FUCK, I OVERDOSED.

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CAPITOLO 9.
Valerio's pov.

Cosa accadrebbe se tutto attorno a voi andasse per il verso giusto e voi, ingrati quali siete, andaste alla ricerca di un pretesto per mandare tutto all'aria? Ve lo spiego io in maniera piuttosto breve e coincisa.
Accadrebbe che una mattina, senza un apparente ragione, vi dirigete verso l'armadietto delle pillole, ne estraete qualcuna dal flacone e dopodiché ne inghiottite una decina. Un numero considerevole per il vostro corpo, perciò crollate al pavimento, il vostro organismo respinge dalla bocca ciò che non riuscite a sopportare e quando vostra madre si accorge di voi, siete ad un passo dal non esserci più sia fisicamente che metafisicamente.

È chiaro che l'attenzione di lei non si poserà su quello che avete fatto, ma sul vostro stato di salute. È per questo che una volta che vi sarete ripresi, per lei sarà sempre come se nulla fosse successo o almeno, così vorrà farvi credere anche se sapete benissimo quanto dolore le avete causato.

Mi è capitato. È successo qualche settimana dopo Niccolò e di questo non credo che ne sia a conoscenza nessuno, a parte mia madre e Ludovica.
Avevo deciso di staccare la spina. Non per un paio di ore, non per un paio di giorni, ma per sempre, così da non avere più ossigeno al cervello e non pensare talmente tanto da rimanere in apnea per un tempo talmente lungo da assistere alle allucinazioni.

Ho preferito, per ovvie ragioni, non svelare la motivazione che mi ha spinto a farlo. Sono sempre stato del parere che il suicidio sia inconcludente, ma è stato come se non fossi in me mentre accadeva.
Io credo che una forza maggiore mi abbia quasi costretto e che, al limite della sopportazione, ho preferito accontentarla piuttosto che lottare.
Avevo smesso di pensare che avesse senso occupare vite e spazi altrui, perciò per non essere più un peso troppo grosso da sopportare, la soluzione rimasta era soltanto quella di provocarmi un overdose.

Non lo starei dicendo se non lo pensassi ancora, ma se non altro, non sto cercando di farmi del male da un bel pezzo oramai. Non vorrei dire cose troppo azzardate al momento, ma probabilmente è dato dal fatto che ho trovato un equilibrio tra me e il mondo.
Stiamo imparando ad andare d'accordo e concentrandomi un po' più, ho capito che se a lui non rompi le palle, lui farà lo stesso con te.

È difficile mettersi nei panni di chi soffre di ansia sociale, ma non è tuttavia impossibile. Si tratta di un fenomeno al quanto ricorrente tra i miei coetanei e l'essere a conoscenza di non essere l'unico ed il solo ad affrontare ciò, mi rende più tranquillo.
Mezzi di comunicazione come internet, se usati nel modo corretto, sanno essere d'aiuto in momenti critici come questo. Ringrazio di cuore coloro che hanno abbattuto questo timore ed hanno testimoniato su vari blog in giro per la rete.

Per merito loro adesso sono una persona diversa. Mi sono reso conto che alla grande maggioranza della gente che mi circonda, non importa un fico secco di come mi vesta o pettini i capelli, perché gli adolescenti sono disinteressati e privi di sani principi al giorno d'oggi.

Molto spesso il marciume proviene dagli adulti, i quali per gentile concessione, puntano sempre il dito contro le nuove generazioni accusandole di avere costantemente qualcosa per cui lamentarsi. E so cosa vorreste dire, perciò mi permetto di dissentire.
Di motivi per cui dovremmo lamentarci ce ne sono molti, ma finiamo sempre per scegliere i più futili per i quali poi un cinquantenne medio, ci rinfaccerà il nostro essere perennemente privi di buone maniere e decisamente troppo evanescenti.

Date le circostanze, non saprei neanche il motivo per il quale io sia qui a parlarne. Anche se in realtà è un dialogo che è concepito dalla mia mente, perciò mai nessuno saprà davvero ciò che penso.
Sono ancora in vasca e si sono fatte le undici e cinque minuti. A questo punto dovrei essere già tra le lenzuola, ma per pigrizia preferisco stare immerso ancora un altro po' a pensare.

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