8. Harbūtu - desolazione

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8.      Harbūtu – desolazione

"È terra di angosce la mia terra
dove forte e martellante
è la voce del silenzio
che da secoli invoca al cielo
estreme suppliche di pietà."


Harry

Riaprire gli occhi fu come atterrare sul fondo di un dirupo dopo una caduta. Ma senza avvertire il dolore dell'impatto.

La dimensione sfocata e irreale fu assorbita da oggetti e spazi nitidi, coperti dalla luce del sole che si infiltrava dalle tende.

Appena sveglio era stato trafitto dalla stessa sensazione di confusione che l'aveva invaso dopo l'incidente. Era spaesato e vuoto. Solo che quando andò a scavare nei ricordi, questa volta, al posto della totale desolazione di un campo bruciato, la sua memoria sollevò immagini, suoni, persino parole.

Solo una volta in piedi si rese conto di aver dormito sopra le lenzuola, ancora vestito, ma immobile. Come se fosse stato assorbito dal limbo di una dimensione parallela, era stato ospitato da un sonno stranamente quieto.

Harry scosse la testa, poggiando entrambe le mani sul lavandino del bagno prima di far scorrere l'acqua e infilare la testa sotto il getto. Quando si rimise dritto, i capelli gocciolarono sopra la camicia, lasciando spargere le chiazze scure dell'acqua sul tessuto.

Aveva sognato. Erano state immagini sbiadite, prosciugate di colore ma il suono di quel timbro gli era entrato sotto la pelle. Non era la prima volta che sognava quel melodioso raccontare, le parole, o la voce di una donna. Ma quella era stata la prima volta che al suono aveva accostato anche qualche frammento di immagine. Per la prima volta era stato meno confuso, quasi...un ricordo.

-          Come stai? – Harry si voltò di scatto, le ciocche bagnate di capelli gli sbatterono sulla fronte come tante eliche scure. Il corpo era indebolito da un lieve tremolio. Squadrò la ragazza, in piedi al centro della camera, con un'occhiata veloce e disinteressata.

-          Meglio di ieri – commentò atono, chiudendo il rubinetto e sfregando velocemente un asciugamano sui capelli.

-          Lo vedo – con la coda dell'occhio Harry si soffermò sull'accenno di sorriso che si ripiegò in quel volto pulito.

-          Dimentica che ti ringrazi – esclamò lui brusco nella prevedibile volontà di cancellarle ogni segno di soddisfazione. Conosceva le donne, bastava un niente per illuderle di aver stabilito un qualche assurdo legame. Lei aveva assistito ad un momento di vulnerabilità e non sarebbe mai dovuta cadere nella presunzione di poter instaurare un qualsiasi rapporto con lui, che non aveva più rapporti neanche con se stesso.

-          Non me lo sarei aspettato – lei scosse la testa facendo un passo indietro quando lui uscì dal bagno. Harry rimase a fissarla serio, un'increspatura intimidatoria ad oscurargli lo sguardo, ristabilendo quella distanza tra loro che probabilmente lei agognava tanto quanto lui – Non sono capace di prendermi cura degli esseri viventi. Ma mi dispiace per quello che ti ho detto – ammise lei abbassando lo sguardo verso terra. Harry piegò le sopracciglia incassando una frustata di fastidio.

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