WALKING THROUGH THOUGHTS.

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CAPITOLO 5.
Niccolo's pov.

Sento il pavimento freddo aderire alla mia schiena nuda. Mattia mi osserva dall'alto verso il basso, ha le mani insanguinate e quel sangue non è il mio. Si è tagliato le vene e quando ho cercato di fermarlo mi ha scaraventato a terra senza pensarci due volte. Non riesco a chiedere aiuto. La mia voce è spezzata. È completamente andata. Come se cercassi di urlare mentre qualcuno mi soffoca con un cuscino sulla faccia ed è così straziante che mi dimeno. Il suo sangue macchia la camicia da notte che lo assorbe per capillarità. Si espande lungo tutte le maniche e cola verso i pantaloni. La sua faccia si scolorisce fino a raggiungere la tonalità pallida di una candela che si scioglie. Mi guarda inerme e non dice nulla. Si lascia morire aspettandosi che glielo permetta ed io non posso farlo. Stacco le spalle dalle mattonelle nere e mi ci fiondo contro mentre il vetro dello specchio gli scivola giù dalle mani e si crepa a contatto con il suolo duro. Come se fosse un manichino di pezza mi si abbandona tra le braccia e le sue gambe cedono. « Andiamo, non puoi. » gli schiaffeggio la faccia « Aiuto! » urlo nel momento in cui finalmente mi rendo conto di poterlo fare. È un urlo straziato a cui si aggiunge lo stomaco che si contrae alla vista del sangue. La presa delle sue mani sulle mie spalle è pari al nulla e se non faccio qualcosa credo che lo perderò ancora prima che riesca ad urlare un'altra richiesta d'aiuto. Strappo un po' del lenzuolo leggero che copre il letto e fascio meglio che posso i tagli profondi lungo i polsi. Mi sento mancare per un po' ma devo fare qualcosa. Mi ripeto che devo fare qualcosa. « Aiuto! » urlo ancora. Dopo quelli che sembrano secondi interminabili, Marco corre nella mia stanza e si accascia accanto a me invitandomi a lasciargli fare il suo lavoro. Mi dice che è meglio uscire e che ho già visto abbastanza. Mi promette che farà il possibile per salvargli la vita. Mi sposto nel corridoio ed è qui che tutti mi guardano come se fossi un pluriomicida. Sono così stanco di tutti gli occhi addosso che urlo così forte che mi avranno sentito anche a casa mia. Anche a kilometri di distanza dalla clinica. Qualcuno mi scuote. Tremo come se ci fosse un terremoto e quando apro gli occhi realizzo che si tratti semplicemente di un brutto incubo. No, non è stato soltanto un incubo. Io tutto questo l'ho vissuto davvero e non è stato il primo brutto sogno nell'arco di un anno. « Man, are you okay? » Zac accende la luce allarmato dalle mie urla. Sono sudaticcio in fronte e lungo la canottiera bianca. « What happened? »
« You just...were screaming. » dice nel panico mentre mi stringe la spalle tra le sue mani grandi. Deve essergli preso un colpo. Devo seriamente averlo fatto spaventare e non sarebbe neppure l'unico dato che mia sorella Marta, dopo il mio ritorno a casa, era solita passare la notte con me. Mi ha da sempre ripetuto che se l'avesse saputo non avrebbe permesso a mia madre di portarmi in quel posto. Avrebbe piuttosto provveduto lei stessa a farmi stare meglio perché lei ci riesce sempre, qualunque cosa faccia o dica. « It was a nightmare... » gli spiego e lui annuisce. Dopo avermi tranquillizzato mi consiglia di fare una doccia e di scendere al piano di sotto per stare un po' con lui. Credo che seguirò questo suo consiglio. Soprattutto perché oramai sono le cinque del mattino e faticherei a riposare. Mi sposto in bagno e mi rifilo nella vasca. Se potessi annegare i miei problemi tra l'acqua li ucciderei tutti quanti senza troppo ripensamenti. Purtroppo sono loro ad annegare me ed onestamente non tento di opporre resistenza perché saprei già trattarsi di una sconfitta. Non ho mai cercato di uccidermi. Ho soltanto considerato l'eventualità in cui io fossi morto tanto per capire se mancherei veramente a qualcuno. Anche in questo caso le risposte sono arrivate e con grande stupore ho realizzato che qualcuno non sarebbe in grado di affrontare il lutto. Fuori dalle inferriate è ancora buio. Di un buio così fitto che una volta che t'investe non ti rendi conto di cosa c'è a pochi palmi dal tuo naso. Oltre la finestra sento la quiete e per la prima volta mi spaventa. Il mio essere conforme al caos è diventata quasi una dipendenza. Adoro il chiasso. È come se basassi la mia intera esistenza nell'evitare il silenzio più assoluto. Come se giocassimo a rincorrerci ed io fossi più lesto di lui. Scivolo più giù con le spalle fino a quando non sono interamente immerso nell'acqua calda e reclino la testa indietro lasciando che i capelli ondeggino e si scontrino con il tepore umido. Osservo la parete di fronte alla vasca come se fosse un'opera d'arte autentica e mi perdo nei più insignificanti dettagli che la compongono. È un mosaico che ritrae la notte stellata di Van Gogh e sono così affascinato che ci metto un po' ad uscire dallo stato di trance. Non sarebbe poi la prima opera di questo artista in giro per casa. Ho notato qualche quadro in salotto e qualcuno appeso lungo le scale che portano al piano su cui si stendono le nostre camere da letto. Angie è in fissa con i girasoli. Per questo se ci si affaccia nel retro della proprietà se ne possono trovare alcuni in un angolo del giardino. Sono fiori affascinanti e un po' tristi se pensiamo che vivono per il sole che non si cura di loro. Io non sono un tipo da girasoli. Corteggiami con un mazzo di papaveri rossi e sarò tuo finché morte non ci separi. Mi ricordano molto una vecchia filastrocca che mi cantava mia madre quando faticavo a prender sonno e qualche volta vorrei che me la cantasse ancora in memoria dei vecchi tempi. Ci sono momenti in cui non voglio addormentarmi per paura di cadere in un mondo cupo e troppo crudo, dove i colori sono spenti e la realtà non lascia spazio alla fantasia. Ho paura di dormire. Il solo pensare di poter incontrare i peggiori miei fantasmi del passato mi uccide. Sono stanco di stare immerso, perciò mi insapono delicatamente e una volta finito mi sciacquo. Mi riverso fuori. Avvolgo sbadatamente l'asciugamano attorno ai fianchi e questo scivola dolcemente fino a coprirmi poco prima delle ginocchia spigolose e magre. Mi asciugo, mi osservo allo specchio tanto quanto mi basta per notare che oggi sono più sciatto del solito ed in seguito mi vesto in fretta e scendo giù da Zac. Sta guardando un film e nel mentre, con le dita, afferra qualche pop-corn dalla ciotola capiente che tiene poggiata tra le gambe incrociate. Gli sorrido molto probabilmente con l'aria stanca, sposto due piccoli cuscini dal materasso del divano e mi accomodo incrociandole anch'io. Sento il suo respiro calmo muoversi nell'aria e confondersi con il mio mentre la luce dello schermo ci piomba addosso con la stessa delicatezza della neve. Ha i capelli mossi, quasi ricci. Scuri come una pietra focaia alle pendici dell'Etna, gli occhi neri come una pozza di catrame ed attenti sugli attori che ballano sulle note di qualche scampanata canzone che non conosco, le labbra carnose serrate ed i lineamenti dolci che sono rilassati e resi visibili dal televisore. Quando si accorge che lo sto guardando si volta verso di me ed io, forse perché intimorito o forse perché non sono più in grado di dare a vedere che mi piace scrutare i dettagli, svio altrove lo sguardo. Non dice nulla, abbozza un sorriso e continua a guardare il display sgargiante di colori. Sono quasi le sei del mattino e tra poco ci raggiungeranno sia Angie che Malcom. Ho pensato che potrei preparare io la colazione. Infondo sono bravo, se non fosse che non ho idea di dove siano le ciotole e la padella per i pancake. « Something needed? » mi guarda mentre mette in bocca un piccolo pugno di pop-corn. È possibile che anche lui mi stesse osservando senza darlo a vedere. Perciò me l'ha chiesto, perché ha notato il mio ammiccare con lo sguardo in cucina. « Nope. » dico secco e lui alza il pollice in su. È da adesso che il sole sta sorgendo. Nel pieno silenzio delle sei del mattino, in cui tutti dormono eccetto Zac che si ingozza di snack.

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