Romanticismo e Casinismo [1]

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«Ok, sto morendo di fame

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«Ok, sto morendo di fame.»

Il rumore del metallo che raggiungeva il terreno lo circondò per un istante. Il viso era accaldato e, quando notò Simone rimasto in disparte al cellulare mentre lui dava di matto, si chiese che impressione avesse dato di sé. Che domande: un pazzo esaurito, che poi era quello che era, no? Meglio prendere con filosofia la sua sanità mentale sempre più lontana e farle ciao ciao con la manina.

«Ti riaccompagno?» Simone posò il cellulare in tasca e si alzò.

«No... cioè» Michele riprese aria e gli andò vicino. Erano finalmente terminati i respiri pesanti che quasi lo avevano portato a soffocare in se stesso, mentre tutto era cristallizzato in una paura febbrile, ma l'adrenalina ancora in circolo per le escandescenze lo manteneva in uno stato di vibrazione molecolare sottocutanea. Si sentiva spettinato, accaldato, insozzato, ma, soprattutto, con la mente a mille, alla ricerca della prossima follia su cui lanciarsi, su cui sfogare una frustrazione rabbiosa e giunta al limite della sopportazione.

«Non voglio tornare ora. Posso restare nei paraggi per un po'? Anche se,» quando Simone sgranò gli occhi un senso di imbarazzo lo investì «non voglio rompere il cazzo, quindi dimmelo se ti scoccia se... resto con te.»

«No, va bene» Simone scostò la frangia con un movimento fluido e interruppe il contatto visivo, già in procinto di incamminarsi fuori di lì «Solo che... casa mia è un macello, poi non so se mamma ha preparato abbastanza. Nel caso, dovrai accontentarti di quello che ci sta.»

«Va bene, figurati. Pure degli Oreo e sto a posto» sparò Michele, andandogli dietro. Era ancora accaldato e abbassò la zip della giacca a vento. Ripercorsero il sentiero travagliato per il cantiere abbandonato e, alla fine, furono fuori da quel luogo appartenente a una dimensione fuori dal tempo, testimone dell'embolo partito poco prima.

Il cielo minacciava pioggia, di un grigio tenue, lo stesso colore del marciapiede su cui camminavano, al lato del cantiere e diretti verso le palazzine poco distanti. Michele rimase in silenzio mentre Simone giocherellava con le chiavi e, alla fine, si fermò dinanzi un portone. La serratura era aperta e quindi entrarono subito, ritrovandosi all'ingresso di un condominio tutto sommato normale. Certo, c'erano dei gradini prima dell'ascensore, il che non doveva essere l'ideale per un potenziale paraplegico, ma a parte quello nulla da ridire.

Simone chiamò l'ascensore e Michele fu pervaso da una certa agitazione racchiuso in quello spazio angusto con lui, ritrovandosi azzeccato all'altro ragazzo. L'epidermide del braccio bruciava dove era a contatto con la sua, anche se separate da strati di vestiti, poi Simone sgusciò per primo fuori, in uno sfiorarsi, per un attimo, più accentuato. Però durò solo un nanosecondo e Michele era già dietro di lui a seguirlo, costringendosi a non arrossire come un deficiente.

«Ma' ho portato un amico» esclamò Simone dentro casa. Michele passò le dita tra i capelli, sperando di non sembrare un completo folle. Speranza vana, con ogni probabilità.

Rebel RebelWhere stories live. Discover now