sfregare ripetutamente i polsi attorno agli angoli; poi fece lo stesso con il bordo in ferro del letto, e qualsiasi altra cosa che sembrasse minimamente adatta.
La sua ansia saliva ogni secondo di più, ma quella maledetta fascetta non voleva proprio saperne di rompersi.
Quando sentì l'acqua della doccia venir chiusa fu travolta dalla più profonda disperazione. Tentò di alzarsi in piedi cadendo più volte, ed alla fine si ritrovò rannicchiata a terra, tremante e rassegnata.
Il suo aguzzino uscì dal bagno poco dopo, indossava degli abiti puliti ed aveva ancora i capelli bagnati.
-Stai sprecando le tue energie, dolcezza- le disse, con un tono di voce neutrale e disinteressato. -Ti suggerisco di conservarle meglio-.
La ragazza emise un sospiro tremante, poggiando la testa sulle mani. -Perché... Perché mi fai questo?- mormorò.
Sentiva continue fitte di dolore provenire dalla gamba ferita, dai polsi legati e da tutte le ossa del suo corpo.
Il killer la afferrò per le spalle e la sollevò nuovamente mettendola a sedere con la schiena contro al muro. Si fermò poi a guardarla da vicino, conficcandole addosso quel suo sguardo glaciale che non lasciava intravedere alcun cenno di umanità.
Il suo corpo profumava di pino, forse a causa del sapone che aveva usato per lavarsi.
Con un gesto rapido le bloccò la testa con una mano, mentre con l'altra applicava nuovamente del nastro adesivo sulla sua bocca, facendolo girare anche dietro alla nuca per bloccarlo meglio.
Selin emise un lamento ma lo lasciò fare, non tentò di impedirglielo in alcun modo.
-Devo uscire per un'ora al massimo, tu dovrai aspettarmi qui buona buona- le ordinò con freddezza.
Senza aggiungere altro il ragazzo dai capelli neri recuperò da terra due dei sacchi di plastica, che aveva riempito con i pezzi del cadavere, e li infilò all'interno di un grosso zaino da viaggio che poi si caricò in spalla; restavano ancora altri cinque sacchi oltre a questi, sicuramente aveva intenzione di sbarazzarsene un poco per volta.
Pietrificata ed impossibilitata a reagire in alcun modo Selin si limitò ad osservarlo mentre abbandonava la stanza e la chiudeva a chiave dall'esterno, poi restò in ascolto dei suoi passi felpati lungo il corridoio attendendo con impazienza di essere  certa che lui se ne fosse andato per davvero. Solo dopo alcuni minuti potè dirsi abbastanza sicura di questo, e allora riprese a tentare di liberarsi.
Mentre era intenta a far questo, sovraccaricata di ansia e disperazione, a un certo punto udì distintamente una piccola voce dall'altro lato della porta che riconobbe immediatamente.
-Sei li dentro?-.
Si trattava della piccola Felia. Sicuramente non vedendola tornare dopo così tanto tempo doveva essersi preoccupata e aver così scelto di uscire, nonostante le sue raccomandazioni.
La ragazza tentò invano di comunicare, ma con la bocca completamente tappata dal nastro adesivo le risultò pressoché impossibile; strisciando a terra si avvicinò alla porta chiusa, sperando che la bambina riuscisse a sentire i suoi lamenti.
-S..Selin? Ho paura-.
Sfregando la testa sul pavimento tentò di rimuovere il nastro, tuttavia senza riuscirci. Avrebbe tanto voluto poter dire alla bambina di andarsene via da lì, di mettersi al sicuro; non poterlo fare, la fece sentire stupida e inutile.
Dopo alcuni secondi di silenzio in cui Felia era rimasta in attesa di una risposta, la sentì allontanarsi dalla porta e correre lungo il corridoio probabilmente in direzione della camera in cui viveva assieme a suo papà.
Selin emise un sospiro gettando aria calda fuori dal naso, e si accasciò nuovamente a terra; perlomeno, poteva darsi felice di sapere che la piccola era in salvo.
Restò completamente sola all'interno  di quella stanza per circa un'ora, che spese interamente in continui tentativi di liberare le sue braccia dalla presa della fascetta: ma senza una lama a disposizione, ad un certo punto capí che le era impossibile.
I suoi polsi erano così gonfi che avevano iniziato a pulsare e stavano ormai sanguinando.
Era esausta, sul punto di arrendersi del tutto quando ad un certo punto ebbe un'illuminazione: non aveva ancora controllato se nel bagno vi fosse uno strumento che le sarebbe potuto essere utile.
Così, muovendosi con fatica, riuscì a raggiungerlo; il pavimento era ancora bagnato, i vestiti sporchi che quel mostro si era tolto di dosso erano stati gettati nel piatto doccia con incuria.
Puntando i gomiti sul lavandino la ragazza riuscì a sollevarsi da terra con immensa fatica e finalmente trovò ciò che stava cercando da ore: poggiata sul lavandino accanto ad un flacone di sapone vuoto, vi era una lametta da rasatura.
Con rinnovato entusiasmo la afferrò e tentò immediatamente di utilizzarla per liberarsi le mani, ma si rese presto conto che per farlo avrebbe dovuto romperla e prelevare dall'interno la lama, perché altrimenti non sarebbe stata in grado di utilizzarla per quello scopo.
La gettò quindi a terra e schiacciandola sotto alle suole delle scarpe sfilò una delle lame fuori dalla plastica, per poi afferrarla ed iniziare a recidere con estrema attenzione la fascetta che bloccava le sue mani; fu un'operazione difficile, ma alla fine riuscì ad indebolirla al punto che con un forte strattone le fu possibile strapparla. Finalmente aveva le mani libere.
A quel punto non perse tempo, e con la stessa metodologia sciolse anche le sue caviglie.
Potendosi muovere liberamente, subito si precipitò alla porta d'ingresso, che con sgomento trovò chiusa a chiave.
Era ad un solo passo dalla salvezza.
Prese la rincorsa indietreggiando di qualche passo, così carica di adrenalina da non percepire più il dolore proveniente dal suo corpo indolenzito, ed assestò una violenta spallata senza però riuscire ad abbattere la serratura.
Indietreggiò ancora, pronta per effettuare un secondo tentativo, ma proprio mentre stava per farlo sentì il terrificante rumore di una chiave che veniva frettolosamente inserita dall'esterno.
Si sentì mancare il fiato.
Lui era già tornato.

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