14. Tholos - Cupola

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Rimasero in silenzio per qualche istante, rivolti entrambi verso la stessa direzione, ancora seduti in macchina, con i motori accesi

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Rimasero in silenzio per qualche istante, rivolti entrambi verso la stessa direzione, ancora seduti in macchina, con i motori accesi. Persino la selvaggia si ammutolì in un silenzio che accarezzò le sue viscere in subbuglio.

-    Mi sembra ci siano tante macchine per un posto disabitato – perché non solo lei era riuscita a trovare il "paese fantasma", ma era persino popolato.

Erano sbucati lì dopo la salita che circondava a vortice quella specie di protuberanza collinare stanziata nel mezzo del nulla e lì, sul cucuzzolo, avevano raggiunto una sorta di piazzola composta da enormi massi di granito che avevano la presunzione di creare un pavimento.

La selvaggia aveva bloccato l'auto carcassa proprio nel mezzo della strada che divideva in due la piazza. Da un lato la vista si apriva su una larga terrazza belvedere e dall'altro, ad un altro spiazzo fatto di terriccio secco e riempito di macchine. Auto moderne, non come quel catorcio su cui era costretto lui a viaggiare.

-    Saranno turisti, andiamo a vedere – la nonchalance con cui lo disse suonò falsa e persino stupita mentre fissava in modo raccapricciante quella sfilza di auto parcheggiate a pochi metri da loro. Harry scese dall'abitacolo solo per smorzare il senso di nausea con una camminata.

Ma invece di seguirla lui si guardò intorno. Le poche vie in cui si allungava la piazza erano strette e cupe, circondate da dissestati muretti in pietra e abitazioni basse, ingrigite con porte anguste in legno spesso. Ciò che era strano, e in un certo senso inquietante, era che nonostante la presenza delle auto tradisse le dicerie, ammesso che fossero capitati nel posto giusto, le strade erano percorse solo dal sibilo del vento che rimbalzava tra le pietre spente di vita.

Che fossero turisti era impossibile. Incredibile.

E, ancora una volta da quando era arrivato lì, quelle pietre lo inglobarono nella loro storia dimenticata.
Erano silenzio, erano tempo, erano fine. E ogni scheggia di desolazione riportava la consistenza dell'oscurità che lo corrodeva dentro, così come il vento di solitudine aveva schernito quelle tracce di vita. Una sensazione di amarezza gli bagnò la lingua, i muscoli, le ossa.

Il paese fantasma poteva essere il posto giusto per uno come lui.

-    Mi scusi signore, ma sa dire come mai questo posto è abitato? E da chi? – la bolla di triste distacco, che per lui era sempre stata spessa e invalicabile, sparì come se fosse stata fatta di sapone quando in lontananza riconobbe la sua voce.

Harry si soffermò come attratto da quella tonalità vivace ma ferma, impostata senza cadenze o inflessioni. Sembrava fatta apposta per parlare, per raccontare.
Quell'energia piegava il vuoto alla sua volontà, plasmava il silenzio come se fosse stato fatto di creta tra le mani del suono.

Quella voce svegliava frammenti di rumori a cui lui non poteva dare volti, nomi o spiegazioni, ma le cellule per un istante si accesero di allerta per una sensazione sconosciuta che gli contaminò il sangue. Fu un istante in cui gli sembrò che qualcosa di famigliare aleggiasse nell'aria e poi tutto si spense.
Harry digrignò i denti ingoiando un conato di amarezza. Era sempre così, vedeva le nuvole dei ricordi sbiaditi, sapeva che c'erano, ma non poteva scoperchiarli dalla cupola di buio perenne.

𝐑𝐔𝐈𝐍𝐒 | HS |Where stories live. Discover now