Capitolo 36

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Si guarisce da una sofferenza solo a condizione di sperimentarla pienamente.
(M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto)

Tutti gli uomini per necessità nascono e vivono infelici.
(G. Leopardi, Operette morali)

Non devi avere rimorsi. Certo, hai causato dolore. Ma chi può dire di avere attraversato la vita senza avere inflitto sofferenza? E tu hai dato anche gioia.
(H. Walston in una lettera allo scrittore G. Greene)

C'erano stati due grandi dolori nella lunga vita di Caesar Noah Cameron. Ma chiunque avrebbe potuto assicurare che gli erano bastati per tutta la sua interminabile l'eternità.
Il primo grande e profondo sconforto, avvenuto nel suo primo secolo d'esistenza, era stato la violenta morte della sua nonna materna, Mnemosyne, il demone più dolce e buono che lui avesse mai conosciuto.
Sua madre, appena venuto alla luce, si era ritrovata ad essere ancora troppo debole per badare a lui, un neonato dagli straordinari poteri e così era stata sua nonna ad accudirlo. I suoi primi ricordi erano legati all'abbraccio materno e a quello ancor più caldo e protettivo di Mnemosyne.
Ricordava i suoi occhi languidi e gentili, le dita insolitamente tiepide.
La ninnananna che gli cantava ogni notte, prima di metterlo a letto.
Sua madre Angel gli era stata molto devota, senza sapere come ringraziarla per tutto quello che aveva fatto.
E aveva pianto lacrime amare, piene di rabbia e rancore, quando la loro stessa famiglia si era rivoltata contro un loro membro consanguineo, uccidendo Mnemosyne. Era stato il padre stesso di Angel, il marito di Mnemosyne, a toglierle la vita.
Una famiglia di guerrieri e alchimisti ancestrali, gli Hellord Vin Fershall.
Caesar ricordava bene, la notte in cui svegliato da grida laceranti si era alzato dal letto, aveva oltrepassato stanze e corridoi e alla fine, in piedi sullo scalone di Old Cameron Manor, aveva visto lo spettacolo che nei suoi incubi, ogni tanto, ancora lo tormentava.
In piedi, un bambino minuscolo, che fissava il fondo della tromba delle scale.
Lì aveva visto il corpo di sua nonna.
Un colpo al petto, grondante una fontana di sangue nero.
Il collo letteralmente girato al contrario.
Sua madre che urlava vendetta, suo padre che cacciava dalla loro casa...suo nonno.
Non aveva più cercato di saperne il motivo. Perché aveva imparato a leggere le anime e i cuori molto presto.
C'erano state lotte sotterranee fra le due famiglie, lui stesso era stato ritenuto troppo forte, troppo potere per un bambino tanto piccolo. E gli Hellord Vin Fershall, non accettando che lui diventasse solo erede dei Cameron, avevano cercato di rapirlo. Sua nonna e sua madre avevano cercato di fermarli e alla fine, in una lotta senza quartiere per un erede, avevano "vinto" i Cameron.
Si era salvato. Sua nonna Mnemosyne no.
Ora c'era un'altra lotta per un erede, Caesar ne era conscio.
Ma quel vago sentore pestilenziale che gli si annidava in testa come un nodo di serpenti, non era legato alla nascita di quel figlio che il Diacono e i Loderdail pretendevano e che lui e Denise ancora non aveva provato a cercare.
No. Non era quello.
Era qualcos'altro.
Aveva quella stessa sensazione...la stessa che aveva provato quella notte, piccolissimo, alla morte di sua nonna.
E quella che...Imperia gli aveva impresso indelebilmente nelle vene, marchiandolo a fuoco, il giorno in cui si era uccisa.
Era un brutto presentimento.
Era...malaugurio.
Era un sentore di morte.
O forse...un proposito di vendetta.
E sapeva anche, per esperienza, che non c'è furia peggiore all'inferno di una donna tradita.
E non c'era furia peggiore all'inferno di Lucilla dei Lancaster, che cova vendetta.
Per questo senza stare a sentire i richiami di Arcadia Harkansky, era corso per Red Rose, cercando Lucilla e sua moglie senza trovarle. Per questo, sempre ignorando le sibilline frasi della padrona del castello, si era precipitati ad Harkansky Palace.
E lì, fra quelle mura, quel sentore si era tramutato nella più cruda realtà.
Era nell'aria, nelle fondamenta, fra le mura che sembravano stringersi attorno a lui come una morsa, mentre camminava rapidamente verso il punto da cui quel veleno stillava.
Ferire donne come Lucilla era come una gettare sale su una ferita già aperta da secoli e secoli. E mai rimarginata.
Lo sentiva anche da metri di distanza.
Era come se il corpo della Lancaster vomitasse ira, l'odio più nero e profondo che si fosse mai potuto immaginare, covato negli abissi del tempo.
La collera di una donna innamorata.
Ma la sentiva anche...sfiorire.
Sgretolarsi.
Le stava succedendo qualcosa. Stava male...
I suoi passi in corsa ridondarono per tutto il corridoio.
Erano nel giardino d'inverno.

T.M.R |DRAMIONE|Where stories live. Discover now