41. PEZZI DI VETRO

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Sharon's Pov

***

È buio, sono sdraiata sull'asfalto. Fa freddo e la neve continua a cadere sulla strada colpendo anche il mio corpo, ormai paralizzato. Non riesco a muovermi, perché?

Sembra come se io fossi prigioniera nel mio stesso corpo.

Alzo la testa e noto alcuni graffi sulle mie mani e sulle mie braccia. La testa mi fa parecchio male e da lontano vedo una casa. Una casa verde con gli infissi bianchi.

Le luci sono tutte accese. Io sono sola e ho freddo.

Non nascondo la mia paura quando da lontano vedo un'auto nera dirigersi verso di me.

Urlo. Chiedo aiuto. Nessuno riesce a sentirmi.

La macchina è ormai a pochi metri di distanza e così, per la paura chiudo gli occhi pieni di lacrime e terrore.

Passano secondi, forse minuti e, non sentendo più il rumore dell'auto, apro leggermente gli occhi.

L'auto nera è ormai parcheggiata vicino la grande casa e al suo interno non c'è più nessuno.

Mi fa male il petto, gli occhi mi bruciano, ma almeno sono viva.

L'autista si è accorto di me sul gelido asfalto e mi ha scansata. Sì, ma adesso dov'è?

Improvvisamene la porta bianca della casa si apre facendo intravedere una figura abbastanza alta e in penombra, non so chi sia. Il suo volto non riesco a identificarlo.

«Son qui» dico «Vi prego, ho bisogno di aiuto».

Noto il capo dell'uomo girarsi dalla mia parte e così, con passo lento, si avvicina a me.

«Lei può aiutarmi?».

«Non penso» Risponde quasi in un sussurro. Faccio fatica quasi a sentirlo.

«Per favore. Non so dove mi trovo e...».

L'uomo emette una risata per poi portarsi una mano tra i capelli.

«Tu hai davvero bisogno di aiuto?».
«Sì».
«Sai, non lo avrei mai detto; Sharon Stevens che per una volta vuole il mio aiuto. Sai, pensavo che tu fossi una di quelle persone che non ha mai bisogno di aiuto, ma che soprattutto non consulta nessuno prima di fare qualcosa».

«Io non capisco. Come fa lei a sapere il mio nome?» Dico, e per un attimo dimentico anche di essere qui, in mezzo ad una strada.

«Tesoro, io so molte cose su di te, anzi, mi stupisco che tu ti sia già dimenticata di me».

«Chi sei?». La sua voce è confusa, mi arriva come se fosse lontana, ma in realtà è proprio qui, a pochi centimetri di di- stanza dal mio corpo.

L'uomo si abbassa alla mia altezza ed è solo allora che vedo il suo volto illuminato dalla poca luce del lampione.

«Zende». Sussurro mentre le lacrime iniziano a scendere. Cosa ci fa lui qui? Ma soprattutto, perché non mi aiuta?

«Mi hai abbandonato. Non hai mantenuto nessuna delle tue promesse. Come pretendi che io ti aiuti, ora?».

Adesso la sua voce è diversa, arrabbiata, fredda.

«Mi dispiace. Io non volevo che la nostra storia finisse in questo modo. Scusa».

Ride.
«E io che per te... Che per te stavo cambiando».
I suoi occhi scuri scontrano il mio sguardo e io sembro non

riconoscerlo.
Improvvisamente il ricordo della lettera che ho scritto mi

rimbomba in testa; tutte quelle parole, il mio addio, la mia resa.

«Quello che ho fatto, l'ho fatto per l'amicizia tua e di mio fratello».

«Adesso non importa più nulla. Sai che non era quello che volevo».

Zende si alza.
«Dove vai?». Gli chiedo.
«Lontano da te».
«No. Non farlo, io ho bisogno di te!».
«E dimmi Sharon, tu dov'eri quando io avevo bisogno

di te? Dove?».
Quello che dice mi lascia senza parole, ha ragione. Io l'ho

lasciato con un inganno.
La porta della grande casa verde si riapre e da lì esce una

ragazza dai capelli rossi. Meg?
I due camminano l'uno verso l'altro, si prendono per mano. «Questo è il futuro». Dice Zende per poi allontanarsi con la sua nuova ragazza.

Spero solo che Meg si prenda cura di lui.

***

Da tempo ormai le mie notti vengono tormentate da continui incubi. Mi chiedo quando tutto questo finirà. Mi chiedo se prima o poi il desiderio e il ricordo che ho di Zende mi lasceranno.

Probabilmente ci vorrà del tempo, lo so. L'amore che provo per lui è qualcosa di così grande che ancora non riesco ad andare oltre.

La verità è che Zende Maleck mi è entrato nel cuore, e sarà difficile allontanarlo dai miei pensieri... dai miei sogni.

Harrison's Pov

Fin da piccolo ho sempre odiato i lunghi corridoi degli ospedali; larghi, freddi, silenziosi e terribilmente tristi.

L'odore è così intenso che fa venire il mal di testa.

Le improvvise urla dei pazienti per il dolore che provano è la cosa più straziante che io abbia mai sentito.

Da ieri i miei amici ed io siamo buttati per terra, con le spalle contro il muro freddo dell'ospedale, aspettando una risposta, una qualsiasi spiegazione a tutto questo.

La verità è che la camera 209, all'interno, manteneva un grande segreto, un segreto che non avrei mai voluto scoprire.

Il mio amico Zende era disteso per terra con il respiro debole e privo di sensi. Tra le dita polvere bianca.

Precipitandomi subito verso il mio migliore amico ho urlato a Nic di chiamare aiuto; un'autoambulanza con due medici a bordo è arrivata in pochi minuti e subito, Zende è stato trasportato in ospedale. Ad ora, ancora nessuna novità.

Sapevo che Zende non ne era ancora del tutto uscito, lo sapevo e temevo che questo prima o poi sarebbe successo. Con il cuore che mi trema, capisco che la causa di tutto questo sono io.

Sì, è colpa mia se adesso lui è qui, in un letto d'ospedale dal quale non so se ne uscirà vivo o morto.

Più volte Zende mi ha detto di lasciarlo perdere, di lasciarli perdere, ma io no, come ogni volta ho fatto di testa mia e li ho separati.

Ho portato lontano da lui l'unica persona in grado di salvarlo dai fantasmi del suo passato.

Cosa farei per ritornare indietro? Di tutto.
Vorrei poter entrare nella camera da letto dove Zende adesso sta cercando di combattere per la sua vita e chiedergli scusa, scusa se non ho creduto alle sue parole, scusa per tutto quello che ho fatto.

Mi manca il mio amico, mi manca terribilmente, e anche se forse è troppo tardi, io devo rimediare.

Prendo il telefono dalla mia tasca e, stringendo il giubbotto di pelle nera del mio amico, compongo il numero di mia sorella.

«Pronto?» risponde al secondo squillo. Come se in un certo senso aspettasse la mia chiamata.

Guardando il resto dei miei amici seduti per terra disperati e la mia Eveline con gli occhi rossi e gonfi, ho un momento di debolezza. Le parole mi si bloccano in gola. Mi manca il respiro.

«Harrison, tutto bene?» La voce di Sharon mi scuote.
«Zende...» sussurro.

«Harrison?».

«Sharon, devi ritornare qui il prima possibile».

«Arrivo».

Spero possa perdonarmi anche lei, un giorno.

Non avrei dovuto intromettermi tra di loro.

Voglio solo che Sharon arrivi qui il prima possibile.

Lei deve avere la possibilità di vedere, ancora una volta, Zende e lui... di sentire la sua voce.

Il migliore amico di mio fratello - Zayn Malik [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora