My All. ||Stefano Lepri||

Por _spicci

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'Ti tratterà come un burattino, e non devi farlo, non sei costretto' 'Preferisco essere trattato come un bura... Más

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32.
Ringraziamenti
Copertina!
Nel frattempo...
Our All. ||Stefano Lepri||

31.

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Por _spicci

'Dove mi stai portando?' Chiesi, mentre il suo sguardo era totalmente rivolto alla strada.
Continuava a sorridere, senza darmi una risposta concreta. Non che mi dispiacesse vederlo sorridere, anzi, ma non era snervante il fatto che non volesse dirmi dove mi aveva trascinata.
'Tra poco lo scoprirai' ripeté per la millesima volta.
Tentai di capire quale strada stesse percorrendo, ma mi era nuova: tutto era sempre nuovo, con lui.

Erano passati un paio di giorni da quello che era successo, all'interno di quel ristorante.
Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere; in realtà, non mi aspettavo nemmeno di ricevere un fidanzato con una lunga storia da portare avanti, ma quella era un'altra questione.
Quando tornammo a casa e passammo la serata lì, guardando un film ed ordinando una pizza, pensai a cosa avrei fatto, se non avessi conosciuto Stefano in quella precisa festività: probabilmente, nulla che mi avrebbe permesso di ricordare quella data, ma con lui avevo un motivo per farlo.
Si avvicinava la fine dell'anno, ma c'era qualcosa in me che non andava: sentivo come un brutto presentimento, come se, da un momento all'altro, arrivasse qualcosa di orribile, che rovinerebbe i momenti magici di me e del moro che avevo accanto. Ma forse era solo un'illusione.
Dovevo veramente smetterla di pensare sempre a fini negativi: era il momento di godersi il presente, nonostante il passato e rimanendo incerti sul proprio futuro.
Ancora non sapevo se io e Stefano avremmo resistito per molto, ma sembrava proprio che la nostra fosse una relazione molto seria e non trovavo un motivo valido per lasciarlo andare: entrambi eravamo troppo egoisti per permetterlo veramente.
Durante lo scorrere delle notti, la maggior parte delle volte, quando dormivo sul suo petto, alzavo il viso per poterlo vedere: sembrava così rilassato, senza preoccupazioni, così sereno. Anche se manifestava l'amore che provava nei miei confronti, anche in quel momento, mentre sorrideva, guidando, notavo sempre che il suo pensiero era rivolto a Giuseppe e a quello che avrebbero voluto fargli, una volta per tutte.
Era impossibile non notarlo ma, mentre dormiva, con il suo braccio attorno a me e la mia testa sul suo petto, sembrava dimenticarsi della realtà e di trovarsi in un'altra: migliore, forse, o semplicemente diversa da quella che era costretto a vedere ogni giorno.
Cercavo di farlo sentire meglio, ed ogni tanto ci riuscivo, ma quel riferimento era inevitabile: anche se ci avessi provato all'infinito, non avrebbe smesso di pensare a tutto quello che lo circondava, oltre a me.
Il fatto di aver ferito Giuseppe alla gamba mi faceva stare un po' meglio, dato che avevo ferito colui che, oramai, ci voleva morti entrambi. Avrei potuto ucciderlo, ma non ero come lui: non ero una persona senza pietà, pronta a commettere reati per vendicarsi di coloro che non avevano fatto altro che trattarla male. Era vero che odiavo quelle due persone che mi avevano cresciuta, ma non avrei mai voluto uccidere quella donna, semplicemente perché non volevo essere come lei, o peggio.
La stessa cosa valeva per Angela: nonostante ciò che aveva fatto, non avrei mai voluto interrompere la sua vita così, con uno sparo, senza nemmeno sentire un urlo uscire dalla sua bocca. Mi sentivo sempre in colpa per quello che avevo fatto, ma non c'era altra scelta, in quel momento: o sarebbe morta lei, o io.

Sembrava che stesse guidando da un sacco di tempo, ma erano passati solo dieci minuti da quando eravamo usciti da casa per dirigerci chissà dove, almeno per me.
Per distrarmi dal fatto che ero sempre più curiosa di sapere dove mi stesse portando, osservai l'anello d'argento che indossavo al dito. La sua iniziale incisa sopra sembrava incisa anche in me.
Non pensavo che potesse commettere un simile gesto. Non lo ritenevo molto romantico, era vero, per questo era stato un gesto cosi inaspettato ma ben voluto: non avrei desiderato di meglio.
Quegli anelli ci legavano, ci appartenevano: testimoniavano quello che c'era tra noi e, forse, quello che ci sarebbe stato per sempre.
Quei due piccoli oggetti d'argento sarebbero stati le uniche cose che avrebbero ricordato, per sempre, i nostri momenti di felicità, tristezza, rabbia: avrebbero ricordato noi, quello che eravamo stati; sarebbero stati la prova di una cosa troppo forte da dimenticare.
Anche se erano trascorsi pochi mesi, Stefano era diventato troppo importante per me in così poco tempo.
Ancora mi chiedevo come avessi fatto ad odiare quegli occhi verdi e quel sorriso rassicurante.
Sapevo soltanto che avevo lui, l'unica persona che mi rendeva felice in così poco tempo e con piccoli gesti, l'unico che mi capiva veramente, l'unico di cui mi potevo fidare: era unico in qualsiasi cosa; nel suo piccolo, era riuscito a creare una cosa enorme, una cosa che era riuscita a cambiare il mio punto di vista della realtà, rendendolo migliore.
Il fatto di seguirlo, nonostante non sapessi dove mi stesse conducendo, era segno di fiducia: mi fidavo ciecamente di lui, era una cosa normale in una coppia, ma per me fondamentale. Anche lui si fidava di me, ma non sapevo fino a che punto: per me, non si era mai dimenticato quella storia dei messaggi di Giuseppe. Chissà se fosse accaduto a lui: se Angela avesse cominciato a scrivergli quelle cose, mi sarei infuriata moltissimo, senza neanche più riconoscermi. Il suo comportamento era giusto nei miei confronti, ma pensavo che tutto fosse finito, distrutto, caduto, ma fortunatamente non era stato così: eravamo troppo deboli da soli, ma due forze insieme.

'Alice' mi richiamò, interrompendo i miei pensieri. 'Siamo arrivati' aggiunse.
Notai che la macchina era ferma in un parcheggio, ma non riuscivo ancora a capire lo stesso dove ci trovassimo.
Aprii la portiera, ma lui si sporse per richiuderla. Lo guardai confusa, anche se a quella distanza, tra i nostri volti, l'avrei voluto soltanto riempire di baci.
'Devi metterti questa' disse, prendendo da una tasca della sua giacca, una fascia nera.
Per quale motivo si era portato una benda dietro? Che cosa aveva intenzione di fare?
'Vuoi simulare un rapimento?' Chiesi, non tanto preoccupata, ma quasi sul punto di scoppiare a ridere.
Non poté fare a meno di ridere e non potevo chiedere di meglio.
'Sei già mia. Non lo sapevi?' Domandò, baciando le mie labbra rapidamente.
Non mi diede il tempo di continuare la conversazione, approfondendo quella stupenda affermazione, dato che mi bendò subito, legando la benda in un nodo.
'Lo hai detto solo per mettermi questa cosa' risposi, indicando la fascia nera che si trovava sui miei occhi.
Vedevo completamente nero ed ero sempre più curiosa di sapere cosa stava nascondendo.
Di certo, con una benda nera sopra agli occhi, non puoi vedere bianco.
'Mi offendo, così' disse ed immaginai che avesse messo il broncio.
'Sono bendata, perciò potrei anche darti accidentalmente uno schiaffo' continuai, cercando veramente di dargli uno schiaffo, ma sentii stringermi per il polso, interrompendo quel movimento.
'Potresti anche accidentalmente colpire qualche altra parte del mio corpo, credimi' disse, immaginando che stesse sorridendo maliziosamente.
Sbuffai, tentando di aprire la porta, ma anche quella volta venni interrotta dalla sua voce.
'Dove pensi di andare?' Domandò, continuando a tenere il mio polso nella sua calda mano, nonostante il freddo del clima.
'Vengo con te, no?' Risposi, voltandomi verso di lui.
Non potevo vederlo, perciò non potevo capire che espressioni facesse, ma provai lo stesso a capire, dal suo tono di voce, la sua espressione facciale.
'Tu devi restare qui' affermò e quasi scoppiai a ridere.
Non poteva obbligarmi a restare nella sua auto: ero venuta solo per rimanere chiusa nel veicolo, in modo da andare chissà dove e prendere chissà cosa?
Stava esagerando.
'In qualunque posto tu mi debba portare o qualunque cosa tu voglia farmi vedere, dovrò scendere da questa macchina e seguirti. Perché vuoi farmi restare qui?' Chiesi.
'Ti fidi di me?' Chiese nuovamente.
Non poteva fare questo genere di domande. Sapeva benissimo la risposta, non ne aveva dubbi oramai.
'Non farmi le domande trabocchetto' dissi, ridendo, accompagnata dalla sua calda risata. 'Comunque, si, mi fido ciecamente di te' risposi.
'Ecco, appunto' continuò lui e solo dopo rielaborai la mia frase, maledicendomi da sola per quello che avevo detto e per il contesto.
Era difficile che lui non se ne accorgesse; infatti, era sempre sull'attenti quando proferivo parola, segno che veramente stava attento ad ogni singola cosa che dicevo, in modo da non parlare a vanvera.

'Ci metterò poco, te lo prometto' disse, abbandonando la presa sul mio polso e lasciandomi un rapido bacio sulle labbra.
Non potei fare a meno di annuire; sentii lo sportello dell'auto aprirsi e chiudersi rapidamente, capendo che se ne fosse andato.
Poteva anche evitare di bendarmi: insomma, dovevo sempre rimanere in macchina, quindi non avrei visto dove fosse andato e cosa stesse facendo.
Non riuscivo proprio a capire il motivo di tutto ciò, ma forse per lui significava fiducia, tanto da bendarmi e lasciarmi in un'auto.
Mi sarei voluta togliere quella fascia nera, ma non avevo intenzione di deludere le sue aspettative: togliendomi quell'oggetto, probabilmente, avrei visto la sua espressione delusa, dato che aveva intenzione di fare in quel modo.
Perciò, perché non accontentarlo?

Il nero totale di quella fascia tentò di farmi riflettere su cosa stesse accadendo: forse, voleva soltanto comprare qualcosa da mangiare, ma non capivo il motivo per cui mi aveva lasciato in auto; magari, mi stava facendo un'altra sorpresa, ma era poco probabile. Me ne aveva già fatta una stupenda, meravigliosa, spettacolare: quegli anelli d'argento erano così belli e significativi che il mio non me lo sarei nemmeno tolto sotto la doccia.
Dopo quella giornata stressante al ristorante, mi spiegò alcune cose che non mi aveva ancora detto. Mi aveva raccontato di suo zio, l'unico che gli dava ascolto: quando scoprì il guaio in cui si era cacciato il nipote, voleva subito sbrigarsela lui. Stefano rimase stupito di questa cosa, anche perché quello zio non gli era mai stato accanto così tanto: non che non gliene importasse nulla del nipote, ma non lo vedeva mai e quest'ultimo pensava che non ci tenesse così tanto, ma si sbagliava. Capendo questa sua volontà, gli disse di stare alla larga da Giuseppe e dal suo gruppo: da una parte, perché era roba sua e doveva occuparsene lui stesso, dall'altra per non mettere nei guai suo zio, uno dei pochi a volerlo bene, anche se non sembrava così, nel ristorante. Gli chiesi anche di ciò e Stefano rispose che era una cosa normale: aveva a che fare con criminali e guai ogni giorno, non aveva tempo di riconoscere chi fossero ed era stato un miracolo il fatto che lo avesse riconosciuto. Era da tanto che non lo vedeva, ma suo zio aveva deciso di mantenere la parola data, ad una condizione: se avesse avuto bisogno di aiuto, non avrebbe dovuto esitare a chiamare l'uomo: sarebbe corso da lui, qualsiasi cosa stesse facendo e Stefano era veramente grato di ciò. Sentivo quanto ci tenesse a quell'uomo, nonostante non gli fosse stato accanto durante la sua crescita: aveva avuto altre persone che non meritavano di crescerlo.
Mi aveva spiegato anche come era riuscito a riavere le armi. Non riuscì a recuperarle tutte subito: una parte le recuperò mentre ero in coma, le altre quando mi trovavo da Giuseppe. In entrambi i casi, aveva quasi rischiato di essere scoperto ma, grazie a Matteo, riuscì a scoprire la stanza dove erano nascoste e lui cercò di tenere gli altri lontani da essa. Fortunatamente, era riuscito a recuperarle tutte, ma non le aveva ancora sistemate: quello lo facemmo insieme. Era per questo che ero stupita alla vista di quell'arma nelle sue mani: non le avevo viste in quella casa. Certo, avevo notato un sacco pieno di qualcosa, ma non pensavo che al suo interno contenesse tutte le armi di Stefano.
La cosa strana era che non avevo sentito parlare di un rapimento, da parte degli altri, a pranzo o a cena: forse perché non prestavo molta attenzione a quello che dicevano, oppure non ne parlavano in mia presenza, sapendo che reazione avrei potuto avere: in realtà, non sapevo nemmeno io che reazione avrei avuto. Probabilmente avrei chiesto sue notizie, facendo finta di essere disinteressata, ma non credevo che sarebbe servito: avrebbero capito lo stesso che mi interessava di lui.
Giuseppe, oramai, aveva capito quanto stessi male, dato che non consideravo nessuno non solo perché non volevo farlo, ma anche perché il mio pensiero era sempre rivolto a Stefano.
La cosa che non mi sarei mai aspettata da Giuseppe era che dimenticasse quel bacio che mi aveva dato: insomma, non era una cosa che avevo voluto, però pensavo che per lui avesse significato qualcosa, invece era soltanto per infastidire la persona che amavo, tanto da farsi prendere a pugni.
A volte, capitava di chiedermi: cosa sarebbe accaduto se avessi scelto Giuseppe? Nel senso, cosa sarebbe accaduto se fossi stata dalla sua parte? Sarei stata così bene come stavo con Stefano, o peggio?
Il mio amore per Stefano era incondizionato, certo, ma chissà cosa sarebbe accaduto se la cosa fosse andata diversamente. Nonostante odiassi Stefano, mi ero messa dalla sua parte per poter difendere Salvatore, nonostante quest'ultimo, agli inizi, non se lo meritasse affatto: chissà se il nostro rapporto di fratelli sarebbe continuato a non esistere oppure si sarebbe sviluppato al meglio, e chissà se sarebbe ancora vivo, se mi fossi unita a Giuseppe.
Chissà se sarebbe stato tutto più semplice o più complicato, chissà cosa avremmo combinato, chissà se sarei diventata come lui. Ma la vita, la mia vita, aveva bisogno di certezze e l'unica era Stefano, quel ragazzo che avevo odiato e che era riuscito a conquistarmi.

'Eccomi' disse il moro, chiudendo la portiera dell'auto.
Non sapevo quanto fosse passato, ma avrei dovuto veramente smettere di pensare a colui che ci voleva morti. In fondo, era solo questo quello che voleva: eliminarci.
Rivolsi il viso davanti a lui, sorridendo leggermente.
'Dammi una mano' disse e ne allungai una.
Sentii poggiare qualcosa su di essa, ma non capivo cosa fosse, dato che aveva deciso di tenermi ancora la fascia sugli occhi.
'Cerca di capire cosa è' disse.
Beh, grazie.
Era qualcosa di rettangolare, potevo sentirlo. Inoltre, capii che era un pezzo di carta, ma non riuscivo a capire cosa se ci fosse qualcosa scritto sopra. Tentai di aiutarmi anche con l'altra mano, ma non aiutava affatto.
Mi chiedevo come le persone senza la vista potessero decifrare cose del genere: era così complicato.
Era liscio, perciò non era un qualsiasi foglio.
Cosa poteva essere?
'Potresti almeno darmi un indizio?' Chiesi, ovvia, continuando a rigirarmi il foglietto tra le mani.
'Devo pensarci' disse e mi trattenni dallo strappare la fascia per poter vedere sia cosa avevo in mano, sia per dargli un pugno.
'Stefano, so che è un foglio, ma non riuscirò mai a capire cosa c'è scritto sopra!' Gli feci capire.
Sbuffò e pensai che avesse alzato gli occhi al cielo.
Davvero credeva che potessi farcela?
'Riguarda una cosa che ti ho chiesto a Natale' mi suggerì, anche se non era un grande aiuto.
'Il fidanzamento?' Domandai, andando per esclusione.
'No' rispose.
Riflettei meglio su tutto quello che ci eravamo detti in quella giornata. Era stata stupenda ed avevamo toccato vari argomenti, anche dopo essere stati al ristorante.
Una cosa mi era venuta in mente. Studiai ancora il foglio e poteva darsi che si trattava di quello: era simile alla composizione del biglietto per Oxford.
'È un biglietto? Un biglietto aereo?' Chiesi.
Non sentii ricevere risposta, anche se sentivo il suo respiro.
'Stefano, siamo in un aeroporto?' Domandai ancora.
Lo sentii sospirare, quasi come se fosse sorpreso del fatto che ero riuscita a capire di cosa si trattasse.
'Non so come tu abbia fatto, ma sei riuscita a capirlo anche ad occhi bendati' disse.
Sentii le sue mani dietro la testa e le sue dita sciogliere quel dannato nodo. Prese la benda e se la riportò in tasca, mentre il mio sguardo studiava attentamente quel biglietto.
Lui mi osservava, non capendo la mia espressione.
'Stai scherzando?!' Chiesi, non credendoci. 'Un biglietto per Tokyo?!' Urlai, ancora più incredula.
Lui sorrise e, dall'altra tasca della giacca, tirò fuori un altro biglietto.
'Due biglietti per Tokyo, per la precisione' disse.
Presi il suo viso fra le mie mani, per poi baciare le sue morbide labbra, segno del mio ringraziamento.
Aveva fatto una cosa troppo importante per me. Sapeva benissimo quanto ci tenessi ad andare in quel posto e non ci aveva pensato due volte prima di realizzarlo.
Mi misi a cavalcioni su di lui, in modo da stare entrambi più comodi ed evitare il male al collo.
'Tu sei matto' dissi, tra un bacio e l'altro.
'Perché?' Chiese lui, continuando a baciarmi.
Allontanai di poco il mio viso dal suo, in modo da poter avere una conversazione normale, anche se non volevo smettere di baciarlo.
'Avrai speso un sacco di soldi per questi biglietti' gli feci notare e lui scosse il capo.
'Primo: non deve interessarti, perché non mi devi alcun soldo; secondo: entrambi vogliamo andare a Tokyo, e voglio che tu sia con me' spiegò.
Sorrisi, osservando quegli occhi verdi di cui mi ero innamorata.
Quel ragazzo stava facendo tutto il possibile per rendermi felice; io, invece, non stavo facendo nulla per lui.
Mi morsi il labbro inferiore, sentendomi in colpa per non fare nulla per lui. Sapevo che, nella relazione, quella a non adattarsi al meglio sarei stata io.
'Alice, che succede?' Chiese, accarezzandomi una guancia con un pollice.
Mi sedetti di nuovo sul sedile affianco al suo, sospirando. Sentii la sua mano prendere la mia e la sua stretta mi dava sempre la stessa sensazione di conforto di cui mi ero innamorata.
Ero semplicemente innamorata di lui, nonostante le cose in più che facesse.
Incontrai nuovamente i suoi occhi, che stavano cercando di capire cosa avessi.
'Non inventare più la scusa del "non sto facendo nulla per te", perché non è vero' disse, accarezzando la mia mano. 'L'unica cosa che devi fare è rimanere con me per sempre. Non mi interessa dei soldi, di Giuseppe, di Angela; voglio soltanto che tu ci sia per me in qualsiasi circostanza, non ti chiedo altro. Però, ti prego, non dire che sei inutile e che non fai nulla per me, perché non è vero' disse.
Alcune volte, non capisco proprio come fai ad essere stupida. Cioè, andiamo, su. Io non c'entro niente.
Incredibile come riuscisse a risolvere i miei problemi; peccato che non ci riusciva per i suoi. Entrambi cercavamo di far stare al meglio l'altro, ma pensavo che scherzasse sempre sul fatto che lo facevo stare bene con la mia presenza: in quel momento, sembrava più sincero delle altre volte.
'Verrai con me a Tokyo?' Domandò, in dubbio.
Cercai di dimenticare il fatto che gli dovessi qualcosa di concreto: anche io non avevo bisogno di qualcosa per amarlo, volevo soltanto che stesse con me, che non mi lasciasse più, che mi tenesse stretta a se.
Quella domanda era troppo scontata e tirai fuori la gioia iniziale.
'Certo che verrò con te a Tokyo! Avevi dei dubbi?' Sorrisi, avvicinandomi al suo volto e riprendendo a baciare le sue labbra.
Volevo solo perdermi in loro e in lui, l'unica persona di cui avevo bisogno per poter essere felice. Cercavo sempre di rendere le cose complicate, specialmente con quelle belle. Non sapevo perché lo facevo, forse perché ritenevo la vita troppo complicata per essere semplice, ma dovevo smetterla. Stefano rendeva tutto migliore, tutto sotto un altro punto di vista e ci riusciva perfettamente.

Mi infilai la sua felpa, dopo essermi infilata i suoi pantaloncini, sotto il suo sguardo attento. Nonostante mi sentissi tremendamente in imbarazzo, mi aveva già vista nuda, perciò era inutile andare sempre in bagno per potermi cambiare, o farci andare lui per non farmi vedere in intimo. Ma, quella sera, era riuscito a convincermi che non c'era nulla di male di vedermi, mentre mi cambiavo.
'Contento?' Gli dissi, voltandomi verso di lui.
Si trovava a gambe incrociate, con la testa appoggiata sulla mano e il gomito sulla gamba. Sorrise soddisfatto, togliendo la testa dalla mano ed annuendo.
'Alla fine, ho vinto io' continuò, sempre più soddisfatto.
Non solo mi aveva convinta con belle parole, ma anche fatto impazzire: diceva che non sarei mai riuscita a spogliarmi davanti a lui, non ne avrei avuto mai il coraggio e non avevo intenzione di dargli ragione sempre su tutto.
'Per quale motivo avresti vinto tu? Mi sono spogliata, mentre tu dicevi che non lo avrei fatto' sorrisi, incrociando le braccia al petto.
La felpa emanava un profumo così dolce: il suo profumo.
'Ho vinto perché, dicendo che non avevi coraggio e cazzate varie, l'hai fatto lo stesso' disse e solo in quel momento capii quello che voleva fare.
'Stai dicendo che mi hai provocato, sapendo che non avrei esitato a dimostrarti il torto che avevi?' Riflettei.
Era così: mi aveva provocata, sapendo che lo avrei fatto comunque, dato che diceva cose che non erano vere.
Annuì e andai verso di lui, sedendomi sulle sue gambe incrociate e trattenendomi, ancora una volta, dal prenderlo a schiaffi.
'Allora, perché mi hai convinta a fare ciò? Che ci hai guadagnato?' Chiesi.
Poggiò la mano sulla mia schiena e mi fece sdraiare sul lenzuolo, mentre lui si mise sopra di me.
'Ho visto il tuo corpo, ancora una volta, quasi nudo: ci ho guadagnato tantissimo' disse, per poi avventarsi sulle mie labbra.
Gli tirai un piccolo schiaffo sul petto, ma non tentai di allontanare le sue labbra dalle mie: me ne sarei subito pentita.
Si reggeva sui gomiti, accarezzandomi i capelli mentre giocava con le mie labbra. Allontanò di poco i nostri volti, interrompendo quel bacio.
Brividi scesero lungo tutto il mio corpo, quando mi persi nei suoi occhi verdi.
'Che c'è?' Domandai, dopo qualche secondo.
I nostri sguardi avevano più significato delle nostre parole. L'avrei studiato ed osservato per tutto il tempo, ma proprio non riuscivo a sopportare quando, tra di noi, si formava il silenzio.
'Ti ho mai detto che sei troppo bella?' Disse, più come un'affermazione che come una domanda.
Lo spinsi in su, facendogli capire di spostarsi e si sedette accanto a me, continuando a guardarmi, aspettando una risposta.
'E ti ho mai detto che sei un lecchino?' Domandai, infilandomi sotto la coperta, voltandogli le spalle.
A volte, dimenticavo che quel letto era piccolo, perciò lui fece lo stesso gesto, stringendomi da dietro.
'Sono un lecchino perché ti dico la verità?' Continuò, sussurrando al mio orecchio.
Non potei fare a meno di sorridere, ma non mi voltai verso di lui: non volevo dargli anche quella soddisfazione.
'Qua l'unica persona bella sei tu, e non ti azzardare ad affermare il contrario' dissi, stringendo la sua mano, che era intorno al mio addome.
Mi lasciò un bacio sul collo, provocandomi altri brividi, come se già non ce ne fossero abbastanza.
'Lo so, lo so' si vantò.
Gli diedi un piccolo schiaffo su quella mano, scuotendo il capo.

'Quindi, il volo è domani?' Chiesi, cambiando argomento.
Avevamo già preparato le cose da portare via, specialmente le nostre armi: potevano sempre essere utili, nel caso ci fossero dei criminali in giro per Tokyo.
'Esatto' rispose, baciando ripetutamente il mio collo. 'E dobbiamo anche svegliarci alle sei, dato che il volo è alle sei e quarantacinque' aggiunse, interrompendo quel movimento delle labbra che adoravo.
'Ancora non ci credo' gli confessai.
Immaginai che cosa potessimo fare lì: avremmo potuto girare per la città, per i ristoranti, i bar e tutto quello che la città poteva dare; ci saremmo abbuffati di sushi e saremmo andati a mangiarlo ogni sera; gli avrei comprato qualche manga da leggere, in modo che capisse quanto ci tenessi ad andare in quel posto magico.
Tokyo mi era sembrato un sogno irrealizzabile, ma avevo capito che nulla era impossibile se c'era Stefano al mio fianco, se faceva parte della mia vita, se semplicemente c'era per me.
Potevamo fare un sacco di cose in quella città, ma nulla avrebbe tolto il fatto che era tutto grazie a lui, soltanto e unicamente a lui.
'Non vedi l'ora che sia domani, eh?' Sorrise e mi voltai verso di lui.
'Certo che non vedo l'ora! Potrei farti diventare un amante dei manga, potremmo mangiare un sacco di sushi, potremmo..' mi zittì poggiando le sue labbra sulle mie.
'D'accordo, d'accordo' disse, sorridente, sulle mie labbra.
Alla fine, non ce l'avevo fatta: mi ero voltata verso di lui e non me ne pentivo; non mi pentivo mai del contatto tra le nostre labbra, mai.
Poggiai poi la testa sul suo petto, mentre allungò un braccio per poter spegnere la piccola lampada che illuminava la stanza.
'Mi sento così importante nel renderti felice' disse, nel buio più totale, mentre prese, tra le sue dita, una ciocca dei miei capelli.
'Tu sei la mia felicità, Stefano' affermai, accarezzandogli con le dita il petto.
Non potevo desiderare di meglio: stavo per partire, per due settimane, con l'unica persona che amavo, per andare in una città dove nessuno mi conosceva, dove avrei scoperto altro, dove sarei tornata bambina. Tutto questo era soltanto grazie a quel moro dagli occhi verdi che non faceva altro che rendermi felice, e anche io ero contenta di farlo stare bene con me.
Era tutto un sogno: un sogno che, finalmente, sarebbe diventato realtà.

ANGOLO AUTRICE:
Innanzitutto, grazie per i 19k (non manco mai, lol).
Ho bisogno di: rulli di tamburi, suspance e altro.
Devo dirvi una cosa che, a momenti, fa anche male a me dirlo: il prossimo capitolo sarà quello finale, per il momento. Sapete che ci sarà il sequel, e ci ho messo anima e corpo per scrivere questa storia al meglio, e spero di avervi soddisfatto, perché sono piuttosto fiera di quello che sono riuscita a tirare fuori. Non voglio vantarmi, sia chiaro, anzi, è la prima volta che mi sento orgogliosa di me stessa.
Non saranno solo 32 capitoli, ma 32 capitoli lunghi e pieni (anche di errori di italiano, quello sicuro).
Ah, e vi prego, non uccidetemi, sia per come si concluderà questo "libro", sia perché sarà l'ultimo capitolo.
Vi amo, persone!
Al prossimo ed ultimo capitolo!
(Ora guardiamo tutti Socialface).

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