1.35 • LA PIETRA NERA

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«Va bene» sbuffai, esasperata. «Entro lo stesso. Tu aspettami qui».

Mario si grattò la testa, guardandosi intorno, per qualche secondo.

«Vengo con te» disse, infine.

Entrammo. Scendemmo di un piano attraverso una scaletta.

«Non dovremmo» disse Mario, titubante.

Riuscivo a percepire la sua angoscia. Io stessa, per quanto fossi determinata a portare a termine quella missione che avrebbe potuto salvare la vita a mia madre, sceso l'ultimo scalino, iniziai a sentirmi inquieta.

«Questo posto è malvagio» disse ancora Mario. «Non ci credo che non te ne accorgi».

«Lo è» confermai. «Hai ragione. Cerchiamo di fare in fretta».

«Non si vede niente» aggiunse.

Il soffitto era talmente basso che, anche se al buio non riuscivo a vedere Mario, ero sicura che non riuscisse a mantenere una postura eretta.

«Ho sentito qualcosa» disse.

Stavo per rispondergli di tornarsene in superficie e di smetterla di affliggermi con la sua ansia, ma udii qualcosa anche io. Un rumore di passi. Strano, ovattato. Ingiustificabile, su quel pavimento fangoso e parzialmente allagato.

«Chi c'è?» domandai.

Feci un passo indietro e urtai contro Mario.

«Dobbiamo andare via» disse lui.

Però, la persona o la cosa che camminava nelle tenebre, ci stava girando intorno.

«Lasciaci andare via» disse Mario. «E non torneremo più».

Mario era troppo spaventato e non c'erano altri Umani nei dintorni. Non avevo alcuna fonte da cui attingere. Se ci avesse attaccati avrei potuto usare soltanto le zanne per difenderci.

Cercai di seguire il rumore dei passi e, proprio quando avrei giurato che la creatura si trovasse alle mie spalle, sentii un alito freddo proprio davanti alla faccia, che odorava di muschio e di muffa.

Quindi erano in due.

Mi paralizzai. La cosa davanti a me mi stava annusando. Non mi mossi e cercai di non respirare, finché non lo sentii indietreggiare.

«Chi sei?» mi domandò una voce profonda, lontana, che sembrava provenire dal fondo di una grotta.

«Melania Mei» risposi, cercando di non balbettare.

«Sei un Vendicatore?» disse un'altra voce, alle mie spalle.

«Sì» risposi, sperando che fosse la risposta giusta.

Due fiaccole sulle pareti presero improvvisamente fuoco, illuminando quell'angusta e spoglia cripta di pietra e fango.

Così li vidi. Le creature che ci avevano accerchiati e immobilizzati schiena contro schiena: due giganteschi leoni di pietra.

Lari. Pietroni.

«Un genio e un Umano» disse uno dei due, continuando a girarci intorno come se stesse valutando la possibilità di divorarci in un sol boccone. «In una notte di luna piena».

Era una notte di luna piena?

«Cosa ti porta qui, ragazza?» chiese l'altro leone.

Passò sotto la torcia e potei osservare la perfezione con cui ogni muscolo era stato scolpito e si muoveva sinuosamente, proprio come quelli di un felino in carne e ossa. Complice la scarsa illuminazione, avrei potuto scambiarli per leoni veri se non fossero stati traditi da quelle criniere ricce tanto immobili.

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