21.

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Probabilmente era passata una settimana da quando mi trovavo in quella fantastica città, oppure di più, non avevo intenzione di contare il mio soggiorno, anche perché non sapevo quanto sarebbe durato.
Appena misi piede a Oxford, non ci volevo credere. Da piccola, ero una bambina colma di sogni e avrei voluto realizzarli tutti. I viaggi all'estero non erano proprio un mio desiderio, però erano molto intriganti.
Ascoltavo sempre mia sorella parlare di tutte le più grandi città: Parigi, Washington, Berlino, Mosca.. Le grandi capitali, insomma. Era completamente ossessionata da ciò che il mondo poteva dare, dalla natura a quello che aveva creato l'uomo, ed era riuscita a coinvolgermi.
Almeno, anni fa.
Fortunatamente, Nicole mi propose di soggiornare nella sua abitazione, anche se era proprio una villa. Poteva contenere molti ragazzi, che di sicuro ci avrebbero organizzato feste.
Mi fece conoscere anche il suo ragazzo, che mi aveva ricordato si chiamasse Sascha ed erano molto dolci, fin troppo. Si vedeva quanto lui ci tenesse a lei, e viceversa. Era vero che erano troppo sdolcinati, ma vedere mia sorella felice era davvero molto bello.
Ci furono cose che, però, l'avevano delusa molto. Anche se non voleva dirmelo, era successo lo stesso.
Quando mi venne a prendere all'aeroporto, non riuscii ad abbracciarla. La cosa era normale per lei, ma non sapeva cosa stavo provando e si sarebbe aspettata almeno un contatto da parte mia, dato che era da un paio d'anni che non la vedevo. Non le avevo detto il motivo per cui ero venuta li e, fortunatamente, non mi chiese nulla su Salvatore e sui nostri genitori.
Il ricordo era sempre impresso nella mia mente. Quella pelle fredda, pallida, quasi di vetro. Se sarebbe sopravvissuto, non avrei avuto tutti quei sensi di colpa, ma forse ce li avrei avuti lo stesso a causa del nostro rapporto.
Non avrei mai dovuto pensare alla salvezza di Stefano ma a quella di mio fratello, però ero troppo arrabbiata con lui per quello che aveva fatto precedentemente.
Dovevi farti una nuova vita.
Non avrei dovuto scegliere ogni singola azione in base al passato, ma era più forte di me.
Come si faceva a dimenticare tutto, ad andare avanti, a sorpassare tutto, se ti presentava qualsiasi cosa davanti ai tuoi occhi, dentro la tua mente, nell'anima?
Anche se ci avessi voluto provare, non ci sarei riuscita. Mi ripromettevo tante cose, ma nulla andava secondo le mie aspettative, andava sempre a finire in altro modo.
Stefano continuava ad inviarmi messaggi. Li leggevo soltanto, non rispondevo a nessuno di quelli. Non capivo se avesse lasciato quel gruppo, però aveva capito che non mi trovavo più in casa sua, anzi, lo aveva scoperto. L'istinto mi diceva di ritornare, di affrontare tutto e di non scappare come una codarda.
Più che una pausa, sembrava una vera e propria fuga dalla realtà. Vorremmo fuggire da tutte quelle cose brutte che ci circondano, dimenticarle in un angolo buio della nostra mente, per poi non tirarle più fuori. Ma, invece, non funzionava in quel modo.
La vita riserva cose infelici, cose da cui vorresti scappare per non affrontarle, ma si sa che un giorno verrà quel momento, in cui dovremmo affrontare i nostri problemi, le nostre paure più grandi.
Francamente, non sapevo cosa mi facesse più paura: se rivedere Stefano o affrontare tutti quelli del gruppo, compreso quell'orribile capo.
Uno poteva essere considerato un problema, l'altro il terrore, era quello il punto.
Un problema è una cosa che non riesci a risolvere e non sei convinta al cento per cento che abbia una soluzione, e sai che la soluzione non è affatto semplice; il terrore è qualcosa che hai paura di affrontare, che temi, vorresti soltanto non averlo davanti per poter constatare quanto dolore e paura possa dare.
Giuseppe e gli altri erano il mio problema, Stefano il terrore.
Non era proprio lui che lo raffigurava, ma era il rapporto che si era instaurato fra di noi.
Da una parte non volevo incontrarlo, ma avevo paura che non lo avrei mai più rivisto.
La cosa che mi faceva più male, sempre più forte al punto di esplodere, era il senso di colpa, e non solo per Salvatore, ma anche per il moro.
Lo avevo abbandonato, era più che chiaro ed era una delle promesse che gli avevo fatto. Mantenevo sempre la parola, perché le parole sono più importanti dei fatti, ma era tutto troppo complicato per ricordare delle lettere che echeggiavano nell'aria.
Forse mi mancava, oppure era la mia testa a cercare di farmelo capire. Se non ci pensassi così tanto, mi sarei goduta quella specie di vacanza, anche se poteva essere chiamata in tutti i modi tranne che in quello.
La scelta di Oxford, però, era stata presa quasi inutilmente: non sapevo l'inglese, data la mia poca voglia di studiare ma di scoprire. Qualche parola sapevo dirla, anche grazie all'aiuto di Nicole: ero a conoscenza delle basi della comunicazione, nient'altro.
Ogni volta che Sascha e Nicole erano all'università, andavo a farmi un giro per la città, un po' come facevo a Firenze quando ritornavo da scuola. Solo che non avevo una casa fissa ad accogliermi, non avevo una scuola da cui ero uscita prima, ma avevo sempre la mia solitudine che era rimasta la mia unica amica fedele.
Era strano che Nicole non mi avesse chiesto nulla riguardo a quello che mi era successo: rare volte ci sentivamo tramite videochiamate, oppure parlavamo a telefono, ma avevo constatato che eravamo cresciute, che eravamo adulte e tutti erano sempre così.
Gli adulti perdono l'amore, diventano deboli, dimenticano tutto quello che era accaduto nella loro vita, e l'essere adulta doveva essere piuttosto facile. Ma, anche essendo in quella fascia d'età, non mi era accaduta nulla di quelle cose che già non avessi subìto.
Forse, se io e Stefano ci fossimo conosciuti normalmente e non avessimo passato di tutto, ci saremmo ritrovati come Sascha e Nicole: felici, dolci, sempre l'uno accanto all'altra in ogni secondo. Invece, ci trovavamo a molti chilometri di distanza e non sapeva nemmeno dove mi trovassi. Sapeva di mia sorella, dato che mi venne in mente quella sera in cui lo trovai a casa, e riuscii anche a mandarlo fuori, litigando poi con Salvatore.
A quei tempi, ci odiavamo a vicenda. Se avessimo conservato ancora quell'odio, probabilmente non lo avrei amato.
Eppure era successo, e nonostante i rimpianti e le colpe, non mi pentivo di provare dei sentimenti per lui.
Il destino aveva deciso quello per noi: una storia complicata che soltanto in due si poteva affrontare. Una ragazza che non aveva nulla su cui contare, neanche sulle persone che avrebbero dovuto starle vicina; un ragazzo, pieno d'odio e rabbia, pronto a sfogarlo sugli altri. Semplici incontri, pieni solo di odio reciproco, fino ad innamorarsi incondizionatamente. Entrambi sembravano forti, ma erano deboli se l'altro non era con l'altra. Tutte e due legati soltanto dalla conoscenza di un ragazzo, parente della ragazza, e grande amico del ragazzo, ma era tutto miseramente fallito. Chissà se avrebbero avuto un futuro normale, chissà se si sarebbero rivisti, chissà se si sarebbero sempre amati, nonostante i loro sbagli.
Era quello che poteva descriverci al meglio. Nonostante la lontananza, la storia, le conseguenze, nulla poteva separarci: i nostri cuori sarebbero sempre stati in sintonia, le nostre menti in una sola, e il nostro carattere forte, che ci distingueva dagli altri, sarebbe rimasto quello e non li avremmo cambiati per nessuno.

My All. ||Stefano Lepri||Where stories live. Discover now