Capitolo 2

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La storia insegna che la natura umana è fatta di guerra, passioni, tradimenti, collera.

Ma insegna anche che è fatta di solitudine.
Fin dall'alba dei tempi, i più grandi pensatori umani ritenevano che la solitudine fosse parte integrante della vita dell'uomo. L'essere soli era una condizione che andava accettata, che poteva portare a perdersi oppure ad elevare il proprio spirito. Secondo alcuni si cammina soli per tutta la vita, anche se in compagnia.
Per altri...si è soli e basta. In qualunque momento, come unica compagna la pia illusione dell'amore.
Per i demoni invece si trattava di una questione più complessa di quanto si potrebbe pensare.
Indifferenti per natura, gelidi nello spirito, per i demoni la solitudine era un dono.
Una situazione di fondamentale importanza.
E anche di sostanziale noncuranza.
Essere soli ...comparato alla gloria e alla conoscenza di una vita eterna.
Perciò, la bilancia aveva sempre avuto due misure per mortali e immortali.
Eppure da qualche anno, nel Golden Fields, alla residenza del primogenito della millenaria famiglia Cameron, un umano aveva cominciato a sperimentare sulla sua pelle che l'esistenza demoniaca non era né vuota né gelida.
Bensì forte e vorticosa come un turbine di vento.
Più densa del sangue.
Cameron Manor, ormai più abitato da quello che era stato nell'ultimo secolo, vibrò leggermente quel pomeriggio di giugno piovoso.
L'immensa costruzione di mattoni chiari e decine di torri dalle tegole nere sormontate da gargoyles guardiani avvertì una leggera scossa.
Ogni vetrata emise un acuto sibilo, cosa che fece anche il padrone di casa.
Chiuso nella sua stanza sulla torre del vespro, immerso nell'oscurità e grato ai vantaggi dell'alcool, Caesar Noah Cameron aprì appena un occhio. Anche al buio e assordato dall'incessante battito della pioggia, uno dei demoni puri destinati a comandare la nuova generazione si guardò attorno.
Le luci erano basse, colpa del suo mal di testa. La ricercatezza dall'arredamento impallidivano al confronto del demone che alla sua nascita era stato soprannominato dal nonno paterno Diamond, diamante.
I capelli bianchi appena più corti erano scarmigliati su numerosi cuscini, mentre lui sdraiato su una chaise-longue di damasco tanto blu d'apparire nero, risucchiò l'aria fra i denti come perle e si ripose il braccio sugli occhi.
Da otto anni aveva imparato che ignorare era molto meglio che fare domande.
Come sosteneva suo fratello Leiandros, spesso l'ignoranza era più saggia del sapere.
Il problema però si poneva quando i suoi obbligatori coinquilini minorenni dovevano far passare il tempo.
E cinque demoni puri insieme ad un umano...portavano solo guai.
Ringraziando il cielo a palazzo quel giorno ce n'erano solo due, momentaneamente, ma ci avrebbe scommesso che tempo due ore e il gruppo si sarebbe riunito per la serale caccia grossa.
Imprecando senza usare il fiato, alzò la mano e una bottiglia di Merlò si sollevò dalla tavola di mogano che sormontava quel bouduare appartato.
Si versò un bicchiere che poi lo Smaterializzò direttamente nella sua mano sinistra.
All'anulare aveva rimesso qualcosa che non aveva più portato da un pezzo. Per rabbia.
La sua fede nuziale.
Che strano rivedere quell'anello al dito.
Eppure erano passati solo ottant'anni. Incredibile come passava velocemente il tempo.
Brindò alla salute d'Imperia, sogghignando, quindi mandato giù il calice se ne versò immediatamente un altro.
E le finestre vibrarono ancora.
Si, c'era battaglia nell'aria, pensò prima di ricadere in trans.
Battaglia e divertimento.
Peccato che qualcuno ne sarebbe di nuovo uscito pieno di lividi. E non solo di quelli.
Al primo piano, infatti, nella Sala delle Furie data dalla rappresentazione allegorica di queste ultime sul pavimento di porfido, un'ampia stanza circolare quasi priva d'arredamento e dal soffitto basso ma dal diametro d'impressionante ampiezza, si stava consumando un allenamento che era più un massacro.
Brandon Feversham, trecentonove anni compiuti in gennaio, secondogenito della famiglia Feversham che era una delle più giovani nate nei sette secoli precedenti, stava seduto sulla mensola di granito dell'unica ampia portafinestra che illuminava la Sala col bagliore di lampi e fulmini che sovrastavano il Golden Fields.
Capelli castani cortissimi ma folti, lineamenti delicati e occhi bianchicci su cui spiccavano occhialetti leggeri dalle minuscole lenti rossastre, leggeva privo d'interesse un libricino logoro.
Un ginocchio contro il torace smilzo, guanti sempre alle mani.
Ogni tanto levava lo sguardo...per scuotere il capo.
- Vlad.- disse con la sua voce bassa e sottile - Vacci piano.-
Predica inutile.
Alla sua sinistra per un metro e quasi novanta di altezza, il giovane demone puro discendente da una famosa dinastia russa, da parte di madre. Vladimir Alexander Stokeford non lo degnò di uno sguardo.
D'indole crudele quanto mai diffidente e incurante, Vlad in poco più duecento anni era stato allevato come un guerriero, da una famiglia che aveva partorito per millenni condottieri e feroci assassini.
L'aspetto magnifico non riusciva a mitigare la sua crudezza.
Capelli biondo grano, lunghi a ciocche sulla fronte, occhi pallidissimi e quasi sempre socchiusi.
Un viso e un corpo mascolini che tradivano potenza, specialmente il volto. Guance poco incavate, ma che non mitigavano la spessa mascella ricoperta da un filo leggero di barba e spessi segni neri sotto gli occhi.
Come un rapace.
Muscoli tonici, guizzanti. Su una pelle diversa da tutti gli altri demoni.
Non pallida, bensì ambrata.
Una camicia nera aperta sul torace, mostrava di sfuggita un tatuaggio minuscolo sotto la clavicola sinistra.
Il segno del suo casato.
Una falce e un iris, incrociati.
Lo stesso simbolo di alcuni zar. Fra i suoi parenti, la stessa Alexandra Romanov, regina di tutte le Russie.
- Vlad.- lo richiamò Brand, vedendo che la magia che stava scatenando verso il suo avversario stava superando il limite - Devi solo rompere lo scudo. Non rompergli le ossa.-
- Fa silenzio.- sibilò, levandosi la sigaretta penzolante dalle labbra sottili.
Detto fatto, annoiato da quell'inutile allenamento, agitò un palmo e lo scudo che stava penosamente cercando di trattenere la sua magia finì in mille pezzi, con un rimbalzo tale d'aria da spedire con forza inaudita il suo, ovviamente, più debole avversario contro la parete.
Brand fece una smorfia, alzandosi.
Dal muro, come già si era ritrovato spesso in vita sua, Thomas Maximilian Riddle scivolò a terra, tenendosi il capo.
Batté una mano aperta a terra, per trattenere e al tempo stesso sfogare il dolore. Ma non ci riuscì.
- Porca puttana!- ringhiò, gemendo.
Vlad schioccò la lingua, soffiando fuori il fumo.
- Ne hai avuto abbastanza direi.- sibilò con voce roca, guardando il mago dall'alto in basso - Mi sono stufato, ho di meglio da fare che stare qua a giocare.-
- Ma porca.- Brand lo spostò, correndo da Riddle.
Da in piedi, chiunque avrebbe potuto scambiare il giovane mago ventiseienne per un demone.
Non contando i suoi occhi, chiaro.
Il ragazzino di un tempo aveva assunto un fisico statuario e un'altezza invidiabile, anche se non era possibile paragonarla a quella di Stokeford.
Pelle di alabastro, presa dalla madre e la bellezza di un viso che rappresentava il peccato per molti.
Al collo, l'argenteo bagliore del platino e di un rubino nero rilucevano come la più magnifica delle gemme.
T.M.R.
Questo il marchio a fuoco sul serpente che lo legava alla gola.
Per la vita.
I capelli d'inchiostro gli scivolavano scomposti sulla nuca e sul viso.
Sull'avambraccio destro invece, ora spiccava una lunga cicatrice di coltello, liscia al tatto. Vecchia di sette anni.
- Tom, tutto ok?- gli chiese Brand, tirandolo in piedi.
Riddle gemette di nuovo, toccandosi la nuca.
- Hai un taglio in testa.- gli disse Feversham, portandogli una mano sulla parte ferita - Sta buono.-
Tom non rispose, ma rialzò gli occhi blu come la notte su Vlad, che era rimasto a braccia incrociate.
E lo fissava.
La lunga occhiata fra i due avversari parve non avere fine.
E per poco, Tom vide un leggero bagliore aleggiare nello sguardo del demone che sapeva bene cosa significasse.
- Fa male la schiena?- continuò Brand, sbuffando.
- Secondo te?- e sorrise, alzando il viso sopra la spalla - Non ho niente di rotto.-
- Ma qualche vertebra incrinata forse si.- replicò Feversham - Vlad, che cazzo, ma non capisci proprio niente?-
- Me l'ha chiesto lui.- si limitò a rispondere Stokeford, menefreghista come suo solito.
- Non t'ha chiesto di spezzargli l'atlante!- sbottò Brand.
- Mica è colpa mia se è fatto di burro.-
- Ma vaffanculo Stokeford.-
Tom rise, vedendo il sopracciglio alzato di Vlad.
- Vuoi sfidarmi Feversham?- chiese, con una nota goduriosa nella voce.
- Ti piacerebbe.- ghignò Brand, levandosi gli occhiali e pulendoli con perizia - Ma adesso ho di meglio da fare.-
- Ecco, vai a sbatterti Winyfred.- gli consigliò acidamente il biondo, dando loro le spalle - Io me ne torno in camera.- e senza fare più un fiato agitò una mano con aria annoiata e si creò un portale, essendo lui un Portalista, che attraversò e sparì all'istante, senza stare a sentire le prediche di Feversham.
- Pezzo di cretino.- sentenziò Brand, accennando un ghigno.
- Lascialo stare Brand, dai.- sorrise Riddle, zoppicando fino a raggiungere la mensola, dove si sedette lentamente, sentendo tutte le ossa del suo corpo di burro urlare vendetta e pietà al tempo stesso.
- Sei troppo buono con lui.- replicò Feversham, facendosi apparire una poltrona su cui si sistemò comodo - Il polso fa male?-
- No, è guarito. Però, la pozione che mi hai fatto è miracolosa. Me l'ha sistemato in un'ora.-
- Se ti rompi un osso al giorno fratello non ci sarà incantesimo che ti riporterà dalla bara.- sogghignò l'altro, facendo ridere anche lui - Vlad non sa dosarsi con te, lo sai. Perché insisti?-
Thomas Maximilian Riddle tacque allora.
Abbassò il volto sulle sue mani, ora coperte dai calli dell'uso frequente della spada.
Le dita lunghe esibivano piccole ferite, ma nulla di serio.
Perché insiStevea?
In fondo...che altro avrebbe potuto fare?
Si appoggiò ai vetri, avvertendo un brivido.
La pioggia...sarebbe stato bello potersi sporgere dalla finestra e toccare la sua prima goccia di pioggia dopo otto anni.
Invece quella finestra poteva solo aprirla. Sentire l'aria, l'aria vera sulla pelle...ma niente di più.
Distolse lo sguardo, tornando a sorridere e a massaggiarsi il collo.
- Non preoccuparti per me, Brand.- disse pacato.
- No?- Feversham, che poteva dire di conoscerlo molto bene essendo stato il primo a cercare di conoscere otto anni prima quel ragazzino mortale che era stato Sigillato a Cameron Manor, nascose un sorriso amaro.
Begli anni erano stati.
Loro, in punizione per aver aiutato Caesar ad uscire dalla sua biblioteca otto anni prima, erano stati cacciati dai genitori ed obbligati a stare a Cameron Manor per un periodo di circa cinquant'anni.
Certo, potevano uscire come loro pareva, ma ad alcuni la pena era stata un po' ridotta.
Winyfred Harkansky per esempio, la più grande fra loro, lo era abbastanza da non dover rendere contro al padre, il potente Horus Harkansky, delle retate in casa sua. Tantomeno rendeva conto dei suoi viaggi nel tempo, cosa che aveva fatto imbestialire tutta la famiglia.
Vlad aveva accolto la punizione con una smorfia, ma come una tranquilla vacanza dalla vita sociale cui era costretto.
Val Hingstom invece aveva letteralmente ballato sulla sua cacciata, potendo così godersi la vita di vizi che aveva sempre sognato, lontano dal perbenismo della sua famiglia.
Ma Val era sempre stato così.
Duecentodiciassette anni, cinque meno di Vlad, era stato la pecora nera della famiglia Hingstom, quando si era fatto una scampagnata fra i babbani durante il D Day più di mezzo secolo prima.
Ancora peggio, si era infilato in mezzo a una manifestazione durante il 68' in Francia, a Parigi, dove aveva manifestato insieme a migliaia di studenti con una cresta verde in testa, macchiando così la reputazione del suo casato.
Per finire, la sua vita sregolata aveva fatto morire di crepacuore la sua zia paterna, o almeno così si diceva in giro, ma lungi dal piangerci sopra Val aveva accettato al volo la possibilità di poter vivere col grande Caesar Cameron.
Senza contare tutto l'interesse che il demone aveva sempre provato per Tom.
Come molti, provava interesse per tutto ciò che esiStevea oltre al ristretto mondo demoniaco...e Tom Riddle era stato, e tuttora restava, una grande fonte d'ispirazione per lui.
Restava solo Denise.
Che...scontava una pena forse assai peggiore di tutti loro.
Denise Axia Loderdail era nata solo centoventiquattro anni prima da una delle più illustri famiglie demoniache che mai avessero poggiato occhi o piede in Gran Bretagna dopo i Cameron.
Figlia unica, nata al posto del sospirato maschio, era venuta alla luce una notte di luna nuova.
La madre perì durante il parto e il padre, folle per aver perso la donna amata e non aver avuto l'erede che voleva, dette alla piccola quel secondo nome.

T.M.R |DRAMIONE|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora