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L'odore della muffa e della polvere erano ormai diventati una quotidianità alla quale Selin si era abituata in fretta, tanto che non faceva più neanche caso alle macchie scure agli angoli del soffitto sopra alla sua testa.
Quella mattina decise di non uscire dalla sua stanza, e non solo perché si sentiva piuttosto depressa nella situazione in cui si trovava, ma anche perché non aveva assolutamente voglia di incontrare nessun'altro almeno fino all'indomani. Tuttavia, quando sentì una piccola mano bussare alla sua porta non esitò ad aprire: si trattava di Felia.
La bambina la guardava dal basso all'alto con un paio di occhi dolci, stringendo tra le mani la sua pallina.
-Ti va di giocare con me, adesso?-.
Selin si sporse con la testa nel corridoio per verificare che il padre della piccola non fosse nei paraggi, poi timidamente annuì; quella piccoletta dai capelli ricci e dorati le ricordava molto la sorellina che aveva perso poco tempo prima ed anche se faceva fatica ad ammetterlo apprezzava davvero tanto la sua compagnia. Anche perché forse Felia era l'unica persona all'interno di quel fatiscente hotel ad essere stata da sempre gentile nei suoi confronti.
-Ma certo.. Perché no- le rispose, facendole cenno con una mano di entrare nella sua camera. Scelse tuttavia di lasciare aperta la porta, perché non voleva che il padre pensasse che lei intendeva rapirla, nel malaugurato caso in cui fosse venuto a cercarla.
La bambina allargò le guance in un caldo sorriso nell'udire quella risposta affermativa, e senza farselo ripetere una seconda volta varcò l'ingresso saltellando; iniziò fin da subito a guardarsi attorno con uno sguardo ammaliato, scrutando ogni centimetro della stanza con infantile interesse come se si trovasse all'improvviso in un mondo nuovo tutto da scoprire.
Eppure, Selin era certa che la sua stanza non fosse poi tanto diversa da tutte le altre: vecchia, fatiscente ed umida.
-Tu vivi qui?- chiese la piccola, mentre saltellava qua e là mettendo le mani dappertutto.
Selin sorrise. -Beh, almeno per il momento direi di si- le rispose, osservando ogni suo movimento con tenerezza. Cosa avrebbe dato per tornare bambina e come lei poter di nuovo sentirsi stupita da ogni più piccola cosa, privata dei pensieri e delle preoccupazioni che abitano la mente di ogni adulto.
Felia si fermò poi sotto alla finestra e alzandosi in punta di piedi rivolse una rapida occhiata al paesaggio visibile attraverso il vetro, che doveva essere diverso da quello che lei era abituata a vedere essendo la sua stanza posizionata sulla facciata opposta dell'edificio.
-Io ti ho detto il mio nome..- farfugliò poi, spostando la tenda con una mano. -Ma qual'é il tuo?-.
La ragazza le si avvicinò, mettendosi comoda sulla sedia che aveva posizionato li vicino. -Io mi chiamo Selin- le rispose.
La bimba incrociò il suo sguardo, e sembrò stupefatta. -Che nome buffo- commentò.
-Non sono di queste parti- aggiunse lei, con un altro sorriso. -Per questo il mio nome sembra buffo-.
-E da dove vieni?-.
Esitò qualche secondo nel rispondere a quella domanda, seppur stesse parlando con una bambina non le andava di rivelare le sue origini, tantomeno accennare al fatto che si trovasse in America senza un regolare visto. -Da parecchio lontano- si limitò a dire.
Felia parve pensare per qualche attimo, poi tornò a giocare con la sua palla.
L'atmosfera era avvolta da una quiete che Selin non avvertiva da molto tempo, e per diversi minuti rimase semplicemente ferma ad osservare i movimenti della bambina. Non le dispiaceva affatto aver ricevuto la sua visita ed era davvero molto contenta che lei avesse riposto una tale fiducia nei suoi confronti; quella piccola, ne era certa, aveva qualcosa di molto speciale.
Mentre era catturata da questi pensieri, con le labbra incurvate in un lieve ma costante sorriso, Selin udì all'improvviso una serie di rumori piuttosto forti che le fecero ghiacciare il sangue nelle vene in modo quasi istantaneo: ancora una volta, provenivano dalla stanza accanto.
Un grido.
Dapprima udì il grido soffocato di una voce maschile, seguito da un tonfo sordo che, lo avrebbe giurato, aveva fatto tremare lievemente il pavimento sotto ai suoi piedi.
Lamenti.
A seguire udì chiaramente dei deboli lamenti, ed un paio di altri rumori che non riuscì ad identificare.
Stava accadendo qualcosa di terribile nella stanza numero centoquattro, ne era assolutamente convinta.
Terrorizzata Selin si scambiò uno sguardo con la piccola Felia, la quale non sembrava aver compreso appieno la situazione ma di certo condivideva la sua preoccupazione; pensò che avrebbe dovuto agire in fretta, scendere di sotto ed avvertire Dan che qualcosa di orribile stava accadendo.
Non poteva fingere di non aver sentito niente, questa volta.
-Piccola resta qui, ok?- intimò alla bambina, balzando in piedi. -Non uscire finché non te lo dico io. Chiaro?-.
La piccola felia annuì con il capo, a quel punto anche lei sembrava terrorizzata; non solo per ciò che aveva sentito, ma soprattutto perché si era resa conto che Selin era davvero spaventata, e questo le suggeriva che sarebbe dovuta esserlo anche lei.
Un paio di secondi.
Selin impiegò solo un paio di secondi ad aprire la porta e lanciarsi nel corridoio, pensando che avrebbe dovuto correre più velocemente possibile fino alla rampa di scale e chiedere aiuto a chiunque avrebbe potuto intervenire: era praticamente certa che un uomo fosse appena stato ucciso in quella maledetta stanza.
Trattenne il fiato, tentò di calmarsi, ma solo dopo aver compiuto il primo passo lungo il corridoio udì la porta della camera centoquattro venir aperta in modo improvviso, ed una mano afferrarla con violenza proprio mentre vi stava passando davanti.
Un pugno stretto saldamente si avvolse attorno ad un lembo della sua maglietta e fu scaraventata a terra appena oltre la porta, poi trascinata sul pavimento; non riuscì ad urlare, urtò la testa con violenza e rimase senza fiato. Impiegò qualche secondo per riuscire a capire che cosa era accaduto, e nel momento in cui sentì la porta venir chiusa a chiave capí con grande sgomento di essere stata scaraventata all'interno della camera, ora anche chiusa a chiave.
-Ti avevo avvisata-.
Selin iniziò ad annaspare, poggiò a terra i palmi delle mani nel tentativo di issarsi ma si rese conto che il pavimento era bagnato, umido ed appiccicoso. Spalancò gli occhi, e realizzò in quell'istante di essere distesa a terra affianco al corpo morente di uno sconosciuto, che veniva scosso dagli ultimi spasmi involontari; vi era sangue dappertutto, di cui gran parte stava fuoriuscendo da quello che era ormai un corpo morto: un'orripilante fontana rossa sgorgava dal suo collo reciso e si riversava a terra seguendo le fughe tra le mattonelle.
Terrorizzata a morte Selin cacciò un urlo disperato, ma la sua bocca fu subito tappata dalla mano destra del killer, che la bloccò a terra in modo che lei non potesse muoversi.
-Shh, così fai troppo rumore- le disse, con un tono di voce calmo e pacato che in quella situazione risuonò dannatamente strano.
Nuovamente Selin incrociò quel suo sguardo tetro, quegli occhi vuoti e quel sorriso forzato che portava sulle guance pallide, e sentì che stava per svenire.
Aveva la schiena zuppa di sangue, il suo corpo tremava visibilmente ed era disgustata dalla mano sporca che lui le teneva premuta sulla bocca.
L'aria all'interno di quella stanza aveva un odore tremendo.
Il killer la osservò per alcuni secondi continuando a tenerla bloccata a terra, ed a impedirle di gridare; soltanto qualche rantolo fuoriusciva dalla sua bocca, e lui di certo godeva nel vedere quanta paura fosse riflessa in quegli occhi color castagna.
-Ho provato ad evitare tutto questo, ma a quanto pare non riesci a farti gli affari tuoi- le disse, senza staccarle gli occhi di dosso.
Spinta dall'adrenalina e dalla forza della disperazione Selin tentò di mordergli la mano senza riuscirci, poi iniziò a scalciare; non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Riuscì per qualche attimo a liberarsi dalla presa dello psicopatico e tentò di alzarsi in piedi, ma inevitabilmente scivolò sul sangue che aveva ormai riempito il pavimento e cadde rovinosamente al suolo, sbattendo la schiena contro ad un mobile. Emise un lamento, e si ritrovò nuovamente le mani del killer sulla faccia pochi attimi dopo.
-Se continui a fare tutto questo casino ti ammazzo subito, che ne dici?- ghignò lui, guardandola dritta negli occhi.
Solo allora Selin iniziò a calmarsi, anche perché adesso aveva notato la presenza del coltello che lui teneva nella tasca dei pantaloni; era intriso di sangue, così come il resto degli abiti che quel folle stava indossando.
Nonostante il panico e il terrore che le avevano annebbiato la mente, Selin in quel momento capí che forse fingere di stare al gioco le avrebbe potuto salvare la vita; così, con il cuore che batteva all'impazzata e la sensazione di non riuscire a respirare, tentò in tutti i modi di recuperare il controllo.
Restò immobile, limitandosi a ricambiare quel suo sguardo spettrale, fino a che lui non si decise a togliere la mano dalla sua bocca.
-Brava, vedi quanto è facile?- commentò il ragazzo, riferendosi al suo improvviso silenzio. Sulle sue labbra sottili allargò un sorriso malsano, che dava l'effetto di venir prolungato dalle due orrende cicatrici che portava sulle guance, e riprese a scrutarla attentamente.
Selin restò in silenzio, spostando lo sguardo di pochi centimetri sulla sinistra quanto bastava per osservare il corpo senza vita che giaceva disteso vicino a lei.
Si trattava di un uomo di mezza età, era stato ammazzato brutalmente ed il suo cadavere ancora caldo versava in uno stato a dir poco pietoso.
Le salì un conato di vomito che trattenne a stento, e colta da un primordiale istinto di sopravvivenza assestò una energica spinta sul petto del killer facendolo indietreggiare, per poi balzare in piedi e tentare ancora una volta di raggiungere l'uscita.
Tutto ciò che poteva fare era lottare per la sua vita con tutta la forza che aveva in corpo.
Anche questa volta tuttavia lui la fermò facilmente impedendole di raggiungere l'uscita, ed afferrandola per i capelli le fece sbattere la testa contro alla parete senza alcuna pietà.
-Sei proprio una stronzetta, allora- lo sentì esclamare, subito dopo l'impatto.
Una frazione di secondo più tardi, Selin perse i sensi molto rapidamente e tutto divenne nero.

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