Gioco di Maschere ✨BoyxBoy✨

Od Virgiz01

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Dane e Daniel si conoscono sul set del nuovo film 'Young Rebels', girato tra i corridoi della Columbia Univer... Více

Lastre di ghiaccio
Funambolo
Young Rebels
«Ci vediamo presto»
«La matrimoniale è mia!»
La Brughiera
Non mostrare nulla finché nulla ti viene mostrato
Holden
«Questo vuol dire che, come Lucien fa con Allen nel film, mi abbandonerai?»
Spalline in pizzo
Gioco di maschere
Una pugnalata negli occhi
Non è bello essere invisibili
Perché tornare da me?
Il burattinaio
Innocente e amabilmente puro
«Cos'è quel sorriso sfacciato?»
Impazzire
Angelo bianco
Primo pensiero, miglior pensiero
«Perdonami»
M'ama? Non m'ama?
«Fino a quando non ce la faremo più»
«So che ci sono cose di cui non mi parli, Dane»
Come i segreti che respiravano sotto la sua pelle
«Io credo che l'Amore non sia fatto per esistere per sempre»
Il caos funziona come un vizio
La pallina andò a segno e il flipper smise di funzionare
Un passo e sarebbe cambiato tutto ✨Epilogo✨
❤Scleri, Precisazioni e Profusioni d'Affetto❤
💋Spazio Lettori💋

Da Amsterdam Con Amore

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Od Virgiz01

John aveva ragione, Michael non era male come regista, anzi. Si trattava di quel ragazzo dello staff che aveva risolto il problema della botte. Un tipo in gamba, insomma. A Daniel non era dispiaciuto affatto lavorare con lui per quell'ora, poiché Michael portava con sé un'atmosfera molto vivace e dopo un po' aveva iniziato a muoversi sul set con determinazione e tranquillità, sembrando quasi John in persona.

Finito di girare, ognuno si congedò e Daniel notò con amarezza che Sarah era silenziosamente scomparsa. Durante la loro conversazione in taxi, poco prima di arrivare a destinazione, le era sembrata molto turbata. Forse la cosa migliore era lasciarla sola. Lui, per esempio, mentre pensava, preferiva non avere nessuno attorno.

Camminò per un po' tra i corridori della Columbia University, incontrando di tanto in tanto qualche ragazzo dello staff che conosceva e salutandolo. Non gli ci volle molto ad arrivare alla zona dei camerini che erano stati allestiti in varie stanze che l'università non utilizzava da tempo. Stava per procedere oltre, quando scorse sulla porta socchiusa di un camerino una targhetta a lui familiare. Decise di entrare.

Si trattava molto probabilmente di un vecchio ufficio. Non era molto grande, ma comunque abbastanza spazioso per contenere un guardaroba, una serie di scatole per scarpe e un piano d'appoggio abbastanza ampio. La scrivania che stava contro una delle pareti della stanza era piena di oggetti lasciati a disposizione di truccatori e acconciatori. C'era una piccola finestra chiusa, sulla parete opposta alla porta, e nell'aria si sentiva un forte odore di stantio, mischiato a un lieve sentore di fumo.

«Che ci fai nel mio camerino?».
Daniel si voltò di scatto, spaventato. Lo sguardo di Dane era puntato su di lui, più penetrante che mai, pronto a sondargli l'anima.

«Io» sussurrò, «passavo lì fuori per caso e ho pensato di dare un'occhiata».

«Sì, come no» rispose in fretta l'altro, chiudendosi velocemente la porta alle spalle. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette di una marca che Daniel non conosceva, poi si avvicinò alla scrivania e iniziò a rovistare senza troppa cura tra tutti gli oggetti che vi erano poggiati sopra. Non gli ci volle molto per trovare ciò che cercava. 

«L'altro giorno Emily lo ha dimenticato qui. Le è caduto mentre lei e Katy mi aggiustavano l'acconciatura» disse a bassa voce, farfugliando un po' per via della sigaretta che teneva tra le labbra e che stava tentando di accendere. Riuscito nell'impresa, Dane scostò alzò l'accendino per poterlo osservare.

«Carino» ammiccò. «Non trovi?» aggiunse, mentre con un gesto veloce lo lanciò a Daniel che, visti i suoi scarsi riflessi, per poco non lo fece cadere a terra. Se lo rigirò tra le mani. Sulla plastica erano stampate una foglia di marijuana stilizzata e la scritta: Da Amsterdam Con Amore.

«Ci sei mai stato?». Dane ora sedeva su una delle due poltrone girevoli che erano davanti alla scrivania. 

Fissò il suo sguardo intenso su Daniel, mentre attendeva la sua risposta a una domanda abbastanza semplice. Questo non aveva ancora risposto, ma non sembrava riflettere su che parole usare. Dopo un lungo attimo disse semplicemente: «Non ancora».

Dane sussurrò qualcosa e abbassò lo sguardo, facendo un tiro. Sembrava intento a incasellare delle informazioni nel suo complesso archivio mentale e contemporaneamente a cercarne altre. Daniel tentò di captare i suoi pensieri, ma volute bianche di fumo nascondevano l'espressione del suo viso, impedendogli di scrutarne gli occhi. Le sue labbra socchiuse parevano lucide, quasi iridescenti, mentre sussurravano fumo.

Tutto d'un tratto parve risvegliarsi. «Siediti pure» sussurrò, mentre indicava l'altra poltrona. Daniel si sedette e calò su di loro un silenzio liquido, nuovo.

«Sai, Amsterdam è una città meravigliosa» disse infine, continuando a tenere lo sguardo fisso sulla sigaretta ormai consumata per metà. «Sa essere calma, ma anche esageratamente frenetica, piena zeppa di viuzze selciate che si intrecciano in un labirinto geometrico, percorse da canali silenziosi che scorrono in ogni dove. Le case altissime si sostengono, poggiate l'una sull'altra, e al piano terra ognuna ha un negozietto sempre molto originale o accattivante. Il vento e il freddo possono solo accarezzarti quando sei lì, a guardare quel cielo così unico nel suo genere. Dà assuefazione».

Daniel si chiese se ciò che Dane gli stava raccontando avesse uno scopo, come tutte le altre cose che avevano qualcosa a che fare con lui. Conoscendolo un poco avrebbe giurato che era impossibile che gli parlasse di sé per il puro gusto che chiunque proverebbe nel farlo.

«Tuttavia non sono mai riuscito ad apprezzarla, Amsterdam» continuò Dane, spegnendo la sigaretta in un posacenere anonimo, nascosto tra tutta la roba poggiata sulla scrivania. Si prese tempo, come se i propri gesti fossero stati estremamente interessanti. «Era come se mi mancasse sempre qualcosa o qualcuno, per poterla amare con tutto me stesso».

Alzò per un attimo le spalle, come a volersi scrollare di dosso l'intorpidimento che lo aveva avvolto. Subito dopo guardò Daniel, con un lieve sorriso. «Vedi, sono umano anch'io» disse, rifacendosi alla loro discussione fuori dal Nancy's.

Daniel intravide in quell'affermazione un barlume di speranza fino ad allora sconosciuta e sorrise a sua volta, per poi portarsi una mano ai capelli e ravviarli. Così ignorò il leggero scricchiolio della poltrona girevole, mentre la faceva scivolare sul parquet rovinato, fino ad arrivare ad una spanna dalle ginocchia di Dane. Sporse il busto, per poterlo guardare meglio.

«Forse sono l'unico qui che si sente strano» disse. Un guizzo di coraggio attraversò i suoi occhi, completamente estraneo a entrambi. «Ma anche tu sei cambiato o sbaglio?».

Non aspettò nessuna risposta, nessuno sguardo confuso, nessuna risata. Lo baciò e basta, con trasporto, e si sentì improvvisamente sprofondare. Un sentimento dai tratti poco marcati era riuscito in un attimo a far scomparire tutto il resto. Con la potenza di un temporale lo aveva sradicato da quel camerino. Per un momento gli parve di tornare coi piedi per terra e di sentire Dane rispondere a sua volta con quel linguaggio che è torbido e puro allo stesso tempo. Ma l'estasi non durò molto.

«No, no».
La voce di Dane sembrava così lontana, lui stesso lo sembrava.

Daniel aggrottò la fronte mentre lo osservava allontanarsi e scuotere la testa. Riprese fiato e per un attimo si chiese cosa fosse successo. Scacciò dalla mente l'immagine delle labbra di Dane e tornò in sé. Il ragazzo di fronte a lui sembrava profondamente turbato, come se stesse lottando per cercare di cacciare via un pensiero che, al contrario, non può essere cancellato.

«Dane» sussurrò, sporgendosi in avanti per toccargli la spalla, in un vano tentativo di rassicurarlo.

Tuttavia l'altro si divincolò e si allontanò nuovamente, mormorando sotto voce e scivolando indietro sulla poltrona, fino a percepire il muro opporre resistenza alla sua fuga. Si sentiva scoppiare la testa. Si guardò distrattamente intorno all'inutile ricerca di una bottiglia di whiskey.
«Dane» ripeté Daniel. «Ti prego, parlami...».

«Io... io non posso» balbettò l'altro, lasciando trapelare una sfumatura di aggressività nella voce. «Là fuori c'è Anne. Io sono ancora sposato» mormorò velocemente, abbassando lo sguardo sull'anello dorato che portava al dito.
Si accorse della sua presenza dopo molto tempo. Aveva continuato a indossarlo, nonostante tutto, forse perché se ne era dimenticato oppure perché semplicemente era qualcosa di troppo difficile da lasciar andare: Il ricordo di un giorno felice che in quel momento gli parve improvvisamente ingombrante.

Daniel si passò per un attimo le mani sulle palpebre chiuse, nel tentativo di far scivolare via la frustrazione. Poi precisò: «Non credevo che avrei mai detto una cosa del genere in una situazione simile, ma o la va, o la spacca, per cui ora ti dirò la verità su ciò che penso» disse, attirando lo sguardo di Dane, improvvisamente enormi e curiosi come quelli di un bambino, su di sé.

«Devi smetterla di comportarti come farebbe Lucien, okay? Tu non sei lui, né sei costretto ad esserlo. È inutile che cerchi di nascondermi il tuo lato fragile, comportandoti da stronzo o da imperscrutabile, perché, come puoi vedere, è impossibile celare per sempre le proprie debolezze». Lo guardò con più insistenza, per la prima volta senza volerlo per forza comprendere, ma solo per essere sicuro che il concetto gli si imprimesse a caldo nella mente.

«Ma soprattutto,» proseguì, ormai a briglie sciolte, «liberati del ricordo di Anne». Sospirò mentre pronunciava il suo nome. Forse non avrebbe dovuto dirlo, ma ormai era troppo tardi. «Io non so per certo cosa sia successo quel giorno, ma credo che dopo quello che ti ha fatto non ti meriti più, Dane» disse sottovoce, come se stesse rivelando un segreto. E non era così, dopotutto?

«Ecco quello che penso» sussurrò infine, distogliendo lo sguardo.

Dane ascoltò silenziosamente quel fiume di parole col fiato mozzato. Appena capì ciò che Daniel voleva dirgli, sentì improvvisamente le membra pesanti, la bocca secca. Lo sguardo non reggeva più, gli pizzicavano gli occhi. Era arrabbiato e allo stesso tempo sul punto di piangere. Ma non poteva, non poteva piangere di fronte a lui.

Con tutta la forza di volontà che aveva in corpo, si alzò velocemente e sgusciò via dalla poltrona, lanciando un ultimo sguardo a Daniel, prima di coprirsi il volto con il dorso della mano, per nascondere le lacrime, e uscire dal camerino.

Daniel scosse il capo in un gesto rassegnato. Ora non doveva far altro che aspettare. Prima o poi qualcosa sarebbe dovuto accadere, ne era certo.

Angolo Autrice :)

Qualcuno qui è mai stato ad Amsterdam?😍

Virgiz01

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