𝟐

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Percepiva la rabbia di Kane come una cosa viva, una bestia pronta a balzarle addosso, desiderosa di squarciarle la giugulare e farla morire dissanguata:  poteva già immaginare il suo sangue colorare di rosso cremisi il marmo candido, infilarsi nelle varie scanalature e ammaccature prodotte in secoli di attraversamento. 

Impedì al suo corpo di tremare. 

O alle sue ombre di manifestarsi. 

Ma le vedeva, le avvertiva, nascoste negli angoli più bui della stanza, che, sotto il suo sguardo, presero vita: cominciarono a muoversi, ad agitarsi, a emettere strani fruscii.

Non erano per niente contente di tutta la luce che impediva loro di attaccare i cinque maschi seduti al lungo tavolo di cristallo, come se persino loro sapessero il motivo per cui era stata convocata lì. 

Avanzava lentamente, come se potesse in qualche modo impedire quella conversazione, i piedi nudi - aveva abbandonato le scarpe all'ingresso del palazzo - che producevano uno strano rumore sul pavimento lucidato da poco.

Sentiva quattro paia di occhi puntati su di lei, che la osservavano da capo a piedi - i capelli arruffati, il trucco sbavato, il vestito sgualcito e sporco del sangue del Kerei - che la giudicavano come se fosse la peggiore tra tutti i criminali mai vissuti ad Adalmat.

«Camminare più velocemente non ti ucciderà, Herebo.» 

Le fece notare Nakoa, seduto alla sinistra di suo fratello, l'armatura impeccabile, e nello sguardo uno strano lampo di sfida. 

Lo avrebbe ucciso prima o poi. 

Suo fratello non staccò gli occhi da un punto di fronte a lui nemmeno per un secondo.

Non fece alcun commento, nessuna smorfia o rumore. 

Nessuna emozione gli illuminava lo sguardo e il suo volto era impassibile: se ne stava seduto all'estremità del tavolo, le mani chiuse a pugno davanti alla bocca - come se fossero l'unica cosa che gli impedisse di perdere il controllo e urlarle addosso tutto ciò che pensava di lei - e gli occhi stretti in due fessure, meditabondi, come se si stesse chiedendo cosa farsene di sua sorella.

Se, alla fine, ucciderla avesse messo fine a tutti i problemi che causava o che aveva la strana capacità di attrarre.

E a quel punto quel pensiero attraversò anche la sua mente. 

Prese finalmente posto al tavolo, sedendosi sulla sedia che utilizzava ogni volta che era forzata a fare cose come quella, accomodandosi il più lontano possibile da chiunque fosse presente in quella stanza: non le era permesso sedere vicino al fratello, non come se fosse uno dei suoi guerrieri più fidati.  

«Tieni a bada quelle cose prima che ci pensi io.»

La sua voce, profonda, roca e autoritaria, riempì lo spazio circostante e le sembrò che anche i muri del palazzo presero a tremare a quell'ordine. 

Sorrise, passandosi la lingua sui denti, e fece la cosa più stupida che avrebbe potuto fare, ignorando le conseguenze che quell'azione avrebbe comportato.

Non obbedì. 

«Perché mai dovrei farlo?»

Dentro di lei stava crescendo la paura: era terrorizzata e preoccupata, ma non permise che quelle emozioni la frenassero, non quando in ballo c'era così tanto.

Per questo consentì alle sue ombre di avvicinarsi, sebbene trovassero fastidioso tutto quel bianco, quell'oro e quella luce: tutte cose che facevano diminuire il loro potere. 

«Non giocare con me.»

Riprese Kane, una calma gelida che gli induriva i tratti. 

Non la stava ancora guardando. 

Shadow SwordOnde histórias criam vida. Descubra agora