dear psychologist 【 frerard 】

By hxpelessaromantic

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« sai, succede molto spesso che il paziente si innamori del suo psicologo, è un meccanismo involontario. ma c... More

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By hxpelessaromantic

«No mamma, te lo ripeto, sto bene. Non sono morto in mezzo alla neve, sto al sicuro, okay?» Frank sbuffò, mentre dall'altra parte del ricevitore sua madre sbraitava su qualcosa che suonava tanto come ipotermia. «Sto al coperto, non sto morendo in mezzo al ghiaccio.» il ragazzo si mise a gambe incrociate sul morbido divano di casa di Gerard, poggiandosi contro lo schienale. Voltò il viso ed incontrò lo sguardo curioso di Gerard, seduto lì accanto ma con le gambe inginocchiate accanto al corpo, tenendo la testa poggiata sulla mano appena chiazzata di china. Lui gli fece un cenno d'incoraggiamento col viso, gli occhi nocciola che brillavano animati da quella che sembrava una singola scintilla di felicità. Frank percepì uno strano torpore riscaldargli il torace per poi fluire in tutto il corpo, strappandogli un sorriso riconoscente. Quasi si dimenticò di essere a telefono con sua madre. «Mamma, tranquilla. No, non sto a casa purtroppo, sto da Gerard.»
«Da Gerard? E che diamine ci fai da lui?» domandò lei dall'altro capo della linea. Frank si morse il labbro, dopotutto la sua era una domanda legittima. Di certo la donna ignorava quali fossero i veri sentimenti nei confronti dello psicologo, tantomeno sapeva che conoscesse il suo indirizzo. Per non parlare del fatto che avessero da poco smesso di baciarsi accucciati l'uno accanto all'altro su quello stesso divano. Al solo pensiero di ciò che era appena successo il cuore perdeva il suo consueto battito regolare.
«Ero in zona, sono uscito oggi pomeriggio...» inventò lì per lì, cercando qualcosa da dire per evitare la spropositata frase mi sono presentato sotto casa sua e l'ho baciato. «E ho casualmente incontrato Gerard. Quando ha cominciato a nevicare forte stavamo da lui, mi aveva offerto di entrare.»
«Capisco, ma... Ed ora? Non voglio mica farti uscire con questa tempesta in atto, insomma, rischieresti la polmonite, proprio tu con la tua salute.» Gerard a quanto pareva stava prestando più attenzione di quanto sembrasse in realtà, perché fece scattare le testa verso il ragazzo e gli fece un gesto, come a dirgli di passargli il telefono. Frank aggrottò la fronte, stupito dalla richiesta, ma l'altro insisté, facendogli uno dei suoi classici mezzi sorrisetti. «Ehm, aspetta, è lui, ti vuole parlare un attimo.»
«Dài, passamelo.» gli fece eco Linda, mentre lui allungava la mano che reggeva il cellulare a Gerard, il quale si alzò e lo afferrò. Nel farlo le loro dita si sfiorarono, appena appena, ma ciò bastò a far desiderare Frank di stringerla e di non lasciarla più, quella mano. Gerard esitò un secondo di troppo prima di prenderli l'apparecchio di mano. «Sì, salve signora, sono Gerard. Frank è qui con me...» disse poi, avvicinandosi il telefono al viso ed incamminandosi verso la cucina. Frank rimase a guardarlo di sottecchi fin quando la sua voce non divenne più di un rumore soffuso in lontananza, della stessa morbida consistenza della luce emanata dalle lampade piazzate artisticamente agli angoli del salotto, che riflettevano parabole di luci sui muri decorati da quadri e mensole. Si voltò, e sempre a gambe incrociate si perse a guardare i miliardi di fiocchi di neve sospinti dal vento fuori dal vetro, creando una bufera in piena regola. Doveva fare freddo, eppure lui si sentiva piacevolmente al caldo dentro a quella casa. Non sentiva caldo solo a livello fisico, insomma, non aveva i brividi e le guance gli pizzicavano di una piacevole e tiepida sensazione pungente, ma anche dentro. Aveva caldo, si sentiva rilassato. Non freddo, si sentiva felice, caloroso, riconoscente in presenza dell'altro, pieno di cera rossa, riscaldato dalla fiamma piccola e guizzante di mille candele rosse. Avevano ragione le persone che ritenevano il rosso un colore caldo.
Dalla cucina la voce di Gerard parlava in fretta e con cortesia, sempre con quel tono melodico e lievemente cadenzato che lo caratterizzava. Lo tranquillizzava sentire quel suono. Quasi poteva immaginare le sue labbra pallide, appena dischiuse, a formare frasi che in quel momento non poteva sentire, ma che comunque raggiungevano il suo orecchio.
Quelle labbra. Alzò una mano per toccare le sue orribilmente screpolate, sfiorando appena la superficie cutanea con la punta delle dita. Un sorriso smagliante gli spuntò sul volto a ricordare un avvenimento ancora troppo vivido per essere archiviato. Lo aveva baciato, lo aveva davvero fatto! Era incredibile, ancora stentava a crederci, ma doveva essere per forza vero, altrimenti non si sarebbe trovato là a casa sua, con la bocca ancora calda dei suoi baci ed i ricordi stampati a fuoco nella memoria, per non parlare delle emozioni che gli fluttuavano impervie per tutto il corpo, alleggerendolo dal peso di una vita fino a quel momento troppo svanita nel buio. Aveva baciato Gerard Way, e non era di certo una cosa da ignorare. Gerard, almeno agli occhi suoi, ma sicuramente anche a quelli di tutti gli altri, era una persona meravigliosa e affascinante, dal punto di vista tanto fisico quando mentale. Con quello sguardo espressivo e particolare, circondato dalle ciglia fini e scure come i capelli, che gli incorniciavano il viso chiaro in un'aureola color carbone. Il portamento raffinato, i sorrisi ponderati e curvilinei e la curva appena accennata del naso, era senza alcun dubbio esteticamente attraente. Ma Frank, più di tutto, amava il suo essere una persona, tangibile e sensibile, che aveva sicuramente un passato ma che stava vivendo al presente, un presente in cui c'era anche lui. Aveva carattere, sapeva sempre cosa fare, come fare, sapeva quando una linea andava tracciata piano, con una matita a grafite H e quando invece doveva essere ricalcata a carboncino. E non solo su un foglio di carta. E poi amava i suoi abbracci. Gli piaceva pensare che quelle braccia svolgessero l'arduo compito di tenere insieme tutti i suoi pezzi. Era l'unica persona che lo faceva sentire così. In parte giusto, gli dava un posticino nel caos della vita, lo ascoltava, lo faceva sentire apprezzato, amato.
Insomma, non che pretendesse di essere insignito di un attestato di merito, ma non era comunque qualcosa da ignorare. Baciarlo era stato stupendo, lo aveva mandato tutto in subbuglio, e dopo l'annuncio alla televisione Gerard si era allontanato solo per spegnere l'apparecchio, per poi stringerlo di nuovo a sé, senza più lasciarlo andare. E con la testa poggiata contro il suo petto, senza più alcun inutile convenevole ad allontanarli, si era sentito al sicuro. Con la mano di Gerard che gli correva delicata tra i capelli, soffermandosi in carezze delicate sul viso, ed il petto che si alzava regolare aveva sentito tutti i suoi pezzi incastrarsi, senza parole superflue a rimarcare ciò che loro si dicevano senza aprire bocca, se non per farla combaciare con quella dell'altro. E a quel punto si era sollevato leggermente seduto sul divano e lo aveva guardato negli occhi, poi le loro labbra si erano di nuovo unite. Si pressavano l'una contro l'altra in una lotta pacifica, si cercavano e rappacificavano due animi fin troppo dilaniati dallo scorrere del tempo. E Frank si era seduto accanto a lui sui vellutati cuscini del divano, volgendo solo il viso di lato per continuare a vivere tramite quel contatto, con solo le ciglia dell'altro che gli sfioravano appena le guance, mentre la sua mano era stretta saldamente con quella sinistra di Gerard. Aveva tenuto gli occhi chiusi. Ma non gli era interessato. In quel momento non gli importava di tutte le informazioni che potevano essere raccolte dalla vista. Poteva solo pensare al tatto, alla stretta delicata ma certa delle due mani, allo sfiorare appena accennato delle sue ciglia mentre sporgeva poco di più il viso verso di lui, alle labbra che si incontravano senza fretta, senza forza, si toccavano appena e ciò bastava a far scattare una flebile, mortale scintilla. Gli bastava il tatto, il tessuto accogliente del divano ed i brividi a fior di pelle, l'incavo della clavicola appena lambito da due dita caute, due spalle l'una contro l'altra, un sospiro profondo contro la sua guancia. Gli bastava sentire per creare un'immagine di quel mondo ora meno ostile. Gli era bastato quello.
Sentì dei passi venire verso di lui, così si girò e si spinse verso l'alto poggiando le mani sullo schienale del divano. Gerard stava tornando verso di lui reggendo il telefono in mano, le labbra adornate da un sorriso completo, spontaneo, non mezzo o nascosto. Vedere ciò mandò una scossa a tutti i nervi di Frank.
«Allora?» domandò, il battito cardiaco ancora un po' alterato. Gerard gli porse il telefono e lui si affrettò a prenderlo e a metterselo in tasca, riuscendo ad afferrare la mano di Gerard ancora a mezz'aria. Lui non la ritrasse, ma anzi, strinse saldamente le dita con le sue, accarezzandogli distrattamente il dorso liscio con le dita. Frank poggiò il viso nell'incavo del gomito.
«Ho parlato con lei, e mi ha chiesto se per caso non sarebbe un disturbo ospitarti per qualche giorno.» la lingua di Gerard fece una rapida comparsa sulle sue labbra sorridenti. «Giusto fin quando non finisce l'allerta meteo.»
Il viso di Frank riemerse dall'incavo del gomito. «Davvero?» domandò, suscitando una piccola risata di Gerard, probabilmente dovuta alla sua reazione decisamente avventata ed entusiasta. Anche lui sorrise.
«Certo, per me non c'è alcun problema, anzi.» Gerard gli lasciò andare la mano e si spostò i capelli da davanti al viso con un gesto fluido. «Credo che per me sarebbe solo un piacere. L'importante è che a te non dispiaccia.»
«Non ne avrei motivo.» felice per la notizia, Frank saltò giù dal divano e gli andò incontro, tenendo però le mani in tasca. Si era talmente rilassato sul divano che il movimento gli provocò un brivido di freddo, subito notato da Gerard.
«Hai freddo?» e prima che Frank potesse confutare quell'affermazione sbagliata «Ti va qualcosa di caldo?» a quel punto il ragazzo si fermò, pensandoci su. Era appena consapevole di due iridi nocciola che non avevano smesso un attimo di guadarlo.
«Mi era piaciuto quel tè, la scorsa volta allo studio... Generalmente non mi piace il tè, ma quello era buono.»
«Se vuoi posso farne un po', ce l'ho in dispensa.» Frank annuì e lo seguì nella cucina, una piccola stanzetta sui toni del crema con un tavolino di legno nell'angolo più interno. Gerard gli fece cenno di sedersi su un panchetto sempre in legno al bordo del tavolo, così Frank si appollaiò sul panchetto. Era un po' troppo alto per lui, infatti i piedi penzolavano nel vuoto e toccava terra solo con le punte, ma non stava scomodo. Si sporse un po' in avanti, e a quel punto Gerard lo colse di sorpresa strappandogli un bacio a fior di labbra. Era stato appena uno sfregarsi, l'una contro l'altra, ma il contesto e la sorpresa lo resero quasi unico. Non era di certo il momento perfetto, sembrava un gesto qualunque, quotidiano ed abitudinario. Era stato fatto senza pensarci, spontaneamente. Quando Gerard si staccò, aveva ancora gli occhi aperti. «Il tuo tè sarà pronto in un paio di minuti.» annunciò, poi si girò senza alcuna esitazione.
Frank rimase tutto il tempo della preparazione ad osservarlo, lasciando oscillare i piedi nello spazio vuoto. Gerard riempì d'acqua il bollitore già precedentemente lasciato sui fornelli ed accese il fuoco, poi si mise in punta di piedi per afferrare con le dita una scatolina dalla mensola più in alto. Sforzo inutile, perché poi gli toccò tirarne giù una seconda. Ma quella era giusta, in quanto ne estrasse due filtri che poggiò là accanto. Prese anche due tazze pulite da un ripiano pieno di piatti e bicchieri, le sciacquò e scartò con attenzione i filtri, poi da un armadio estrasse una scatola di dolcetti alla marmellata e pasta frolla che gli piacevano tanto. Frank ascoltò il rumore dell'acqua che brontolava nel bollitore e la carta scricchiolante che incartava i filtri, le antine che sbattevano contro il legno come una corta melodia fatta di gesti quotidiani, che Frank sentiva tante volte a casa sua ma che mai lo avevano catturato tanto. Guardò attentamente Gerard e le sue mani, che caute e frenetiche iniziavano un gesto dopo l'altro, tirando la linguetta di carta del filtro e chiudendo ben stretto il rubinetto. Osservò le sue dita che quasi giocavano a saltare da un oggetto all'altro, che si impolveravano con lo zucchero dei biscotti e si bagnavano d'acqua, che tamburellavano sul granito del piano cucina, rimettevano apposto pochi capelli scuri d'inchiostro e reggevano in equilibrio due tazze colme di tè bollente. Dita vivaci, screziate di colori ad acquerello, affusolate, pallide, lo accarezzavano, lo toccavano, scorrevano lungo la forma del suo viso come gli occhi color nocciola che in quel momento si girarono soddisfatti verso di lui.
«Tieni, fa' attenzione, scotta molto.» Frank prese con attenzione la tazza dal manico e la poggiò davanti a sé, poi afferrò anche quella di Gerard, così che il ragazzo avesse le mani libere per prendere un piatto di biscotti misti sistemati ad arte nel piatto. Era pazzesco come una stessa persona potesse ordinare anche dei biscotti su un piatto pur di rispettare l'estetica e lasciasse la scrivania del suo studio nel caos più totale. «Intanto vai di là, porta anche la mia. Puoi poggiarla sul tavolino di fronte al divano.» gli disse lanciandogli una breve occhiata, continuando a dispose i dolcetti sul piatto. Frank obbedì ed andò in salotto, posizionando le due tazze sul piccolo tavolo di legno, accanto ad una pila di fumetti. Si sedette a gambe incrociate sul morbido divano e, sovrappensiero, mise una mano aperta sopra i fumi caldi del tè, in attesa che Gerard si sedesse vicino a lui, guardando i vapori intrecciarsi attorno alle sue dita e salire languidamente verso l'alto. Quando sentì il tintinnio del piatto poggiato lì di fronte tolse la mano da sopra la tazza e volse il viso verso l'altro, che le aveva avvolte a coppa attorno alla sua. Lui gli sorrise e si mise accanto a lui, le loro gambe che si sfioravano appena oltre gli strati di tessuto, gli skinny di Frank ed semplici jeans di Gerard, il quale gli sorrise, indicando col mento il piatto di biscotti. «Puoi prenderli se vuoi.»
«Grazie.» Frank non esitò e prese tra le dita una rosellina di pasta frolla al limone, che inzuppò generosamente nel tè. Così lo avrebbe anche raddolcito un po'. Per un attimo rimasero incantati a guardare la tempesta di neve in atto dall'altra parte del vetro. «Davvero, grazie di tutto.»
«Te l'ho detto, non c'è bisogno. Non è affatto un dispiacere ospitarti qui.» ribatté l'altro, soffiando sul suo tè. Frank prese un piccolo sorso, riconoscendo il sapore di arancia e cannella. Sentì le guance ricominciare a pungergli calorosamente per la consapevolezza di ciò che stava per dire, ma prima di parlare si pulì gli angoli della bocca col dorso della mano, poi interruppe il silenzio confortevole della casa.
«Non sto parlando solo di questo.» bastarono queste sei parole a catturare l'attenzione di Gerard, che smise di soffiare sulla sua tazza. Frank dovette inspirare profondamente – non che gli dispiacesse, casa di Gerard aveva un buon profumo – prima di poter continuare. «Cioè sì, insomma, ti ringrazio anche per l'ospitalità, però non solo. Volevo ringraziarti per il tè, sia questo che quello della scorsa volta, e poi per il passaggio sotto la pioggia a fine settembre. E grazie anche perché mi capisci, grazie per considerarmi una persona e per aiutarmi, perché per primo mi stai facendo capire che si deve crescere, ed io sto tornando a credere in me stesso grazie a te. Grazie perché mi piace il tuo disordine, e non è un modo carino per offenderti!» esclamò Frank, strappando una piccola risata da Gerard. «Ma è bello. È artistico, caotico, un po' come l'universo. E nell'universo vengono create le stelle. Grazie Gerard. Perché mi stai insegnando il valore di tante cose. Grazie di esistere.»
Gerard rimase in silenzio qualche secondo, le mani strette attorno alla tazza ed uno sguardo indecifrabile nei suoi occhi, intento a mantenere lo sguardo fisso sul tè, i capelli che gli ombreggiavano delicatamente il viso cupo. Frank avvampò, sicuro di aver esagerato, ma non fece in tempo ad abbassare lo sguardo sul suo tè, di un caldo arancio, che sentì un sussurro raggiungere le sue orecchie. «Credo di doverti ringraziare per lo stesso motivo.»
Frank riportò divertito lo sguardo nel suo, ma le sue intenzioni andarono in fumo quando si accorse della serietà espressa dal volto di Gerard. Le sopracciglia corrugate, lo sguardo pungente e le labbra chiuse, serrate. Non stava scherzando, era serio. Lo sguardo venne interrotto dall'improvvisa, appena accennata risata di Gerard. «Proprio non te ne accorgi, eh?»
«Accorgermi di cosa?»
«Di quanto io ci tenga a te.» ammise lui con una semplicità disarmante. Frank rimase a guardarlo mentre si portava la tazza davanti al viso, ne avvolgeva il bordo con le sue morbide labbra chiare e prendeva un lungo sorso. «Non te ne rendi conto. Non ti rendi conto di quanto tu mi abbia cambiato la vita, di quanto mi renda felice semplicemente la tua presenza e di quanto odi vederti piangere. Di quanto mi senta coinvolto nella tua vita quando dovrei solo aiutarti dall'esterno. Non ti accorgi di quanto tu sia bello, unico, non ce la fai proprio, vero?» la tazza venne poggiata con un tintinnio sul tavolino. Una mano di Gerard si avvicinò al suo viso, e Frank lasciò che la sua guancia venisse confortata da quella dolce, delicata carezza. Era perfettamente consapevole della loro vicinanza, e nuovo percepì quella sensazione di tepore imprigionata sotto le costole. Girò il viso nella coppa del suo palmo e vi depositò un bacio, pressando le labbra contro la sua pelle, profumata di cannella.
«Non credo di essere bello.»
«Io invece penso di sì.» le dita scivolarono lentamente lungo il suo zigomo, distaccandosi leggere quando gli sfiorarono il collo. Frank lo guardò, il cuore che ricominciava a battergli forte. «Non so neanche come descriverti, perché sei così particolare, artisticamente perfetto e così speciale... E davvero, non so come fare.»
«Come il carboncino.» mormorò lui in automatico, facendo tornare il pensiero al disegno ben nascosto nel comodino. Gerard volse lo sguardo alla finestra, colpita da milioni di fiocchi di neve, e parve soppesare la risposta.
«Sì, sei un po' così. Sei un contrasto vivente, ma al contempo vivi di sfumature. Sei polveroso, ma affascini, nascondi e sottolinei. Sei l'unico elemento capace di creare le ombre, ombre scure come i tuoi capelli, un po' come te, ma solo tu riesci a stare a contatto con la luce.» le sue dita si alzarono e presero una ciocca del suoi capelli, cominciando a giocherellarci distrattamente. Gerard si era girato di nuovo verso di lui, facendo sembrare improvvisamente il divano molto più piccolo di quanto in realtà non fosse. Le sue dita scivolarono lentamente giù dalla tempia e gli carezzarono di nuovo il viso. «A me il carboncino piace.» il viso di Frank venne spostato più verso l'alto, costringendolo così a guardare negli occhi il suo interlocutore, le cui labbra rosee erano appena dischiuse, così poco distanti da lui. E quella distanza venne ben presto annullata, Frank percepì quella bocca soffice poggiarsi sulla sua per qualche secondo, per poi arretrare con uno schiocco appena accennato. «E mi piaci anche tu, per quello che sei.»
«Ti piaccio?» chiese titubante, come timoroso di aver sentito male. Gerard gli stava carezzando lo zigomo col pollice, sembrava quasi che lo stesse modellando, creta viva sotto le sue mani. E poi la sua bocca si ritrasse in un sorriso. Un sorriso così bello che a Frank non interessava più stare né seduto sul divano, né in una strada illuminata solo dai fiochi lampioni o fuori sotto la neve gelida. Non era l'ambiente, era proprio Gerard a farlo sentire al caldo. Prese un respiro nervoso. «Cioè, ti piaccio
«Ti ho mentito quella volta. Ti ricordi quando mi hai chiesto se avessi provato qualcosa, quando ci baciammo alla fiera?» il ragazzo parlò lentamente, con una voce roca e profonda che ritardò di poco il cenno d'assenso di Frank. «Ho mentito. Perché mi è piaciuto.» ci fu una pausa, breve, intensa, in cui il moro continuò a sentire la carezza confortevole delle dita sulla pelle. Poteva sentire il respiro di Gerard contro il suo, i suoi occhi erano così vicini da sembrare marroni, due vortici d'autunno screziati d'oro. «E suppongo che tu mi piaccia tutt'ora.»
Frank deglutì a fatica, non riuscendo totalmente a credere alle parole appena sentite. Rivedeva le sue labbra piene e rosee, appena macchiate di zucchero a velo, scandire quelle parole, le stesse labbra che gli avevano dato baci caldi e soffusi. Tutte quelle emozioni allora non erano state soltanto un'illusione, non erano stati soltanto suoi i battiti mancati e la mente altrove, a setacciare l'ennesimo ricordo. Non erano stati solo suoi i sorrisi prima di addormentarsi, la sensazione di vuoto nei momenti no e quella scarica di felicità che lo pervadeva al minimo contatto visivo. Cercò conferma nei suoi occhi, e vi trovò la stessa paura e la stessa gioia confusa. Sorrise. «Per questo te lo domandai. Perché non potevo fare a meno di pensare noi due, alle emozioni che mi rievocava un ricordo nostro. Nessuno mi ha mai fatto provare qualcosa così forte, mai.» ammise, scuotendo la testa. «Ma tu mi hai aiutato. Mi hai risvegliato dal torpore. Mi hai insegnato che non c'è nulla di male ad avere paura qualche volta, che essere diversi fa parte della vita. Sei riuscito a farmi tornare, sei stato l'unico a sforzarsi per questo. Sei riuscito a farmi tornare a provare emozioni, gioia, intraprendenza, forza di volontà, hai suscitato in me qualcosa che non c'era prima. Sei riuscito a farmi provare qualcosa di rilevante per qualcuno. Mi hai praticamente resuscitato dall'accidia.» ammise con una risatina, poi si sporse e abbracciò Gerard, facendogli scivolare le braccia ai lati del collo. Percepì la sua stretta rassicurante sulla vita e le mani aperte sulla schiena che lo stringevano forte. I loro cuori battevano l'uno contro l'altro. «Ed ora sono irrimediabilmente legato a te. Perché sei stato l'unico ad amarmi per quello che sono, a dirmi di combattere per ciò che voglio, a spronarmi, sempre. Mi piaci, Gerard.» si morse il labbro, confortato dalla stretta dell'altro. «E devo ammetterlo, ho paura riconoscerlo a me stesso.»
«Frank, tu mi piaci per ciò che sei. Ora ti sto parlando da persona, non da psicologo.» disse in tono serio Gerard. Frank rifugiò il viso nell'incavo del collo, inspirando a fondo il profumo di caffè e grafite emanato dalla sua pelle calda. «Tu piaci alla persona me, piaci ad un artista con le mani colorate e la testa fra le nuvole che ascolta troppa musica e beve fin troppo caffè. È questa persona che, conoscendoti, ha dapprima apprezzato le tue qualità, poi i tuoi difetti, poi direttamente tutto Frank Iero, nonostante lo psicologo continuasse a ripetersi di non affezionarsi alla figurina scura che popolava i suoi pensieri. È lui che stanco di vederti solo nella mente ti ha disegnato un pomeriggio di Ottobre e che ti ha aperto la porta, un'ora fa, vedendoti tremante ed ansimante di fuori. È a lui che piaci.»
Frank non aggiunse nulla, qualsiasi parola superflua avrebbe rovinato l'intensità del momento. Si limitò a rimanere nel cerchio delle braccia di Gerard, confortato dalla sua stretta e dal petto che sentiva alzarsi ed abbassarsi contro il suo, i capelli scuri che gli pizzicavano piacevolmente le guance. Lo strinse più forte a sé prima di lasciarsi scivolare via, ritrovandosi in ginocchio davanti a lui, con le mani poggiate sulle sue spalle. Il cielo di fuori era di un blu sfumato, la luna era completamente schermata dai candidi fiocchi che imperversavano in balia del vento, e l'unica fonte di illuminazione era costituita dalle lampade e la loro luce soffusa, giallastra, che accarezzava i loro lineamenti e ne ammorbidiva gli spigoli. Lo sguardo di Frank percorse un'ennesima volta quel viso che era ormai impresso a fuoco nella sua memoria, gli zigomi definiti dal gioco di luci ed ombre e gli occhi che sembravano quasi neri nella penombra serale. Le ciglia gli fremettero appena quando alzò lo sguardo nel suo, per i pochi secondi prima di sporgersi e di poggiare appena le labbra sulle sue, che risposero immediatamente al bacio. Frank chiuse gli occhi, assaporando la bocca di Gerard, morbida ed arrendevole contro la sua. Nella sua mente si fece spazio un ricordo, quando per la prima volta aveva incrociato lo sguardo vivo di Gerard. Aveva pensato che quella persona, da subito particolare ed ammaliante, un giorno lo avrebbe potuto trasformare in un'opera d'arte, colmare i suoi vuoti di colore con nuove, brillanti tonalità. Sembrava quasi che le dita che gli stavano accarezzando i fianchi lo stessero dipingendo con cautela, rispettando dei malandati contorni, così come le sue labbra che ruotarono appena, aprendosi come un bocciolo a primavera, il suo viso che reggeva con le mani e la sua pelle, pallida e pura sotto le sue dita. Sì Gerard, trasformami in una delle tue opere d'arte, riempimi di colori. Qualche tratto di matita e due schizzi di tempera, quanto basta per ridarmi vita. Mi sembra di essere un bozzetto di prova uscito male, eppure tu non esiti a seguire le linee, mi trasformi da scarabocchio in bianco e nero in pura arte, le tue labbra macchiate di acquerello dipingono le mie, le dita tue sono come pennelli, intrisi di vita. Dai nuova luce ai miei dettagli, sfumi i miei contorni. Riempimi dei tuoi colori, Gerard.

Gli erano bastati pochi giorni per rendersi conto di una cosa, ossia che l'ordine non era di certo una delle qualità di Gerard. Frank sospettava che fosse un riflesso della sua mente da artista, caotica e sempre attiva, sul punto di sviluppare qualsiasi pensiero la stuzzicasse un po', ma ciò non toglieva che la scrivania allo studio fosse disordinata almeno quanto casa sua, se non di meno. Era però un bel disordine, quel genere di caos creativo che rendeva un posto più accogliente, meno freddo e distaccato. Era un disordine quasi armonico, a cui Frank aveva fatto l'abitudine con piacere e senza molto sforzo. Era un tratto di Gerard, e come tutti gli altri lo affascinava, sembrava artistico, quasi premeditato. L'unica stanza di casa non soggetta alla vena caotica del suo inquilino era la camera di Mikey, che Frank occupava abusivamente da tre giorni, ossia da quando fuori imperversava la bufera di neve, con rari momenti di interruzione. Non che gli dispiacesse stare da Gerard, poterlo vedere mattina e sera, anche con lo sguardo assonnato ed il viso stanco di chi ancora non vuole alzarsi ed i capelli disordinati, e poi la sera prima di dormire quando gli dava un bacio, gli sussurrava buonanotte, Frankie e si richiudeva la porta alle spalle, o durante la giornata, quando leggevano, parlavano, vedevano dei film o più semplicemente si baciavano, decisamente l'attività preferita di Frank. Non riusciva a smettere di pensare a quanto sentisse tutto improvvisamente giusto quando si abbracciavano e si baciavano, senza nulla da dire. Una leggerezza di cuore che lo accompagnava da giorni ormai, facendogli dimenticare tutti i pensieri cattivi, scolorendo il nero della sua mente. Gerard lo faceva stare bene, soprattutto quel Gerard che ormai era diventato il suo ragazzo, legame stabilito poco dopo che erano rimasti a guardare la finestra, quando Gerard gli aveva detto ciò che provava per lui. Diciamo che non gli dispiaceva proprio per niente.
E poi la camera di Mikey era un ambiente tranquillo ed ordinato, senza particolari pretese. Le pareti erano di un grigio chiaro, con qualche quadro e dei poster attaccati qua e là. Il letto meticolosamente rimboccato col piumone blu poggiato in fondo, una libreria con pochi effetti personali, una scrivania con dei fogli impilati sopra ed un'ampia finestra che dava sul vicinato, accanto all'armadio. Per sua sfortuna vuoto. Quando Gerard aveva notato quel piccolo particolare aveva alzato le spalle e lo aveva accompagnato nella sua di camera, spiegandogli che Mikey generalmente si portava i vestiti solo per una notte. Frank era entrato in camera di Gerard con un po' di nervosismo, e non era riuscito a resistere all'impulso di guardarsi intorno mentre l'altro stava rovistando nell'armadio. Disegni ad abbellire le pareti scure ed un cumulo di felpe su una sedia, un comodino su cui erano poggiate tante candele più un armadio in legno ed un letto ampio, sfatto, soffice e con le coperte per aria, accanto alla finestra. Aveva un aspetto vissuto, piacevole, profumava proprio di caffè e grafite, in più Frank aveva adocchiato una collezione di CD su una mensola accanto alla libreria riempita di fumetti, scoprendo con piacere tanti musicisti che ammirava anche lui. Era però morto dall'imbarazzo quando Gerard si era girato con un mucchietto di vestiti in mano ed era scoppiato a ridere, dicendogli che poteva guardarsi intorno tranquillamente, senza temere chissà quale conseguenza. Poi gli aveva porso i vestiti, dicendogli che avrebbe potuto tranquillamente usarli, dato che erano suoi ed al massimo gli sarebbero stati un po' grandi. Frank li aveva accettati con un sorriso imbarazzato, dopotutto scambiarsi i vestiti era quello che facevano i buoni amici, o i fidanzati, giusto? E loro due stavano insieme per quanto potesse sembrargli strano o irreale doveva all'idea che ora stessero insieme, che Gerard Way era il ragazzo di Frank Iero. Gli faceva un po' strano pensarlo, ma in senso buono. Era più uno stentare a crederci, perché gli pareva troppo bello. Ma i suoi vestiti erano confortevoli, gli ricadevano morbidamente addosso, e lo tenevano al caldo. Poi sapevano di lui, e Frank aveva l'illusione di essere sempre abbracciato a lui, anche di notte, quando indossava una sua vecchia tuta. Era proprio come un sogno, un'interruzione della vita normale per permettergli di respirare, una parentesi colorata in una storia altrimenti troppo monotona. Le scuole avevano persino chiuso, erano infatti almeno tre giorni, tre splendidi giorni, che stava con Gerard. Come se tutto si fosse fermato per far vivere quella piccola speranza. Ma il disco era quello che andava avanti da sempre, semplicemente era arrivato alla traccia più bella. E si stava godendo a pieno la canzone, soprattutto quella sera, con il caminetto acceso mentre stavano sdraiati sul divano, uno nelle braccia dell'altro. Quel giorno, sfruttando il fatto che la bufera si fosse placcata parecchio, avevano spalato il vialetto d'ingresso e parte del cortile. Una faticaccia, sì, che aveva occupato gran parte della giornata. Non erano i soli a farlo, anche gli altri abitanti stavano approfittando dell'occasione, qualcuno si occupava pure delle strade. Così, mentre nello sgombrare la parte di fronte erano stati zitti se non per scambiarsi qualche parola e pochi sorrisi soffocati da sciarpe e cappelli, nel cortile posteriore non avevano resistito più di un quarto d'ora. Aveva appena finito di pulire la zona davanti al balcone che era stato travolto da qualcosa ed era caduto nel metro di neve come una pera cotta. Fortunatamente la neve era soffice ed immacolata, aveva attutito la caduta ed anzi la aveva resa piacevole, soprattutto perché pochi secondi dopo Gerard era comparso nel suo campo visivo con i capelli scuri costellati di fiocchi di neve ed un sorrisetto malefico ed aveva iniziato a fargli il solletico, poi si era buttato con lui nella neve e lo aveva baciato. Così, nonostante facesse un freddo fottuto, Frank si era crogiolato nella sua stretta ed aveva ricambiato con foga il bacio, assaporando il contrasto tra il freddo della neve ed il cauto tepore del corpo di Gerard contro il suo, visto che prima non si erano neanche potuti sfiorare. Nonostante qualche involontaria effusione erano riusciti a sgombrare completamente il cortile verso il primo pomeriggio, così erano rientrati in casa e dopo una doccia calda – rigorosamente prima l'uno poi l'altro, Frank ancora non se la sentiva di avere un contatto tanto intimo – con i capelli ancora umidi avevano acceso il caminetto e si erano fatti la cioccolata calda, che avevano bevuto uno accanto all'altro sul divano. Poi Gerard si era offerto di leggergli qualche pagina di un libro che gli piaceva molto, e dopo un paio di capitoli Frank si era ritrovato sdraiato accanto a lui con la testa sulla sua spalla, le gambe intrecciate ed un braccio a cingergli protettivamente il fianco, confortato dalla sua lettura cadenzata che gli vibrava nel petto, pressato contro il suo. Ora avevano smesso, ma stavano comunque sdraiati vicini, Frank percepiva la morbida carezza di Gerard sui suoi capelli mentre osservavano il fuoco crepitare allegro nel caminetto, le loro mani intrecciate illuminate dai bagliori dorati delle fiamme. Con un mugolio, Frank si strinse un po' di più a lui.
«Non ti ho mai sentito suonare.» disse lui distrattamente, senza smettere di carezzargli la testa. Frank si girò nella sua stretta, fissandolo poggiato sul fianco mentre con le mani lo teneva stretto a sé. L'altro stava vedendo il fuoco nel caminetto senza guardarlo veramente, il libro mezzo aperto che giaceva ancora sotto la sua mano libera.
«Cosa?»
«Ho detto che non ti ho mai sentito suonare.» replicò Gerard, voltando il viso in modo da guardarlo. Non c'era niente da fare, i suoi occhi gli piacevano sempre di più. «Tutto qui.»
«Un giorno mi piacerebbe suonare qualcosa per te.» rispose lui quasi sottovoce, per poi accucciarsi un po' più contro di lui, aggrappandosi alla sua felpa. Frank sentì le dita dell'altro arrivare ad accarezzargli alcuni ciuffi spettinati sulla tempia, sfiorandogli appena le guance.
«Davvero?» quando Frank annuì, praticamente sfregandogli la testa contro la spalla, lo sguardo di Gerard parve accendersi d'entusiasmo. Lui lo fissò di rimando, quasi preoccupato. «Senti, so che potrebbe sembrarti una richiesta avventata o anche stupida, ma io di là ho una chitarra. Se ti va potresti suonarmi un pezzo.»
«Che chitarra è?»
«Un'acustica, vecchio modello.»
«Credo di poterlo fare, sì.» disse Frank dopo qualche attimo di silenzio. «Cioè, non sarà lo stesso, ma posso comunque provarci.»
«Sarebbe stupendo.» Frank sentì Gerard depositargli un bacio tra i capelli. «Dài allora, accompagnami a prenderla.» controvoglia, il ragazzo si sedette e si passò una mano sul viso prima di alzarsi, seguito da Gerard, che lo precedette verso il corridoio. Aveva i capelli tutti scompigliati ed il viso rilassato, contento. Frank si accorse di starlo fissando solo quando lui si fermò davanti una stanza in cui non era mai entrato. Si spostò accanto a lui, guardando incuriosito Gerard che, facendo pressione sulla maniglia, aprì la porta verso l'interno.
La stanza doveva per forza essere orientata ad ovest, perché la luce abbagliante del tramonto attraverso le ampie vetrate colpì Frank in pieno volto. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco l'ambiente, permeato da un delicato sentore di carta, legno e grafite. «Mi dispiace, l'ultima volta ho dimenticato di chiudere le tende.» si scusò Gerard per poi staccarsi da lui ed avvicinarsi alle finestre luminose. Frank, ancora fermo sulla soglia, ne approfittò per guardare lo studio artistico di Gerard, perché altro non poteva essere. Una sola sedia dall'aria comoda e due tavoli di legno, uno sgombero con una lampada da lettura in un angolo, accanto ad un astuccio di portamine, ed uno riempito di fogli colorati o disegnati, alcuni finiti ed altri incompleti. Le pareti bianche erano gremite di disegni, tele, acquerelli, quadri e ritratti, che si succedevano uno all'altro in una policroma armonia. E poi a sinistra una libreria che occupava quasi tutto il muro, nei cui scaffali inferiori Frank vide numerosi saggi sulle tecniche grafiche e pittoriche, alcuni cimeli e pochi oggetti personali, più su invece era un tripudio di fogli bianchi di ogni tipo, pennelli, matite e pennarelli dai colori vivaci, tutti messi in ordine e tenuti al loro posto in alcune cassette apposite. Frank vide un barattolo con tantissime matite dalla punta scura, poi un altro con varie tavolozze con le pastiglie per gli acquerelli, un contenitore trasparente in cui giacevano uno accanto all'altro dei gessetti a sezione quadrata posto vicino ad alcuni porta-matite in metallo molto lunghi, al cui interno Frank immaginava file e file di colori. Appena sopra tanti di quei tipi diversi di fogli da disegno e tele di piccole dimensioni che Frank neanche ci si soffermò, lui era rimasto al foglio ruvido per il disegno a mano libera e quello a superficie liscia per il tecnico. Vide anche quelli, accanto alla carta color avorio, ma lui aveva di nuovo voltato lo sguardo per guardarsi ammirato intorno, in quel luogo quasi dotato di vita propria, che sembrava ritagliato dalla parte più recondita e privata del ragazzo che si girò verso di lui, le tende chiare che ancora oscillavano alle sue spalle. «Lo so, è in disordine, ma non credo rimetterò mai apposto il mio studio.»
«È bellissimo così.» rispose infilandosi le mani in tasca, prima di voltare finalmente lo sguardo su Gerard, il quale parve sorridere imbarazzato per quello che Frank intendeva come un complimento.
«Mikey dice che sembra ci sia passato un uragano.» il ragazzo si soffermò un attimo sul marasma di fogli sopra la scrivania. «Ma a me non interessa, mi piace così.»
«È come una parte di te.»
«Sì, direi di sì.» Gerard fece una piccola, melodica risata. «È in assoluto la mia stanza preferita di casa, ci spendo giornate intere come puoi ben vedere.» abbassò il viso su un foglio ricoperto di bozzetti anatomici ed una ciocca di capelli gli scivolò sul viso, oscurando la sua espressione. Frank si avvicinò, ma la sua attenzione venne catturata da alcuni fogli scarabocchiati sul bordo del tavolo. Il soggetto era ritratto a matita, nulla di particolare, solo alcune linee guida abbozzate per un progetto migliore dopo. La particolarità? Quegli occhi, i tratti somatici, la posizione delle spalle, erano tutte sue quelle caratteristiche, era lui il ragazzo con i capelli scuri disegnato quattro, cinque volte in pose diverse sul foglio. E ce n'erano altri. Probabilmente Gerard non lo aveva ritratto solo nel carboncino. Con il cuore che gli faceva un salto nel petto si chiese quanti altri fogli del genere fossero seppelliti in quel cimitero cartaceo. Gerard era a pochi passi di lui, ancora con lo sguardo perso. «Oltre a Mikey e Lindsey, tanto tempo fa, nessuno è mai entrato qui dentro. Non lo ho mai permesso. Ma a te sì.»
«Oh, ehm, grazie.» Frank distolse lo sguardo e si ritrovò immediatamente in soggezione, il che lo spinse a guardarsi di nuovo intorno, come se su ogni singola opera che ostentava timidamente la sua bellezza fosse stata gettata una nuova luce. «È molto bello qui, mi piace davvero.» Anche tu mi piaci davvero, ma credo che già lo sappia. È come te, artistico e caotico, in subbuglio ed armonico come null'altro. È come te, mi piace la tua arte come mi piaci tu. Quelle parole, però, si limitò a pensarle. Gerard sollevò lo sguardo, nessuna traccia del negativismo precedente.
«Ne sono contento. Credo abbia lo stesso significato della chitarra per te. E, a proposito» Gerard attraversò la stanza dirigendosi alla libreria, dalla cui parete afferrò lo strumento, per poi porgerglielo. «Tieni, prendila pure. Mi è stata regalata da mia nonna quando avevo dieci anni, ma non ho mai avuto un talento particolare nel suonare. Me la sono sempre cavata meglio col disegno.»
«Credo si noti.» Frank prese con delicatezza la chitarra, saggiandone un attimo il peso con entrambe le mani. Era tanto che non suonava qualcosa di diverso da Pansy, e doveva rifarci l'abitudine, oltre a controllare che fosse ben accordata. Gerard alzò gli occhi su un quadro, esposto in una bella cornice scura accanto alla finestra. Frank seguì la direzione del suo sguardo, soffermandosi su una tela che ritraeva una bella ragazza dallo sguardo leggiadro ed allegro, con indosso un abito elegante rosso e nero. Gli parve di averla già vista. «È lei?» chiese con prudenza, riferendosi al quadro appeso e ricordandosi quello nello studio. Si assomigliavano tanto. Senza smettere di fissare con aria malinconica il quadro, Gerard annuì. Frank poteva quasi sentire il rumore dei suoi pensieri fluire veloci l'uno dietro l'altro.
«Quando era giovane era così, almeno da come mi è stata descritta. Le piaceva la danza.» solo all'opera Frank intravide due scarpette da ballo nere fare capolino da sotto l'orlo del vestito, scuro come i fluenti capelli della donna. Sorrideva, mostrando i suoi occhi chiari a chiunque rimanesse affascinato dalla bellezza di quel quadro. Eppure, negli occhi nocciola di Gerard si era per la prima volta affievolita la scintilla di vita che li caratterizzava. Doveva mancargli davvero tanto. Senza dire nulla Frank si avvicinò e lo strinse con le sue esili braccia, tenendo la chitarra ben salda in mano. Si mise sulle punte, in modo che fossero alla stessa altezza e lo tenne forte, per fargli capire che anche in un mare di ricordi nostalgici non sarebbe stato solo.
«Ti piace dipingerla.»
«È un modo come un altro per averla vicina.» Gerard scosse la testa velocemente, come per scacciare un brutto ricordo e poi tornò a guardare a distanza ravvicinata Frank, facendogli un cenno alla chitarra. «Su andiamo, sono curioso di sentirti.» il ragazzo sciolse l'abbraccio, si girò e lo precedette nel salotto, sedendosi poi sul divano a gambe incrociate. Gerard lo raggiunse subito, mettendosi accanto a lui. Quando fece scivolare le dita sulle corde ne uscì un suono sgraziato, per cui si fece dare il La per poi procedere ad accordare la chitarra. Come di suo solito quando suonava c'erano solo lui e lo strumento, ogni altra presenza esterna era confinata fuori dal guscio che si creava con un semplice accordo, con un giro della chiave. Si chinò sulla chitarra, pizzicando con delicatezza le corde per far uscire la nota desiderata. Era arrivato alla corda del Mi cantino quando improvvisamente alzò il viso, cogliendo Gerard a fissarlo intensamente. Quello se ne accorse ed abbassò imbarazzato lo sguardo sulle sue mani, le gote che si stavano sfumando di rosso. Gli lanciò una timida occhiata quasi di scuse, fingendo di sistemarsi i capelli dietro l'orecchio.
«Mi stavi fissando?» chiese con un mezzo sorrisetto Frank, tamburellando con le dita sulla cassa della chitarra. Pensò istintivamente che Gerard fosse bellissimo quando si sentiva in imbarazzo, le guance gli diventavano rosse e la sua espressione si accigliava leggermente, poi arricciava le labbra. Il ragazzo alzò il viso, prendendo un sospiro.
«Non ho potuto fare altrimenti. Sei così concentrato, non ti ho mai visto tanto preso da qualcosa.» Gerard abbozzò un sorriso. «Sei bellissimo, lo sai?»
Le dita di Frank smisero di tamburellare sul legno. Era spiazzato, non se lo aspettava. «Quindi mi stavi fissando?»
«Te l'ho, detto, non potevo fare altrimenti.»
«Allora io posso fissarti quando disegni?»
«Potresti anche farlo sempre per quanto mi riguarda. Ma nessuno mi guarda quando disegno.»
«Potremmo rimediare.» propose con un sorrisetto.
«Pensa a suonare, Iero.» Gerard fece una piccola risata e gli diede una botta sul braccio, alla quale Frank rispose con uno sguardo divertito. Mentre finiva di ricontrollare le corde pensò a cosa avrebbe potuto suonargli, per la prima volta gli interessava l'opinione di qualcuno. Sicuramente qualcuno dei suoi pezzi, ma voleva fargli ascoltare il migliore. E poi avrebbe cantato? E se avesse fatto la figura di una cornacchia schiacciata sotto un torchio idraulico? Casomai avrebbe canticchiato qualche parola. Poi quella era una chitarra acustica, sperò che il pezzo venutogli in mente potesse venire bene anche senza chitarra elettrica. Si scostò i capelli dal viso e lanciò un'occhiata al ragazzo seduto accanto a lui, che non desisteva a guardarlo, con un sorriso sereno, come se meritasse davvero di essere guardato così, come un'opera d'arte in un'esposizione temporanea. Era contento che Gerard gli avesse chiesto di suonare per lui, significava che gli importava davvero. Senza avvertirlo fece un paio di accordi a vuoto, poi posizionò le dita e partì a suonare.
«I'm not sure what they said, but if it's true I'll bet, it's just one more thing I'll regret.» le parole gli uscirono di bocca quasi involontariamente, trasportate dalla melodia degli accordi, incredibilmente armonica e lineare. «I hate my weaknesses, they made me who I am. "Yeah, it's cool, I'll be okay", as I felt your pain wash over me, so I dry your eyes and hide my shakes, cause I hate the look that's on your face.» gli venne in mente quando per la prima volta si era sciolto in lacrime davanti a Gerard e lui poi lo aveva abbracciato, stringendo tra quelle braccia i pezzi frantumati di un ragazzo che era sul punto di abbandonare tutto, come se veramente ne valesse la pena. E poi la stessa cosa, quando erano state le debolezze di Gerard ad evincerlo. Gli aveva asciugato una sola singola lacrima, sulla porta di quella stessa casa, lo aveva guardato alla stessa maniera. Non potevano sopportare l'uno la sofferenza dell'altro. «These things inside my head, they never make much sense, so I wouldn't hold my breath... I hope I die before they save my soul.» Gerard lo ascoltava assorto, teneva gli occhi sulle sue mani che creavano veloci un'accordo dopo l'altro, sul suo viso concentrato a non stonare o a confondersi. Non lo stava solo sentendo, lo stava ascoltando. Frank ripeté il ritornello, eludendo il contatto visivo, due scene diametralmente opposte e di base identiche che si ripetevano nella sua mente. «"Yeah, it's cool, I'll be okay", as I felt your pain wash over me, so I dry your eyes and hide my shakes, cause I hate the look that's on your face.» alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di Gerard. «Don't hang up, because I don't have anyone left here.» le disse a lui quelle parole, gliele disse guardandolo in quegli occhi meravigliosi, vivi ed artistici. «Don't give up, don't hang on to anything I've said.» abbassò lo sguardo, di nuovo concentrato sugli accordi. Ricordava la rabbia repressa che lo aveva trascinato la prima volta a scrivere le frasi del testo, la ricordava tutta, la scarsa stima di se stesso, la delusione, lo scoraggiamento, la disillusione. «I hate my weaknesses, they made me who I am, it makes no difference, I'm insignificant
«No, non lo sei.» era stato appena un sussurro vicino al suo orecchio, ma aveva sentito chiaramente la voce di Gerard. Lo guardò, di nuovo, consapevole di quanto lo stesse ascoltando, di quanto lo stesse davvero capendo. Gli fece un sorriso mesto. «"Yeah, it's cool, I'll be okay", as I felt your pain wash over me, so I dry your eyes and ride my shakes, cause I hate the look that's on your face. "Yeah, it's cool...» Frank sentì una seconda voce unirsi al suo canto, alzò lo sguardo e vide le labbra di Gerard muoversi al ritmo delle parole. Lui era di profilo, guardava il fuoco che si spegneva nel camino, il viso raffinato illuminato dalla luce morente. «...I'll be okay", as I felt your pain wash over me» aveva una voce bellissima, lirica, decisa, scivolava sulle note e si prendeva carico delle emozioni che Frank aveva graffiato su un foglio, animato da rabbia ed inchiostro. «So I dry your eyes and hide my shakes» era bravissimo a cantare, sarebbe rimasto ad ascoltarlo per tutto il giorno e la notte, a lasciarsi nuovamente trapassare dai sentimenti, intensi ed ancorati alla sua voce. Non si era accorto neanche di aver chiuso le sue, di labbra. «Cause I hate the look that's on your face.» l'ultima frase venne cantata solamente da Gerard, il quale si girò distrattamente verso di lui e serrò la bocca, in evidente imbarazzo. Sembrava quasi stesse per scusarsi, ma Frank lo precedette, cercandogli la mano con la sua. Strinse le dita alle sue, confortando se stesso ed il ragazzo davanti a sé, che sembrava quasi coinvolto dalla sua canzone, reinterpretata da qualcuno che aveva un altro passato da raccontare. «And this is not the end for us
Rimasero qualche secondo in silenzio, a guardarsi, in attesa che l'illusione scivolasse via dalla realtà. «Perché non mi hai mai detto che canti così bene?»
«Non canto poi così bene. Me la cavo, tutto qui.»
«Spero vivamente che tu stia scherzando.» replicò Frank incredulo, dandogli una stretta alla mano. «Hai una voce stupenda. È enfatica, sai trasmettere le emozioni. E poi hai un bel timbro, sei ben intonato.»
«Be', è anche merito di come hai suonato tu. Hai un vero talento, lasciatelo dire.» disse Gerard con le guance ancora rosate, poi abbassò il viso e gli lasciò un bacio sulla fronte, nello stesso esatto punto del bacio datogli allo studio, per convincerlo di valere qualcosa. Frank chiuse gli occhi, confortato dalla sua vicinanza, dal tocco delicato. Era l'unico che agiva con un minimo  di cautela nei suoi confronti, che lo trattava come una persona. «Devi andarci a quella scuola di musica, si capisce che è la cosa giusta per te.» le labbra di Gerard si muovevano contro la sua testa, una sua mano era poggiata sulla sua spalla e lo stringeva forte. «Falli tutti secchi, mi raccomando. Quando hai l'audizione?»
«Tra due settimane, più o meno.»
«Saremo tutti con te.» le mani di Gerard gli presero con delicatezza il viso e glielo alzarono appena verso l'alto. Le punte dei loro nasi si sfiorarono. «Ci sarò io, e ci sarà anche tuo padre. Ti ricordi cosa ha detto?»
«Che è orgoglioso di me.» Frank mandò giù il groppo in gola causato dall'aver nominato sua padre, niente di più del fantasma di un ricordo in quei giorni d'illusione. «Che mi supporta.»
«E lo farà, soprattutto se come mi hai detto tu ti ha spinto lui sulla strada della musica. Gli devi molto, e sei più che degno di ciò che hai ricevuto, okay? Te lo meriti tutto.» fece sfiorare le loro labbra, quel tanto per confortare Frank. Poi si staccò senza lasciargli il viso, ancora stretto delicatamente tra le sue dita. Frank poggiò una mano sulla sua, annuendo. «Mi credi?»
«Sì, sì scusami.»
«Non hai nulla di cui scusarti. Ho sbagliato a nominare tuo padre?»
«No, è che non ci ho pensato molto in questi giorni a dire la verità. Sono stato così bene con te che non ho pensato a nulla di negativo.» Frank gli sorrise di sincera gratitudine e si sporse per baciarlo, sentendo le sue braccia stringerlo con forza, a separarli solo la chitarra. Gli mise le mani tra i capelli ed approfondì il bacio aprendo le labbra contro le sue, per poi staccarsi e poggiare la fronte sulla sua. «Grazie, di tutto.»
«Devo considerarlo un bacio di ringraziamento?» chiese divertito Gerard.
«Potrebbe essere.»
«Abbi fiducia in noi che ti stiamo accanto. Non siamo qui per pugnalarti alle spalle.» Gerard lo scrutò un attimo, gli occhi resi più scuri dalla vicinanza. «E ci siamo per te. Sempre.»
Frank poggiò la chitarra contro il divano, poi tirò Gerard a sé e gli diede un terzo, lungo bacio. Lasciò che le sue mani gli scorressero tra i capelli, che lo strattonassero a sé e lo reclamasse. Si strinsero in un abbraccio. continuando a baciarsi fin quando Frank si staccò, senza fiato, e si perse un attimo nei suoi occhi, luminosi, che lo guardavano davvero. Per la prima volta, aveva fiducia incondizionata nei confronti di qualcuno. «Anche io ci sarò per te.»

Frank giocherellò con la tendina della finestra, indeciso se chiuderla o meno. Lanciò un'occhiata di fuori, alla notte stranamente calma e silenziosa dopo giornate di neve battente. Eppure quella sera il cielo era terso, di un blu inchiostro che risplendeva della luce della luna, una perla tonda che illuminava la neve ancora fresca ammassata ai cigli della strada. Era ora di andare a dormire, Frank ne era consapevole, ma c'era qualcosa che lo fermava. La stanza di Mikey sapeva di solitudine, di addio. Frank abbandonò definitivamente la tenda e si poggiò contro il muro a braccia conserte, il letto sfatto davanti a sé illuminato solo dalla luce della luna. La stanza era inghiottita dal buio, rischiarata solo da una lama di luce proveniente da sotto la porta. Aveva passato gran parte della serata con Gerard, eppure non gli aveva ancora dato la buonanotte. Quella sera era troppo tranquilla, l'irrequietezza di Frank stonava con la calma da poco riacquista, era troppo rumorosa. Quasi senza accorgersene andò alla porta e la aprì, avviandosi verso la camera di Gerard, animato da una forza mai provato prima che gli imponeva di farlo. Davanti alla superficie in legno, non esitò un secondo prima di bussare due volte ed aprire la porta.
«Ehi Frank, tutto apposto?» chiese Gerard voltandosi, un sorriso allegro stampato in volto. Era girato, si stava infilando una felpa blu ed aveva un braccio nero ed uno fuori. Frank osservò il suo torace pallido venir lentamente ricoperto dal lembo dell'indumento. «Stavo proprio per passare da te.»
«La bufera è finita.» disse, facendo un passo verso di lui su un tappeto decorato che non aveva notato prima. Era dall'altro lato del letto di Gerard, a separarli solo un angolo di piumone e due candele accese sul comodino. Gerard si girò verso la finestra.
«Sì, a quanto pare.» si voltò di nuovo verso di lui, e stavolta nei suoi occhi Frank lesse la stessa emozione che lo aveva spinto ad andare da lui prima, quella sera. Non nevicava più. Entrambi sapevano cosa significava, era un conto alla rovescia alla fine di quel sogno. Entrambi lo sapevano, ma nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo. Frank strinse i denti, andò verso di lui e lo tirò con forza a sé, baciandolo con una foga mai avuta prima, animata dalla forza distruttiva che aveva la quiete invernale. Gerard annaspò e rispose con altrettanta foga, lo prese per fianchi e lo costrinse a fare un paio di passi di lato, facendolo ricadere sul piumone del letto. Lui si trascinò all'indietro e si sdraiò sul soffice piumone, poggiando la testa sui cuscini. Gerard si adagiò sopra di lui e lo baciò di nuovo, le loro bocche si aprirono e Frank permise alla lingua di Gerard di scivolare tra le sue labbra. Gli tirò i capelli, intrecciò le gambe alle sue e approfondì il bacio, una passione incontrollata che gli cresceva nel basso ventre e gli faceva bruciare la pelle. La bocca di Gerard si staccò, ansimante, e scivolò lungo la linea del suo zigomo, gli lasciò tanti piccoli baci lungo la mandibola e si fermò sul suo collo, insistendo un un punto appena sotto l'orecchio. Frank chiuse gli occhi, estasiato dalla sensazione della pelle contro le sue labbra e della vicinanza del suo corpo, così reale e tangibile, avvolto in un vecchio pigiama blu come gli incubi che non più gli facevano paura. Frank fece scivolare le mani sotto il lembo della felpa, accarezzò con tocco inesperto quella porzione di pelle scoperta che ardeva sotto le sue dita, da sotto il tessuto salì lungo la sua schiena, aprì le mani contro il suo torace e le lasciò libere di scorrere, di esplorare quel terreno nuovo, che lo attirava tanto. Quando Gerard staccò le labbra dal suo collo Frank svincolò dalla sua stretta ed invertì le posizioni, trovandosi a cavalcioni su di lui. Strinse le gambe contro i suoi fianchi e si abbassò per baciarlo, poggiando le mani sul suo torace e facendo scontrare di nuovo le loro labbra. Le mani di Gerard si fecero strada lungo le sue gambe, stuzzicandogli la pelle sensibile appena sotto l'elastico dei pantaloni. Frank si sporse più in avanti con tutto il corpo, continuando a baciarlo fin quando non si staccò alla ricerca d'aria. Ancora ansimando si impresse a fuoco nella mente l'immagine di Gerard sotto di lui, il viso sereno illuminato appena dalla fioca fiamma delle candele, che faceva risplendere di bagliori dorati i suoi occhi semichiusi, neri e nocciola. La morbida curva delle labbra, rosee ed invitanti, i capelli scuri sparpagliati in disordine sul cuscino come un'aureola d'inchiostro e la linea delle clavicole appena visibile dall'apertura del collo della felpa. La sensazione viva dei loro corpi pressati l'uno contro l'altro. E lo guardava, ammiccava e lo ammirava, sorrideva appena mentre con le mani carezzava la pelle scottante di Frank sotto i vestiti. Mai lo ricordò così bello, vulnerabile, rilassato, in attesa solo dei suoi baci. E questo gioco lo continuarono a lungo quella sera, stretti uno contro l'altro a recuperare ogni istante del tempo che troppo velocemente scivolava via, entrambi coinvolti in qualcosa più grandi di loro, che bastava per entrambi. «Resta con me, questa notte.» aveva sussurrato Gerard ad un certo punto, direttamente nel suo orecchio, mentre Frank non poteva fare a meno di baciare la pelle candida e tirata del suo collo, di sentire la linea dura delle clavicole contro le labbra. E si addormentarono nel buio, stretti l'uno tra le braccia dell'altro, assopiti dall'intensità del loro amore. Perché questo era, ancora acerbo, ma non poteva esser altro che amore. Quella sera, con la testa poggiata sul suo petto che si alzava ed abbassava come il moto calmante delle maree, le gambe attorcigliate con le sue ed i baci che sembravano come le candele appena spente sul comodini, piccoli marchi scottanti, Frank trovò la pace.

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Quando sua madre veniva a prenderlo a scuola non era mai un buon segno. Mai. Quando quel pomeriggio, parcheggiata dall'altro lato della strada, aveva visto la macchina di sua madre, i suoi piedi si erano fermati sui gradoni di cemento. Possibile che non potesse neanche passare un rientro a scuola sereno? Non che il rientro fosse tanto bello, soprattutto non dopo quattro giorni di paradiso, ma almeno una settimana per riprendersi ai ritmi abituali?
Che poi aveva anche passato una giornata rilassante. Aveva preso un bel voto a storia, Ray aveva scoperto una nuova regola matematica sulle successioni ed aveva rallegrato il loro quartetto di trasandati. Jamia dal canto suo sembrava essersi dimenticata della sua fuga all'ultima uscita – da Gerard le aveva inviato un messaggio, giusto per non sembrare maleducato – e anzi, lo aveva accolto con un sorriso alla pausa pranzo e Mikey... Be', Mikey di suo solito era già in panico per la trigonometria, ma sembrava abbastanza sereno pure lui. Non si era neanche accorto che la felpa che indossava apparteneva al suo caro ed amato fratellone. Prima di tornarsene a casa Frank gliela aveva rubata senza dire nulla e praticamente ci viveva. Per fortuna che non se n'era reso conto, non si sentiva ancora pronto per annunciargli di essere il ragazzo di Gerard. Chissà, lo shock sarebbe potuto essere tanto grande datargli passare l'ansia per la matematica, ma era meglio non provare. Insomma, sembrava che la tregua data dalla bufera di neve avesse consentito a tutti di distendersi un attimo per poi riprendere la vita normale con più serenità e voglia di vivere. Per questo si era accigliato alla vista della macchina di sua madre. Lei non gli aveva detto nulla, gli aveva fatto solamente un sorriso di circostanza, qualche vaga domanda sulla sua giornata per poi troncare il discorso con un netto a casa parliamo di una cosa. Non aveva neanche risposto alle sue domande seguenti, il che lo aveva innervosito solamente. Che avesse scoperto della sua relazione con Gerard? Possibile, ma poco fattibile. Non aveva preso brutti voti a scuola, aveva anche rimesso apposto la cucina quella mattina. I dubbi iniziarono a venirgli quando, arrivati nel vialetto di casa loro, Frank vide una macchina parcheggiata. Sua madre non aveva cambiato espressione, il che voleva dire che era normale. Forse avevano degli ospiti, ma ciò non giustificava l'espressione tesa della donna. Quando la macchina fu ferma aspettò sua madre per scendere, poi la seguì in silenzio fino alla porta di casa, lanciando un'occhiata al veicolo nero e dall'aspetto moderno parcheggiata là accanto, come la scura presenza di un corvo. Frank represse un brivido ed entrò in casa, fermandosi una seconda volta all'ingresso del salotto.
Due uomini seduti sul divano del salotto, entrambi in divisa militare e con la mascella squadrata, si differenziavano solo per il colore dei capelli. L'uomo più massiccio, con un accenno di barba castana si voltò al loro ingresso. Sentì il suo sguardo addosso per qualche secondo, uno sguardo freddo e di compatimento. «Eccoci tornati.» disse sua madre, poggiando la borsa sul tavolo.
«Prego, sedetevi pure.» intervenne il secondo uomo, quello con la rasatura bionda, indicando loro le poltrone adiacenti. Era strano che uno sconosciuto gli imponesse come agire in casa sua, ma non replicò. Si accomodò sulla poltrona, a disagio, sentendosi improvvisamente uno scricciolo davanti ai due omoni ed al duro silenzio di sua madre. «Signora Iero...»
«Pricolo può andare bene, grazie.» lo interruppe lei. Frank non capiva, c'era qualcosa che stonava con tutto. Cosa ci facevano quei due lì? Non c'entravano nulla. Quando sentì la mano di sua madre scivolare vicino alla sua, la afferrò senza esitazione.
«Bene, Signora Pricolo.» continuò l'altro uomo, congiungendo le mani. «Innanzitutto ci scusiamo per essere arrivati a casa sua senza preavviso, ma in situazioni del genere si deve rispettare il protocollo formale.»
«Sì, certo, capisco.» disse in fretta sua madre. Frank si voltò a guardarla velocemente, cercando una spiegazione in tutto ciò, nella freddezza della situazione, nell'espressione seria decidue uomini di fronte a lui. Perché nessuno gli rivolgeva l'attenzione?
«Cosa sta succedendo?» chiese, non potendosi più trattenere. Cercò una risposta nei due uomini, voltando lo sguardo serio verso di loro. C'era un dubbio, troppo crudele per venire alla luce e mostrarsi ai suoi occhi. Di nuovo, silenzio assoluto. «Qualcuno può cortesemente spiegarmi cosa succede?»
«Frank...» gemette sua madre, questa volta la sua voce alterata da una nota di puro dolore.
«Frank, posso chiamarti Frank?» domandò il tizio biondo, puntando lo sguardo severo su di lui. Inebetito, annuì. «Siamo qui per dirvi una cosa. Abbastanza importante.»
«Riguarda mio padre, vero?» tentò lui, pregando con tutto se stesso che non fosse così. Eppure, dopo quella domanda, nessuno confutò la sua ipotesi, nessuno gli disse di no. Il silenzio parlò per tutti. Frank sentì qualcosa rompersi in lui, un profondo scricchiolio gli diede una fitta al cuore. L'ossigeno pareva essere stato risucchiato fuori dalla stanza. Se pochi giorni prima era in un sogno, ora la realtà stava diventando un incubo.
«Ci è stato un brutto incidente in un'esercitazione in mare aperto.» proseguì cautamente l'altro uomo. «A bordo c'era anche tuo padre. Ci dispiace Frank, l'imbarcazione non si riesce più a localizzare.»
Frank deglutì, stringendo con forza la mano di sua madre, ammutolita da un sincero dolore. Chiuse gli occhi, concedendosi un attimo per prendere un respiro, mentre dentro di lui tutto collassava. «E... E quindi?»
«Al momento, Anthony Iero è dato per disperso.»


















A/n
Se siete arrivati fin qui vi meritate un premio alla pazienza, dico davvero. Che poi da quanto me lo sogno sto capitolo non lo sapete neanche, che rollercoaster di feels #laLuxoriel'inglese
Per chi se lo stesse chiedendo no, niente smut, ma di fluff direi che ce n'è a volontà per quanto mi riguarda. Oh sì, e anche di tragedia. Da qui in poi le cose prenderanno una piega totalmente diversa, aspettate e vedrete.

Soo, credo di poter bollare ufficialmente la storia come "slow updates and long chapters", perché in confronto Omero stampa i biglietti del cinema qui.
Ma capitemi, uso la scrittura per distrarmi dalla mia vita depressa, lasciatemi almeno questa via di scampo. Spero di aver messo su qualcosa di decente, grazie ancora per aver letto questo capitolo💝 //hxpelessaromantic

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