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Percorse i corridoi che conducevano al circuito di allenamento con calma, preparandosi agli  esercizi da compiere nella prima parte della mattinata.

Ignorò di proposito di includere nei suoi piani gli allenamenti distruggi-ombre che suo fratello aveva programmato per lei: non avrebbe seguito i suoi ordini, non questa volta, non quando abusava così del suo potere. 

Non sarebbe stata il giocattolino di nessuno. 

Il rumore dei suoi passi l'accompagnò lungo tutto il tragitto verso l'esterno, il metallo tintinnante dei vari pugnali infilati negli stivali che riecheggiava nel corridoio umido e spoglio mentre Axiokersa era agganciata alle sue scapole.

Il canto della lama che implorava di essere sguainata, di essere usata per recidere arterie e decimare nemici sui campi di battaglia, le riempiva le orecchie: era una supplica udibile solo da lei e alla quale raramente era riuscita a tenere testa, il canto melodioso un richiamo per la parte più riprovevole della sua anima. 

Un ghigno le comparve tra le labbra. 

Era stata lei a creare quella stessa spada,  più di trecentoquaranta anni prima. 

Ricordava ancora le facce sbalordite dei suoi genitori, dei consiglieri, dei sudditi e del Grande Re Amias, in visita a Adalmat per questioni riguardanti il trattato di pace che i due Regni confinanti avevano intenzione di stipulare. 

Ricordava il momento esatto in cui sua madre l'aveva costretta a infilarsi un vestito viola pastello, così ampio e ricco di merletti che, quando si era vista allo specchio, aveva minacciato la sua cameriera di amputare le braccia di suo figlio se non le avesse portato qualcosa di meno orripilante da indossare.

Inutile dire che era stata costretta ad accogliere il Re Amias vestita come una brava principessina, uno stupido diadema d'argento posto sui ricci castani a completare l'opera.

Era stata così arrabbiata con sua madre che quasi aveva pensato di amputare le sue di braccia, non fosse stato uno dei pochi momenti in cui le era stato concesso di uscire dalla sua camera: non aveva mai visto così tante creature riunite nel palazzo.

E allora si era comportata bene, aveva accolto gli ospiti con un sorriso sulle labbra e una riverenza in segno di rispetto per quelle creature fatate antiche e pericolose. 

Era stata l'apoteosi della perfetta principessina finché non era stata presentata ad Amias, il Fenix possente dalla pelle dorata e gli occhi in fiamme. 

Era stato a quel punto che la situazione era degenerata. 

Mentre la dolce melodia di Axiokersa avvolgeva le pietre di un candido bianco del corridoio di Crystalshine, ricordò quando un servitore di Amias le aveva posato tra le mani una scatola di legno intagliata, troppo grande per le sue piccole dita; quando l'aveva aperta e vi aveva trovato un diamante nero, grande quanto il pugno di suo padre. 

Ricordò di quanto fosse stata affascinata da quella pietra così scura che sembrava catturare tutta la luce della stanza per trasformarla in qualcosa di più tenebroso, quasi malvagio.

Ricordò il sorriso felino che aveva increspato le labbra del Grande Re quando aveva avvicinato la mano per afferrare la pietra e poi la sensazione delle ombre che uscivano dal suo corpo. 

Era stata la prima volta che le sue ombre avevano assunto il controllo.

Si era sentita strana, come quando un calo di zuccheri le faceva girare talmente tanto la testa, al punto da chiedersi se quello fosse davvero il suo corpo e lei potesse controllarlo con le poche forze che aveva. 

Quella era stata la prima volta che le sue ombre le avevano salvato la vita, afferrando il diamante nero al posto suo e avvolgendolo finché un miasma verdastro non era risalito verso l'alto, il veleno che si disperdeva nell'aria. 

Rammentò il silenzio che si era propagato per la sala, dovuto al tradimento del Re e alla paura per quelle ombre che si agitavano ancora, mentre continuavano a eliminare tutto il veleno presente in quel diamante. 

Non avrebbe mai dimenticato il modo in cui aveva afferrato la sua corona d'argento puro e l'aveva gettata ai piedi di Amias, immobile come una statua mentre l'odore della sua paura era stato camuffato dalle guardie che, prontamente, erano accorse al suo fianco. 

E non avrebbe neppure dimenticato il terrore che aveva letto sul volto di suo fratello quando si era avvicinata a lui e aveva sguainato la sua spada di titanio - la spada che era appartenuta a ogni Grande Re della sua famiglia - e gettato anche quella vicino alla corona. 

E poi lo stupore che era sopravvenuto quando le ombre erano cresciute, muovendosi in sintonia con il suo corpo, dal quale si liberavano senza resistenza.

Avevano afferrato la spada di titanio e l'argento della corona, modellando con maestria i due metalli finché non avevano assunto la forma di una lama lunga quanto il suo braccio e il diamante nero finché non era diventato l'impugnatura perfetta per la spada perfetta.

Una spada che non aveva avuto bisogno delle fiamme per essere forgiata, così affilata da recidere il cranio di ogni creatura con un solo colpo: una spada creata dalla furia delle sue ombre. 

Si diceva fosse capace di intrappolare le anime di coloro che avevano la sfortuna di perire per causa sua. 

Si era avvicinata a quella meraviglia letale e l'aveva afferrata, incontrando il suo sguardo nella lama lucida. 

L'aveva rimirata per qualche istante, il metallo freddo e il diamante nero intagliato, passando l'indice sulle lettere incise sulla lama, create con le pietre della sua corona. 

Axiokersa.

E si era rivolta al Re, alzando gli occhi verso di lui, un sorriso da predatrice che aveva preso forma sul suo volto ancora infantile, e gli aveva sussurrato: «Scappa Amias, scappa più lontano che puoi. Scappa finché non avrai varcato i confini del tuo Regno. Scappa finché la mia ira non si sarà placata.»

Tutti erano rimasti fermi a osservare la piccola creatura, l'oscurità che le avvolgeva mani e spalle, e il Grande Re, più vecchio di lei di almeno quattro secoli.

Davanti agli sguardi esterrefatti e terrorizzati di tutti i presenti il Re aveva seguito il suo consiglio e la sua corte aveva fatto lo stesso.  

Lei aveva corso, corso come se non fosse nata per fare altro se non dare la caccia ai suoi nemici. 

Amias le era sfuggito.

Buona parte della sua corte no. 

Era stata la prima volta che aveva ucciso qualcuno: quando ancora non sapeva neppure stare in equilibrio su un'asse di legno senza cadere aveva trucidato delle creature fatate più esperte e vecchie di lei. 


Shadow SwordWhere stories live. Discover now