Capitolo 16.

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16.

Harry's p.o.v.

L'aria era gelida, il vento mi scompigliava i capelli e oscillava tra gli alberi. Non c'era molta gente oggi, forse due o tre persone qua e là. Una signora teneva un mazzo di garofani rossi e li sistemava accanto alla lapide. Lucidava la foto del defunto e piangeva silenziosamente. Io i fiori non li avevo mai presi, e non avevo nemmeno mai lucidato la loro foto. Papà e Jason mi mancavano e anche se mi sentivo in colpa, stavo cercando di andare avanti, stavo seguendo il consiglio che la donna che mi aveva messo al mondo, mi aveva dato. Non venivo qui a fare il pazzo iniziando a parlare con un pezzo di marmo, piuttosto scrivevo. Scrivevo di come mi sarebbe piaciuto andare allo stadio la domenica pomeriggio o come mi sarebbe piaciuto guardare la partita di rugby in tv il giovedì sera. Scrivevo di come Jason avrebbe frequentato il quarto anno di liceo e papà avrebbe lavorato ancora come giornalista sportivo. E scrivevo anche di come mi mancava la mamma, perché troppo impegnata con il lavoro e la casa da non accorgersi che ormai non c'era più nessuna intesa familiare. Forse adesso avrebbe iniziato ad uscire dal guscio grazie a Greg, anche lui medico, ed era proprio in ospedale che si sono conosciuti. Anne Cox, madre di due splendidi ragazzi, Harry e Jason Styles, moglie di un fantastico uomo, Frederick Styles, ormai abbandonata a se stessa, stava cercando di andare avanti, stava lottando con le unghia e con i denti per un futuro migliore da dare a quel che restava della sua famiglia.

Chiusi il diario e osservai attentamente i lineamenti famigliari che mi accomunavano a questi due uomini: gli occhi verdi, le fossette ai lati e i capelli castani. Soltanto questo. Presi il pacchetto di sigarette dentro il giaccone nero e ne estrassi una attento a non romperla, l'accesi e la portai alle labbra. Sentii la nicotina farsi spazio nella gola, così buttai il fumo fuori. Ripetei il passaggio finché la sigaretta non fu finita per poi accendermene un'altra e uscire fuori dal cimitero.
Mentre camminavo verso casa mi ritrovai a pensare alla ragazza mora del bar. Mi chiedevo ogni giorno cosa la turbasse e cosa non andasse. Domani era sabato e io l'avevo invitata ad uscire di nuovo insieme, la sua compagnia è ottima. Non faceva domande e coglieva sempre il momento giusto per esprimere la sua opinione su qualunque cosa le capitasse a tiro. Sorrisi all'idea di rivederla e finalmente arrivai alla macchina. Entrai e accesi la radio, le note di You found me dei The Fray riempiono il veicolo e io canticchiai intonando le parole che ormai conoscevo a memoria. Il tragitto dal cimitero fino a casa non era poi così lungo così dopo quattro canzoni arrivai nel vialetto di casa. Prima questa casa mi sembrava piccola per quattro persone, adesso invece mi sembrava eccessivamente grande per due persone che a malapena ci stavano. "Si, d'accordo. Mi segno allora l'intero fine settimana. Si, ci vediamo tra poco." Anne era intenta a scarabocchiare qualcosa sulla sua agenda verde e "Ciao, Harry." Mi salutò sorridente. "Ciao, mamma." La salutai. Presi del succo alla mela dal frigo e un biscotto dal ripiano in alto a destra. "Lavoro?" chiesi mentre la vidi sistemarsi la borsa sulla spalla. "Già, Mark ha avuto un imprevisto e mi tocca rimpiazzarlo, poi ho due turni serali nel fine settimana quindi devo scappare." Mi schioccò un bacio sulla guancia ed uscì da casa. Due minuti dopo sentii il rumore di un'auto che usciva dal vialetto e poi il silenzio. Decisi di salire in camera per finire i compiti per la settimana prossima e portarmi avanti con gli esami e i test on-line.

Erano le 17:30 quando finii di studiare. Mi cambiai, presi la giacca dal divano e filai in macchina per andare al Time. Quando arrivai vidi Marta sorridermi e farmi cenno di andarmi a sedere. "Solo soletto oggi?" mi chiese senza nemmeno prendersi il disturbo di prendere l'ordine. Sapeva quello che volevo, così iniziò a prepararlo. "Perché me lo chiedi?" "Non vedo in giro la tua ragazza." Ridacchiò. Io sbuffai e non risposi. "Non iniziare a sbuffare altrimenti giuro che ti uccido." Mi minacciò. Io ridacchiai e iniziai a bere il mio tè. Controllai che mi fosse arrivato qualche messaggio ed infatti era così. Qualche minuto dopo distolsi lo sguardo dal telefono e lo focalizzai sulla figura che era appena entrata. Lei si guardava in torno, e come se stesse cercando qualcuno qui dentro e quel qualcuno credetti di essere proprio io. I suoi occhi si incatenarono ai miei e si avvicinò a me. La sua espressione cambiò da serena a scocciata. La guardai con sguardo interrogativo e "Potevi rispondermi al messaggio, era importante." Disse irritata. Presi il mio telefono e controllai la casella dei messaggi e infatti notai che c'era un suo messaggio. Due ore fa circa. "Stavo studiando, non ho minimamente toccato il telefono." Dissi. "Rispondi adesso, allora." Sbuffò. "Richmond Publish Inc." sorrisi. "Grazie." Rispose. "Vuoi prendere anche tu il diploma." Dissi con fare ovvio. "Direi di si, un pezzo di carta in più non guasta mai nella vita." Sospirò. "Già sono d'accordo." Rimanemmo in silenzio finché non arrivò Marta con la sua tisana al whisky e lei la ringraziò. "Allora.." sorseggiò. "Dove si va domani sera?" chiese. "Stavo pensando a un posto come una foresta sperduta o uno zoo." Risposi ridendo. "Squallido. Sei davvero squallido." Sorrise. "Vogliamo andare a casa mia?" chiesi. Mordicchiai il labbro inferiore in attesa di una sua risposta che non tardò ad arrivare. "D'accordo. L'indirizzo del negozio è la 42th Richmond Avenue." Spiegò. Annuii e gli feci cenno di uscire da qui. Lei mi fermò, ordinò due caffè da portare via, pagammo e uscimmo. Mi porse il mio bicchiere e iniziammo a camminare. "Posso chiederti una cosa?" "Certo." "Hai.. uhm, sentito Zayn?" chiese. "In realtà è da martedì che non ci vediamo." Risposi. "Perché?" mi affrettai a chiedere. "Ieri ho provato a chiamarlo, so che è arrivata la sua ragazza da non ricordo dove, ma mi aveva detto che si sarebbe fatto vivo." Spiegò. "Forse non ha sentito il telefono." Ipotizzai. "Forse, proverò a chiamarlo sta sera." Disse. "Qualcosa non va?" chiesi lentamente. "Tutto apposto, mi sono soltanto

 preoccupata." Rispose. Mi guardò e strinse la sua mano nella mia. Fu un gesto che mi lasciò spiazzato all'inizio, poi mi rilassai e le sorrisi. Sorseggiammo i nostri caffè e parlammo del più e del meno, restammo in silenzio e osservammo come continuava ad andare avanti il mondo. "Ieri sera ha piovuto." Disse, io ridacchiai per la sua affermazione. "Te ne sei accorta solo adesso?" chiesi. "No, ma volevo dirlo." Ridacchiò. "Immagino tu ti senta stupida vero?" sorrisi. "Si, credo di si." Rispose. "Non lo sei. Non per me." Dissi. Le nostre mani non avevano smesso un attimo di essere strette tra loro o di cercarsi nei momenti in cui le serviva un fazzoletto o la borsa. "Ho lasciato la macchina davanti al negozio, pensi mi faranno una multa o qualcosa del genere?" chiese. "Non credo. Andiamo a prenderla." Risposi.

"Carina." Sorrisi. "Si, certo. Sfotti pure." Borbottò. "Lo penso davvero." Dissi. "Certo, certo. Comunque, sarà meglio che vada. Ci vediamo domani." Disse per poi entrare in macchina. Non sapevo nemmeno che guidasse. Annuii e la vidi inoltrarsi nel traffico serale di Richmond.

"Sta diventando una situazione abbastanza strana. Le chiedo di uscire, ci teniamo per mano e a volte parliamo. Cosa dovrebbe significare tutto questo? Adele è bellissima e non c'è niente al mondo che mi farà cambiare idea, ma è davvero questo quello che voglio? Tenerla per mano, parlarle, sapere cosa non va, tenerla al sicuro? Tutte le volte, succede tutte le volte che sono accanto a lei; un' irrefrenabile voglia di proteggerla e dirle che io sono lì con lei e che non la lascio andare. Sento come il dovere di esserci per lei. Sento come se ci fosse un'enorme forza di attrazione che mi porta a lei. A quello che fa e a quello che pensa. Adele sta diventando importante e io ho paura. Dove mi porterà? Quando la guardo, ho davvero voglia di baciarla, di dirle tutte quelle parole che deve sentirsi dire. Di tenerla stretta a me e non lasciarla andare più. Di tenere strette le nostre mani e stare così per sempre. Mi sembro proprio un ragazzino alle prime armi con la sua prima cotta. Ho davvero preso dell'interesse per quella ragazza e non intendo mollare la presa. Voglio che si fidi di me, voglio che mi parli e che non si senta riservata nei miei confronti, voglio che lei non si senta vuota."

Salve! Dunque ecco qui il sedicesimo capitolo. Oddio, siamo già al 16? Cazzo. Fatemelo dire! Tan-tan-tannnnn! Capitolo narrato interamente dal punto di vista di Haz. Già, fa sempre strano scrivere dal suo punto di vista diamine! Bhe, io ci provo. O la va, o la spacca (si dice così giusto? Ahah). Anyway cosa ne pensate? Il prossimo capitolo sarò, uhm.. Non lo so in realtà lol. Vedrò cosa riesce a partorire la graziosa testa di Anna! See you soon. Xx.


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