ƈą℘ıɬơƖơ 19

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Mentre Jeff era privo di conoscenza, Selin vagò di fretta per la stanza alla ricerca di qualsiasi cosa avrebbe potuto utilizzare per medicare le sue ferite.
Nel piccolo armadio a specchio appeso alla parete del bagno riuscì a reperire una bottiglia di disinfettante mezza vuota ed un paio di garze, non sufficienti per coprire tutte le lacerazioni; decise quindi di utilizzare delle lenzuola che sembravano essere pulite, recupandole dal ripiano più basso dell'unico armadio presente nella stanza.
Sotto lo sguardo curioso e vigile di Felia che nel frattempo sembrava essersi tranquillizzata, ripulì le ferite più profonde e le avvolse con cura strappando diversi lembi delle lenzuola che essendo ormai vecchie e usurate si scucirono piuttosto facilmente, applicando una tensione sufficiente da stringerle saldamente sulla pelle lesa.
Il tutto richiese circa venti minuti, durante i quali Jeff non accennò a risvegliarsi: un paio di volte la ragazza dovette assicurarsi che fosse ancora vivo, posando delicatamente un dito sulla sua gola per sentire il battito cardiaco.
Era molto debilitato, ma sarebbe probabilmente sopravvissuto.
Selin continuava a chiedersi chi lo avesse ridotto in quelle condizioni, e in generale che cosa gli fosse accaduto durante la sua assenza; poté solo fare delle ipotesi, ma in fin dei conti restarne all'oscuro non le sarebbe dispiaciuto poi così tanto: non era affar suo, nulla di ciò che riguardava Jeff rientrava nei suoi affari e si era dedicata alla sua assistenza solo ed esclusivamente perché spinta da una sorta di compassione.
Inoltre, sapeva che presto se ne sarebbe andata via da quel posto maledetto e che il suo incontro con quello squilibrato sarebbe stato solo uno strano e spiacevole ricordo.
Dopo aver terminato il lavoro la castana recuperò una coperta e la distese sul suo corpo per tenerlo al caldo, poi rivolse il suo sguardo alla piccola Felia.
-Ti riporto dal tuo papà, adesso- annunciò con un sorriso. -Hai visto? È tutto finito, come promesso-.
Ma sul viso della piccola, anziché apparire un'espressione di felicità e sollievo, si dipinse all'improvviso un ghigno di grande preoccupazione: non sembrava affatto sollevata, e forse fu per questo che era rimasta ferma nello stesso punto per tutto il tempo.
Chinò la testa, ed i boccoli biondi scivolarano lungo le sue spalle sottili. -Io... Voglio restare con te- sibilò.
La ragazza aggrottò la fronte, confusa. -Come? No Felia, non puoi stare qui- le rispose. Non riusciva a capire il motivo per cui la bambina si stesse comportando in quel modo, proprio adesso che aveva occasione di uscire da quella maledetta stanza; l'unica spiegazione che riuscì a darsi sul momento, fu che fosse ancora troppo spaventata.
-Stai tranquilla, lui non può farti del male adesso- disse, indicando Jeff con un dito. -Puoi andare, non aver paura-.
Ma Felia, imperterrita, restò immobile con i piedi sulla stessa mattonella. -Non voglio, papà si arrabbierà moltissimo-. Le sue labbra si inarcarono verso il basso, come stesse nuovamente per scoppiare a piangere. Sembrava molto più spaventata dall'idea di doversi subire l'ira del padre, piuttosto che restare ancora in quella stanza ove aveva dovuto sopportare traumi atroci.
-Ma io... Non capisco- esordì a quel punto Selin, avvicinandosi a lei e poggiando amorevolmente una mano sulla sua spalla. -Devi tornare da lui, ti starà cercando e sarà molto preoccupato... Coraggio, non è sicuro per te restare qui-. Si rese conto in quel momento che la bambina stava tremando a contatto con la sua mano.
-Non voglio- ripeté la piccola.
L'altra emise un sospiro, e scegliendo di ignorare quel capriccio si diresse all'ingresso decisa ad andare a chiamare l'uomo e riportarla da lui, anche usando la forza se fosse stato necessario. Ma quando premette la mano sulla maniglia in ottone, una tremenda disperazione la travolse come un uragano: non si apriva.
Solo un quel momento con disperazione si ricordò che la chiave si era spezzata all'interno del meccanismo d'apertura, quando Jeff era tornato: in altre parole, si trovava chiusa all'interno e non sarebbe potuta uscire se non buttando giù l'intera massiccia porta di legno.
Deglutí a vuoto e tentò di non perdere la testa.
La situazione era paradossale, sembrava proprio che lo scorrere casuale degli eventi stesse facendo di tutto per impedirle di andarsene.
Provò a concentrarsi.
Dopo aver tentato con un paio di spallate si disse che avrebbe di certo trovato un altro modo per uscire da quell'inferno; ma prima, doveva prendere una importante precauzione: recuperò la catena e la avvolse con cura attorno ai polsi di Jeff per poi bloccarla saldamente contro alla struttura in ferro del letto, al fine di garantire la propria incolumità e quella di Felia nel caso in cui si fosse risvegliato prima del previsto.
A lavoro terminato si ritrovò a fissare il volto del ragazzo senza una precisa motivazione; lo aveva temuto profondamente per tutto il tempo, aveva creduto più volte che lui l'avrebbe uccisa nel peggiore dei modi, eppure ecco che adesso il suo aguzzino si trovava svenuto sul letto con entrambe le mani legate.
La situazione si era capovolta del tutto, ma forse aveva ancora bisogno di lui per uscire da quella dannata camera da letto.
-È morto?- mugolò la vocina di Felia, che si era avvicinata per sbirciare timidamente.
Selin le sorrise. -Oh, no. È solo svenuto- le rispose. -Si risveglierà, ma adesso non può piu farci del male-.
Sospirò pesantemente e si mise a sedere sul bordo del materasso, pensando che forse adesso sapeva per quale motivo avesse deciso di aiutare quel pazzo: gli era riconoscente.
Per quanto ciò fosse assurdo ed illogico, sentiva di dovergli un favore siccome lui aveva deciso di risparmiare la sua vita ed anche quella della bambina, nonostante avesse potuto facilmente liberarsi di entrambe in ben piu di un'occasione. Le aveva in un certo senso salvato la vita, e così allo stesso modo lei aveva deciso di salvare la sua.
Mentre Selin era avvolta da questi pensieri ad un certo punto udì uno scricchiolìo: voltandosi, notò che Felia stava frugando in un sacchetto di plastica adagiato sul pavimento.
Si trattava proprio della busta che Jeff reggeva in mano quando era entrato nella stanza, e che aveva lasciato cadere poco prima di svenire: in tutto quel trambusto se n'era completamente dimenticata.
Con un sorriso enorme la piccola Felia estrasse alcuni alimenti confezionati e qualche bibita in lattina, scrutando ogni singola cosa con infantile curiosità: doveva essere molto affamata, di fatti non esitò ad agguantare qualche busta di crekers e patatine.
-Mangia tutto quello che ti va- le disse Selin, osservandola con tenerezza. Quella situazione le scaldò il cuore, e la fece riflettere più di quanto non avesse già fatto fino a poco prima.
Forse Jeff non intendeva ucciderle per davvero, forse non lo aveva desiderato affatto, e quella busta piena di cibo ne era la prova. Si era preoccupato per loro, voleva assicurarsi che non sarebbero morte di fame e questa sembrava essere l'ennesima prova del fatto che non fosse esattamente la bestia immonda che voleva far credere.
D'istinto voltò ancora una volta lo sguardo su di lui, facendo scorrere gli occhi molto lentamente sul profilo del suo volto sfigurato e sui lunghi capelli che erano adesso riversi sul materasso e schiacciati dietro alla sua nuca. Non riusciva a capire quali fossero le motivazioni che lo avevano spinto ad agire in modi così contrastanti ed apparentemente privi di logica.
Jeff le aveva fatto del male in tanti modi diversi, ma alla fine aveva deciso di non ucciderla; ed ora aveva anche avuto l'accortezza di portare a lei e Felia il cibo necessario per sopravvivere alla prigionia.
Nella mente di Selin niente di questo aveva senso.
-Appena avrò trovato un modo per sbloccare la porta, ce ne andremo via da qui- annunciò con voce tenue la ragazza, stringendo le spalle. -Vuoi che parli io con il tuo papà, dopo?-.
La bambina poggiò sul pavimento il pacchetto vuoto e finí di masticare velocemente prima di risponderle: le era stato insegnato a non parlare mai a bocca piena.
-No, ti prego, non voglio-.
L'altra assunse un'espressione intenerita ed allontanandosi dal letto la raggiunse a passo lento.
-Lui ti fa del male, è così?- le chiese, con un sorriso che si allargava nervosamente sulle sue guance. -Tuo papà si arrabbia spesso con te?-.
Fia abbassò la testa in modo immediato, evadendo il contatto visivo. -...Sì- mugolò, tirando su con il naso.
Una risposta a quella domanda non sarebbe stata davvero necessaria perché Selin aveva già intuito da un pezzo quale fosse la situazione tra i due, ma sentirselo dire direttamente dalla bambina fu una conferma a ciò che già sapeva quasi per certo.
-Ma non posso tenerti con me, in ogni caso- replicò. -Sarebbe molto sbagliato, capisci?-.
La piccola annuì muovendo la testa, mentre distrattamente svitava il tappino di una bottiglia d'acqua.
I successivi cinquanta minuti trascorsero lentamente, mentre nel cielo scuro della notte si dissipavano le nubi che venivano sostituite da un manto stellato.
Selin controllò con attenzione tutte le ferite che aveva medicato sul corpo di Jeff e poté constatare di essere riuscita a bloccare la perdita ematica in modo efficace, dunque la sua vita sembrava non essere più in pericolo.
A quel punto avrebbe soltanto voluto poter abbattere la porta ed andarsene, il suo piano era semplice: abbandonare il vecchio hotel una volta per tutte, recarsi ad una stazione di polizia e segnalare la presenza del killer; a tutto il resto avrebbero pensato le autorità stesse. Tuttavia, vi era un problema che in quel momento non avrebbe potuto arginare, ovvero la possibilità che facendo questo avrebbe messo in pericolo anche se stessa: era infatti probabile, se non assolutamente certo, che la polizia avrebbe tentato di risalire alla sua identità per poi scoprire che lei era un'immigrata irregolare.
Questo avrebbe potuto causarle un grosso guaio.
Così, non sapendo esattamente come comportarsi e tantomeno in quale modo avrebbe potuto abbattere la porta da sola, decise di attendere almeno fino al risveglio di Jeff.
E poi, avrebbe deciso che cosa fare.
Durante l'attesa riprese a frugare tra le poche cose che lui deteneva all'interno di quella stanza nella speranza di trovare qualcosa di utile, guardando dentro ad ogni mobile ed anche sotto al letto; nel frattempo, la piccola Felia finalmente con la pancia piena si era adagiata nel solito angolo ed era caduta nel sonno.
Cercò a lungo ma non trovò molto: sembrava proprio che Jeff non avesse quasi nessun possedimento fatti salvi alcuni capi d'abbigliamento sgualciti ed un paio di bustine contenenti cocaina; niente oggetti preziosi e soprattutto niente soldi, che erano esattamente ciò che lei aveva sperato di trovare.
Erano ormai le quattro di notte, quando ad un certo punto il killer iniziò molto lentamente a muoversi emettendo un lieve rantolo di dolore.
Le sue palpebre si sollevarono pian piano, e mettere a fuoco l'ambiente che lo circondava fu per lui inizialmente difficoltoso.
Si sentiva fortemente intontito, tanto che dapprima non riuscì a capire dove si trovasse o a ricordare che cosa fosse accaduto.
Ma realizzò tutto quanto in un lampo, nel momento in cui posò lo sguardo sul volto teso e severo di Selin che lo stava fissando china sopra di lui.
-Finalmente sei sveglio- gli disse, con aspra ironia. -Forse dovremmo fare quattro chiacchiere-.

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