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Al termine del breve corridoio, affiancato sulla destra da una grande cucina in disuso e sulla sinistra da un salone riempito da un'accozzaglia di pochi vecchi mobili, si erigeva una scala in legno massello che conduceva al primo piano.
Selin iniziò a salire i gradini uno ad uno seguendo silenziosamente i passi di Dan, e guardandosi intorno con curiosità. L'ambiente era molto più malconcio di quanto avesse immaginato guardandolo dall'esterno, inoltre sembrava quasi che più salissero verso i piani superiori più le condizioni dell'edificio peggiorassero.
Le pareti erano piene di crepe che padroneggiavano sull'intonaco ormai scollato, il soffitto presentava innumerevoli infiltrazioni di umidità che avevano con il tempo generato ampie macchie nere di muffa.
Anche l'aria era piuttosto pesante: odorava di sporco, di umido e di fumo.
Nonostante le ampie dimensioni della struttura, durante il tragitto i due non incontrarono nessuno degli altri inquilini; i corridoi erano vuoti, dettaglio che li rendeva ancor più tristi ed inquietanti.
Mentre saliva i gradini Selin pensò che quel posto le dava il voltastomaco, ma che ormai era troppo tardi per tornare indietro; così, senza dire neanche una singola parola, seguì il padrone di casa finché lui non si fermò davanti ad una porta chiusa sul fondo del corridoio al secondo piano. Estrasse dalla tasca una chiave alla quale era appesa una targhetta, riportante il numero 105; lo stesso che era stato scritto sulla porta, con l'ausilio di un pennarello indelebile.
Dan inserì la chiave nella toppa, e mentre lo faceva si voltò verso la sua nuova ospite.
-Le regole sono poche e semplici, ma è necessario rispettarle tutte- iniziò a dire. -È vietato introdurre animali all'interno della casa, non si può fumare nelle aree comuni, e si deve rispettare il silenzio dalle nove di sera fino alle sette del mattino-.
Spalancando la porta cigolante, finalmente la stanza a lei assegnata si palesò davanti agli occhi della ragazza: grande circa venti metri quadri, dotata di un letto matrimoniale ed una grossa finestra dal vetro rigato che mostrava un malinconico e triste scorcio sull'ambiente cittadino all'esterno. Vi era anche un armadio, un comodino e un piccolo bagno privato, della cui presenza la ragazza fu decisamente molto felice.
-Eccola qui, camera centocinque-.
Selin annuì con un lieve cenno del capo, facendo il primo passo oltre la soglia. L'aria puzzava di chiuso, forse era rimasta sfitta per diverso tempo.
-Grazie...- mormorò, attendendo che Dan le consegnasse le chiavi. Lui però restò fermo a guardarla per diversi secondi come se stesse aspettando qualcosa, e alla fine allungò una mano agitandola a mezz'aria -Pagamento anticipato, ricordi? Devi darmi i soldi per tutto il mese- le ricordò.
Selin sorrise lievemente imbarazzata e poggiando il suo zaino sul letto recuperò la busta ove teneva al sicuro i suoi risparmi; recuperò la somma richiesta, e dopo aver contato un paio di volte le banconote per essere sicura di non aver commesso errori, le consegnò tra le mani di Dan.
L'uomo ne sembrò soddisfatto, le infilò in tasca molto velocemente. -Bene. Il riscaldamento è centralizzato, il termosifone si accende alle diciotto e si spegne alle ventitré. Per quanto riguarda l'acqua calda, la potrai utilizzare solo per venti minuti al giorno, dopodiché non sarà più disponibile-.
Selin si mise a sedere ed annuì, stanca com'era desiderava soltanto che lui se ne andasse.
-Ah, dimenticavo- aggiunse ancora Dan, prima di uscire dalla stanza. -Se hai problemi mi trovi al piano terra, ma solo dalle nove alle diciotto, io non vivo qui-. Detto questo, l'uomo sorrise e fece un passo indietro oltre la soglia, per poi chiudere con delicatezza la porta.
Finalmente rimasta sola all'interno della stanza, la castana emise istintivamente un gran sospiro di sollievo.
Fece scorrere lo sguardo sulle quattro pareti umide e malconcie che sarebbero state la sua casa durante quel primo mese, soffermandosi di tanto in tanto su alcuni dettagli: la tenda rosa che contornava la grossa finestra era molto scolorita e presentava diversi strappi, così come anche molte delle mattonelle sul pavimento erano crepate o del tutto mancanti. Era presente un singolo quadro che ritraeva un paesaggio boschivo, appeso sopra alla testata del letto, ed un lampadario di ferro pendeva giù dal soffitto, privo di tre lampadine su sei.
"Benvenuta in America, Selin- borbottò tra se e se, mentre iniziava distrattamente a disfare lo zaino.
Con un blocchetto di sapone solido che trovò nel bagno le fu possibile sfilarsi i vestiti fradici di dosso e ripulirli, lavandoli e strizzandoli nel piccolo lavello a sua disposizione, per poi appenderli ad asciugare sul gancio solitamente dedicato all'asciugamani. Nuda ed infreddolita la ragazza si ritrovò a fissare la sua immagine nello specchio per un lungo lasso di tempo, e sussurrò a sé stessa che sarebbe andato tutto bene.
Perché doveva andare bene.
Si infilò sotto alla doccia battendo i denti, e con il medesimo pezzo di sapore si sfregò l'intero corpo con decisione, lavando via tutto il sudore e lo sporco cumulati durante il suo lungo viaggio.
Poi ad un tratto, mentre sciaquava via il sapone dalla pelle, l'acqua divenne improvvisamente gelida.
"Solo venti minuti al giorno" ripeté dentro di sé la ragazza, balzando fuori dalla doccia ed avvolgendosi nell'unico asciugamani che aveva a disposizione; doveva aver utilizzato i primi cinque o dieci minuti di acqua calda per pulire i vestiti, non calcolando correttamente il tempo che aveva a disposizione.
Si rivestì con il cambio di abiti che aveva portato con sé, poi finalmente poté mettersi a sedere in quello che adesso era il suo letto. Si sistemò al centro con le gambe accavallate ed i gomiti poggiati sulle ginocchia.
In quella posizione si sentì stupidamente come una sorta di regina: non era mai stata in un letto così grande, nonostante fosse vecchio e malconcio.
Trattenne il fiato chiudendo gli occhi per qualche secondo e rimase in ascolto del rumore della pioggia oltre il vetro; si sentiva profondamente sollevata di trovarsi al sicuro in quel momento, e pensò che in fin dei conti le cose non erano andate poi tanto male.
Pensò alle altre donne con le quali aveva condiviso il viaggio in camion, e si chiese se anche loro avessero avuto la fortuna di trovare un luogo in cui ripararsi dalla pioggia per quella notte.
Dopo aver sistemato le poche cose che aveva con sé ed essersi rilassata per qualche minuto, Selin volse lo sguardo al piccolo orologio che si trovava appeso sulla porta della camera, segnava le diciotto. A meno che quell'aggeggio non fosse scarico e dunque non stesse segnalando l'ora esatta, avrebbe avuto ancora diverse ore da riempire con qualche tipo di attività che non fosse restare ferma a fissare il muro, e così decise di uscire e dare un'occhiata al resto della struttura. A quanto aveva capito il salone a piano terra era uno spazio comune a disposizione di tutti gli ospiti, così come la terrazza posta sul retro.
A passo lento raggiunse la porta e la aprì, per poi richiuderla attentamente a chiave non appena ebbe messo piede nel corridoio. Quel piano presentava circa dodici porte poste ordinatamente in file di sei per ogni lato, ed in particolare la sua personale stanza era l'ultima in fondo a sinistra; incamminandosi distrattamente, la ragazza riuscì a scorgere in lontananza le figure di due uomini che stavano scendendo le scale giungendo dal piano superiore, e la cosa la turbò non poco. Ricordava molto distintamente ciò che aveva letto sul cartello all'interno di quel bar, ed era assolutamente certa che fosse stato specificato "Camera per donne".
Questo l'aveva portata a supporre che l'intera struttura fosse dedicata esclusivamente ad ospiti di sesso femminile, perciò le parve davvero strano incontrare anche degli uomini lungo i corridoi; si disse che, non appena avrebbe incontrato ancora Dan, gli avrebbe chiesto spiegazioni a riguardo.
Con le mani affondate nelle tasche e lo sguardo basso Selin scese le scale fino a tornare al pian terreno, poi iniziò a passeggiare avanti e indietro giusto per riuscire a scrutare l'ambiente senza sembrare troppo strana. Il salone era uno spazio decisamente molto ampio, al centro del quale erano stati posizionati molteplici divani di diverse fattezze e colori, probabilmente recuperati in qualche mercato dell'usato a giudicare dalle loro pessime condizioni di conservazione; vi era poi un camino spento, dentro al quale erano stati sistemati alcuni scatoloni e cianfrusaglie varie, il che suggeriva che non venisse mai acceso. Nella sala erano presenti in quel momento circa una decina di persone, e tra queste l'attenzione di Selin fu quasi immediatamente catturata dalla bambina seduta sul divano, con un uomo adulto in piedi davanti a lei; forse suo padre. Una meravigliosa chioma di riccioli biondi pendeva sulle sue spalle magre che dondolavano lentamente, incorniciando il volto angelico di una timida ed introversa bambina di otto anni; aveva due occhi color miele, profondi ed intelligenti, ed un profilo delicato ne caratterizzava i lineamenti.
Stava canticchiando il ritornello di una canzone che Selin non conosceva, sotto lo sguardo attento del padre che sembrava tenerla sott'occhio in ogni singolo momento; l'uomo era molto magro, sbarbato, ed aveva uno sguardo truce.
-Felia piantala di cantare, mi fai diventare pazzo- borbottò rivolgendosi alla figlia la quale, sollevando la testa, metteva inconsciamente in mostra il grosso livido che portava sul collo.
L'uomo si accorse poco dopo di essere osservato, e rivolse uno sguardo carico d'odio in direzione di Selin: odiava chiunque potesse posare gli occhi su sua figlia, forse odiava tutte le altre persone in generale, ed in particolar modo tutte quelle che come lui abitavano in quella dannata topaia.
Intimorita la ragazza distolse lo sguardo immediatamente, capendo di aver a che fare con un individuo poco raccomandabile; si avvicinò quindi alla finestra, osservando il grigio paesaggio esterno attraverso il vetro pieno di goccioline. La presenza di quell'individuo la metteva fortemente a disagio.
-Papà?- esclamò ad un certo punto la bimba, sollevando lo sguardo e continuando a dondolarsi. -Possiamo tornare di sopra, adesso?-.
Selin si voltò ancora in modo quasi automatico, e vide l'uomo rivolgere alla figlia un'occhiata piena di irritazione. -Ti ho detto di aspettare, non mi rompere il cazzo Felia- le disse, mostrandole un pugno chiuso come a volerle suggerire che se avesse continuato ad infastidirlo sarebbe passato alle botte. E la bambina, che stupida non era affatto, tacque immediatamente riprese a dondolarsi sul divano.
Nell'osservare quella scena Selin si sentì profondamente triste, ma non osò intervenire; distrattamente si allontanò dalla finestra ed uscì dal salone, per poi avviarsi sulla rampa di scale e ritornare silenziosamente nella sua camera.

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