1.1 • TIBUR SUPERBUM

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Riesumai dalla mente un ricordo delle rovine a cui si riferiva mia madre. Un ricordo che, nonostante la mia formidabile memoria fotografica, era davvero molto vago. Evidentemente, il maledetto rudere era capitato sul mio cammino troppo tardi, quando la fatica e l'ipossia mi avevano resa ormai inabile a fissarne un ricordo circostanziato.

Mia madre fermò la macchina proprio davanti all'entrata secondaria (quella che, il giorno della gita, avevamo usato come uscita) intasando la carreggiata.

«Scendi, spicciati» mi disse, sbrigativa.

Obedii, mi trascinai il borsone fuori dalla macchina e la guardai ripartire, certa di vederla tornare a piedi, una volta trovato parcheggio.

Aspettai invano per una mezzora, prima di realizzare che se ne era andata.

Molto incerta sul da farsi, mi caricai il borsone in spalla, entrai dal cancello e discesi per una rampa di scale fino alla biglietteria, una piccola casupola di travertino all'interno della quale un ragazzo con gli occhiali mi fissava sorridente.

«Un biglietto?» mi chiese.

«No... io...» farfugliai, «dovrei raggiungere la villa di Manlio Vopisco per... ecco... »

Il ragazzo, per fortuna, parve afferrare.

«Ah, certamente» rispose. «Nome?»

«Melania Mei».

«Conosci la strada?» mi domandò.

«Mi pare di sì» risposi, incerta, indicando la stradella davanti a me. «Devo passare da qui poi svoltare a sinistra, vero?»

«Se vuoi trovare il rudere sì» rispose. «Se invece, come credo, devi trovare la villa, devi scendere fino alla Grotta delle Sirene e farti il bagno. Tieni, prendi la cartina».

«Il bagno?» chiesi, incredula, afferrando la mappa. «Con questo freddo? E se mi vedesse qualcuno?»

«No, non ti vedrà nessuno. Ah, puoi lasciare qui la valigia. Te la troverai direttamente in camera più tardi».

Per niente convinta, mi diressi lungo il percorso scosceso all'interno del bosco. Facendo attenzione a non inciampare, scivolare, rotolare o incappare in una qualsiasi delle trappole mortali del sentiero, mi lasciai alle spalle la deviazione per il belvedere sulla cascata e poi le stesse rovine della villa. Guardai la mappa: non era la stessa cartina per turisti che avevo consultato quella volta in gita. Era solo una stampa in bianco e nero, ma sembrava una mappa antica, disegnata a mano.

Proseguii, cercando di orientarmi lungo le deviazioni, incrociando qualche turista affannato di tanto in tanto. Raggiunsi la radura, uno spiazzo polveroso tra roccia e vegetazione, immerso nella valle: a guardarsi intorno pareva di trovarsi sul fondo di un pozzo. Individuai la deviazione per la Grotta delle Sirene e la imboccai. Il rumore scrosciante dell'acqua, che accompagnava ogni visitatore per tutta Villa Gregoriana, lungo quella stradina si andava via via intensificando fino a diventare assordante. Discesi il sentiero terroso, poi lungo gli scalini lisci e scivolosi, appoggiandomi malamente prima alle pareti di roccia che costeggiavano tutto il primo tratto della scalinata, poi ad una traballante ringhiera di legno.

Alla mia sinistra il fiume precipitava in un salto modesto, producendo però un rumore fragoroso: poi continuava a scorrere fin dentro la grotta, dove scompariva nelle tenebre della caverna. E, proprio lì, il percorso pedonale terminava in un affaccio.

Quindi? Per farmi il bagno avrei dovuto saltare nella cascata e farmi trascinare dalla corrente fin dentro la montagna?

«Ehi» sentii chiamare.

Mi voltai circospetta ma, lì per lì, non vidi nessuno. Sporgendomi un po' individuai, tra la fitta vegetazione, che, in quel punto, pareva di tipo palustre, una testa. La testa di un'altra ragazza.

Si alzò in piedi, mi fece cenno di raggiungerla con la mano e notai che proprio in quel punto, all'imbocco della grotta, l'acqua non le arrivava neanche alle ginocchia. Mi sfilai le All Star, e mi arrotolai i jeans fin sotto le ginocchia, scavalcai malamente il muretto, mi guardai intorno per vedere se ci fosse qualcun altro in giro e poi saltai.

Facendo molta attenzione a dove mettessi i piedi, attraversai il corso d'acqua gelida e la raggiunsi sull'altra sponda.

Solo quando fummo una davanti all'altra mi accorsi che era asiatica.

«Ma... Ania? Sei tu?» urlò, facendomi sobbalzare, poi mi abbracciò bagnandomi tutti i vestiti.

Alla mia totale e palese assenza di reazione si allontanò, accigliata.

«Non mi riconosci, vero?»

La guardai attentamente. Forse era giapponese. Aveva i capelli decolorati a un castano rossiccio, liscissimi e lucenti e lunghi più o meno fino alle spalle. Indossava una divisa scolastica alla marinara e io, decisamente, non avevo idea di chi fosse.

«No, mi dispiace» bofonchiai.

«Ah, va bene, non ti preoccupare» disse, tornando a sorridere. «Vieni, devi bagnarti. Ecco, anche i capelli».

«È proprio necessario?»

«Sì, se vuoi levarti di dosso tutta la nebbia. Dai, facciamolo insieme e sbrighiamoci ad andare via, non mi piace questo posto».

Obbedii e, tramortita dal freddo, immersi anche la testa.

«Andiamo via, su!» mi incitò.

Tremanti, ci arrampicammo sul muretto e lo scavalcammo; io recuperai le scarpe e ci incamminammo verso la risalita.

«Mi hai scambiata per qualcun altro?» domandai, poiché lei non sembrava volesse più aprir bocca.

«No di certo. Sei Melania Mei. Non sei cambiata per niente, ti avrei riconosciuta anche in mezzo a mille persone».

«Mi dispiace» dissi, sentendomi in colpa senza ragione.

«Non ti preoccupare. Mi chiamo Yumi Nakamura, comunque, visto che non ti ricordi».

«Ah... piacere di conoscerti».

Annaspammo lungo tutta la salita senza più dire niente.

«Senti...» provai, a un certo punto, «ma tu lo sai cosa dobbiamo fare qui?»

«Certo che lo so» rispose lei. «Ma non è questo il momento di parlarne. Guarda, siamo arrivate».

Alzai lo sguardo sulle rovine della villa. Su quelle che, fino a poco prima, erano state le rovine della villa.

«Ma come è possibile?» domandai, fissando l'ingresso della villa romana in tutta la sua maestosa integrità.

«Benvenuta al Consiglio Superiore di Tibur».

Ecco qui, dopo un prologo mozzafiato, il primo capitolo

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Ecco qui, dopo un prologo mozzafiato, il primo capitolo. Mi scuso fin da subito per la pochezza di alcune descrizioni: sono stata a Villa Gregoriana molte volte nella mia vita ma purtroppo, come Melania, la fatica e il dolore ai piedi ottenebrano ogni altra mia facoltà mentale, compresa la capacità di memorizzare dettagli indispensabili per questa storia.
Del resto, le descrizioni approssimative o forse (speriamo di no) alcune volte direttamente sbagliate, mantengono alta l'asticella del livello di trash, che è parte integrante del fascino di questa saga.

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