ƈą℘ıɬơƖơ 12

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Nel giro di un paio di secondi, l'inferno vissuto da Selin fino ad allora si tramutò in qualcosa di molto peggiore.
La porta fu spalancata dall'esterno in modo improvviso e violento, così velocemente che lei non ebbe neppure il tempo di spostarsi: l'anta le sbattè sulla faccia e per poco l'impatto non le ruppe il setto nasale. Il killer dai lunghi capelli neri si fiondò all'interno della stanza con un balzo e la spinse via facendola cadere a terra, giusto prima di richiudere a chiave l'ingresso e precipitarsi nuovamente su di lei con una furia disumana.
Premendosi una mano sul volto a coprire la fronte Selin tentò di allontanarsi scivolando sul pavimento sporco; tentò di dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma era paralizzata dalla paura.
Il suo corpo era travolto da continui spasmi, respirava molto velocemente eppure era certa che le mancasse ossigeno.
Vide il killer, adesso in piedi sopra di lei, fermarsi un paio di secondi a guardarla: era arrabbiato.
Terribilmente arrabbiato.
-Volevi fregarmi, eh!?- le gridò, mollandole uno schiaffo sulla guancia destra. -Maledetta puttana-.
Selin puntò a terra i palmi delle mani e si alzò con un balzo, allontanandosi poi da lui di qualche metro: fece il giro attorno al letto, nel vano tentativo di mettersi in una posizione più vantaggiosa. Ma chiusa a chiave in quella stanza era sicura che non avrebbe avuto scampo in nessun modo.
-Ti prego, per favore non farmi del male- borbottò, annaspando. -Per favore-.
La rabbia che il killer stava provando, e che sfociava in un violento tremore delle sue braccia, aveva bisogno di ben altro per essere placata.
Calpestando il letto con i piedi la raggiunse in un battito di ciglia e la afferrò sbattendo la sua schiena contro alla parete, poi la colpì con un secondo schiaffo sulla medesima guancia, generando un suono acuto che rimbalzò nell'ambiente circostante.
-Che cosa pensavi di fare, uh?!- le gridò ancora, tentando di bloccarla.
Ma Selin non si arrese, a quel punto stava nuovamente lottando per la vita o la morte e neanche un solo fiato avrebbe sprecato. Tentò di divicolarsi e per un attimo vi riuscì, ma ecco che lui la bloccò nuovamente e questa volta aveva in pugno entrambi i suoi polsi, uniti tra loro.
L'aggressore vantava certamente di una forza fisica nettamente maggiore rispetto alla sua, e ciò le rendeva impossibile adesso liberarsi da quella salda presa.
Tentò quindi di sferrargli un calcio e vi riuscì colpendolo su un ginocchio, ma il lui non accennò minimamente ad arretrare; e così, in preda al terrore e alla disperazione, la ragazza fece l'unica cosa che le restava da fare: si protese in avanti e lo morse su una spalla, affondando i denti nella sua pelle così forte da sentir dolore alle sue stesse mandibole.
A quel punto il killer indietreggiò emettendo un lamento, e per un attimo allentò la presa su di lei; cogliendo l'occasione al balzo Selin scivolò via lateralmente e correndo raggiunse la porta. Pur essendo cosciente che fosse chiusa a chiave tentò di aprirla, e dopo la conferma al fatto che non le fosse possibile uscire da lì valutò per un secondo di buttarsi giù dalla finestra: sarebbe certamente morta all'impatto con il terreno sottostante, ma forse in modo meno doloroso rispetto a ciò che le aspettava come alternativa.
-Non posso crederci, mi hai morso- recitò con rabbia e stupore la voce del moro, mentre le si avvicinava di nuovo con fare minaccioso. -Maledetta stronza! Come cazzo ti permetti?!-.
Quelle furono le ultime parole che Selin udì prima di venir nuovamente spinta a terra, poi bloccata con la faccia premuta contro al pavimento mentre disperatamente si dimenava. Il moro le afferrò i capelli e li utilizzò per tenerla ferma, poi iniziò a sferrare una serie di pugni sullo stomaco finché lei, travolta da dolore, non cessò i suoi costanti tentativi di sfuggirgli.
-Ti avevo avvisata, cazzo!-.
Selin fu scossa da una serie di violenti colpi di tosse e sputò a terra del sangue scarlatto: doveva essersi recisa un labbro con i denti. Nonostante tutto questa volta non tentò di rialzarsi, né di scivolare sul pavimento come un verme per allontanarsi dal suo aguzzino: semplicemente restò ferma a terra e chiuse gli occhi, sperando forse inconsciamente che in qualche modo tutto sarebbe finito in quell'istante, inghiottito dal buio dietro alle sue palpebre.
Non si mosse di un solo millimetro quando sentì il killer bloccarle nuovamente i polsi con una fascetta. Non si mosse neanche quando iniziò a trascinarla a terra lungo la stanza.
Fu legata con l'ausilio di una catenella ad un tubo di ferro che fuoriusciva dalla parete sul fondo della stanza, seduta sul pavimento gelido e con la schiena sollevata, in una posizione estremamente scomoda.
Il killer si assicurò che questa volta non le fosse possibile liberarsi in alcun modo, e dopo averlo fatto si chinò davanti a lei e le afferrò il mento costringendola ad aprire gli occhi e guardarlo dritto in faccia. Malignamente sorrise, mentre la ragazza singhiozzava: il suo volto era arrossato, zuppo di lacrime salate.
-Visto? Ti sarebbe bastato fare la brava, per evitare tutto questo- commentò. I suoi occhi erano gelidi, privi di qualsiasi riflesso di emozione che potesse dirsi umana.
Selin deglutí e fece scorrere la punta della lingua sulle labbra sanguinolente.
-...Mi fai schifo- mormorò, con un filo di voce. Era terrorizzata da lui, ma sentirsi così tanto vicino alla morte la induceva ad essere più sprezzante del pericolo.
-Non sei certo la prima persona che me lo dice- ribatté lui, con un sadico sorriso dipinto sulle labbra sottili. -Pensi di avermi appena ferito?-.
La ragazza abbassò lo sguardo a denti stretti, faticava a sopportare il dolore dovuto alle botte appena incassate. Fece scorrere uno sguardo distratto sul profilo del volto del suo aggressore, sulle bizzarre cicatrici ricurve che attraversavano le sue guance e sul pallore della sua pelle: le veniva da chiedersi se fosse davvero un essere umano, o qualcos'altro.
A quel punto ormai sapeva che la avrebbe uccisa, ne era assolutamente certa.
Ed aveva iniziato a desiderare che lo facesse in fretta.
Ma lui, osservandola dritta negli occhi per una manciata di secondi decisamente troppo lunga, sembrava per qualche ragione essersi tranquillizzato. -Sei una straniera, è così?- le chiese.
La ragazza fu molto stupita di quella domanda, principalmente perché non capiva il motivo di quel cambio di argomento che le sembrava assolutamente insensato.
-...Che importa- mugolò.
Il killer piegò lievemente la testa e le afferrò ancora il mento, per poter scrutare meglio il suo viso. -Certo che lo sei- disse, rispondendo a se stesso. -Probabilmente sei pure una clandestina, quindi non c'è proprio nessuno la fuori che possa preoccuparsi per te-.
Quelle parole furono dolorose come lame conficcate nella carne, e Selin ne percepì chiaramente tutta la cattiveria: ciò che lui intendeva, ovviamente, era che avrebbe potuto fare di lei tutto ciò che desiderava giacché nessuno mai avrebbe notato la sua assenza.
Certo, avrebbe potuto continuare a mentire, ma era chiaro ormai che lui avesse intuito quale fosse la sua reale condizione ed a quel punto, forse, raccontare altre balle non avrebbe avuto senso.
-Sì, sono una clandestina- rispose, tentando di ignorare le continue fitte di dolore provenienti da ogni parte del suo corpo. -Contento?-.
Il moro sorrise, e finalmente le lanciò il viso. -Come ti chiami?-.
A quella domanda lei esitò qualche secondo prima di rispondere, ma non per un motivo preciso: semplicemente, non se l'aspettava.
-Selin- si limitò a dire, evitando il contatto visivo per quanto le fosse possibile.
Lui annuì brevemente. -Selin...- ripeté con un filo di voce, come stesse cercando di memorizzare il suo nome. -E cosa ci fai qui?-.
La ragazza strinse le labbra ed emise un lento sospiro mentre il suo affanno tornava a regolarizzarsi; non aveva idea di quale fosse il motivo per cui quello psicopatico le stava porgendo tutte quelle domande, e la situazione stava diventando per lei davvero snervante.
-Speravo di farmi... Una vita nuova- disse, riuscendo a stento a trattenersi dal piangere.
Il killer non disse null'altro ma tornò in posizione eretta e le voltò le spalle, dirigendosi con una naturalezza disarmante fino al suo letto; qui si sdraiò lasciandosi cadere a peso morto sul materasso e senza neppure togliersi i vestiti, con il volto rivolto verso il soffitto.
All'improvviso sembrava aver perso totalmente il suo interesse nel comunicare con lei, e Selin non era affatto sicura che si trattasse di una cosa positiva; restò in silenzio a guardarlo per diversi minuti, chiedendosi che cosa avrebbe dovuto aspettarsi adesso.
Era riuscita a recuperare la calma, ed ora che la stanza era avvolta da un insopportabile silenzio stava nuovamente portando la sua attenzione al tanfo di sangue che raggiungeva le sue narici, oltre che al pulsare dei suoi polsi gonfi stretti nella catena.
Pensò a lungo a cosa avrebbe potuto o dovuto fare senza riuscire a darsi una risposta soddisfacente: aveva certamente a che fare con un folle, una persona completamente imprevedibile ed insana che rappresentava un enorme pericolo. Perciò, considerata la situazione in cui lei versava, l'unica cosa sensata che le venne in mente fu tentare di instaurare con lui una sorta di rapporto di fiducia, o comunque stabilire un contatto emotivo anche fasullo che lo avrebbe indotto a non ucciderla.
Doveva fingersi sua amica.
Obbedirgli senza più replicare.
E sperare con tutto il cuore che questo sarebbe bastato per non essere macellata e infilata in un sacco dell'immondizia.
-E tu...- mormorò, con la voce che tremava. -Come ti chiami?-.
Vide il ragazzo dai capelli neri voltare la testa in sua direzione, e un'espressione di stupore apparire sul suo volto sfregiato. Anche lui sembrò esitare molto a fornirle una risposta poiché rimase in silenzio per decine di secondi.
Ma poi, affondando la testa nel cuscino e tornando a fissare il soffitto sopra di se, le rispose.
-Jeff. Mi chiamo Jeff-.

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