1.23 • LA SETTA

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«Melania» sospirò mia madre. «Devi capire che la decisione è stata presa solo da me e da tuo padre. Non puoi pretendere che sia qualcun altro a dirti la verità, scavalcando il nostro volere».

Un'ondata di rabbia mi risalì dallo stomaco fino alle orecchie.

«Infatti non lo pretendo. Anzi, preferirei riavere indietro i miei ricordi. Ma mi sembra di aver capito che questo non accadrà».

Mia made, però, non si scompose.

«Accadrà, invece» disse. «Quando avrai compiuto diciotto anni».

Rimasi un momento spiazzata: non mi aspettavo quella risposta.

«Davvero?» domandai, sospettosa.

«Certo. Ti senti meglio adesso?»

Mi sentivo malissimo, invece. Avrei dovuto aspettare per ancora più di un anno.

Era quasi sera quando Maia, Heikki e l'altro ragazzo vennero a bussarmi

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Era quasi sera quando Maia, Heikki e l'altro ragazzo vennero a bussarmi.

Scesi le scale, pensierosa. Senza il medaglione di Gilbert al collo mi sentivo quasi nuda; era una sensazione a cui non ero più abituata e che mi faceva sentire insicura e vulnerabile.

Approfittando delle grandi pulizie promosse da mia madre avevo frugato in ogni angolo, cassetto o armadio, nella speranza di ritrovarlo. Non me lo sarei rinfilato così a tradimento, ovviamente. Avrei giusto voluto vederlo, magari toccarlo. Essere sicura di averlo ancora sottomano. Però non c'era da nessuna parte; Gilbert doveva averlo portato via con sé.

Mi sembrava, ma poteva anche essere suggestione, che senza il medaglione anche la claustrofobia si stesse facendo di nuovo sentire. Riuscivo, comunque, ancora a parlare e a respirare pur trovandomi sottoterra da giorni, e questo era sicuramente un traguardo. Mi sentivo però inquieta e instabile.

«Ciao Ania» disse Maia, non appena fui uscita in strada. «Hai saputo di Kento Nakamura?»

Annuii.

«Ti va di fare qualcosa insieme?» domandò lei.

Non riuscivo a farmi venire in mente niente che mi andasse di fare in quel momento, comunque annuii di nuovo, giusto per non sembrare scortese.

«Volevi vedere l'Accademia, non è così?» mi chiese, prendendomi sottobraccio.

«Ah, sì» mi ricordai.

«Io devo giusto andarci» disse l'amico di Heikki. «Potete venire con me».

Non potei fare a meno di notare, non senza un pizzico di immotivato disappunto, che i gemelli erano entrambi vestiti di bianco. Erano vestiti abbinati anche tutte le altre volte in cui li avevo visti. Non poteva essere un caso. Evidentemente si mettevano d'accordo prima di uscire. Indossavano addirittura una coppia di orecchini in due, uno per uno.

Camminammo fino a un grande stradone che terminava in una spaziosa piazza sul fondo della quale giganteggiava questa mastodontica costruzione con un lungo porticato davanti all'ingresso brulicante di gente, l'Accademia.

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