31.

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'Dove mi stai portando?' Chiesi, mentre il suo sguardo era totalmente rivolto alla strada.
Continuava a sorridere, senza darmi una risposta concreta. Non che mi dispiacesse vederlo sorridere, anzi, ma non era snervante il fatto che non volesse dirmi dove mi aveva trascinata.
'Tra poco lo scoprirai' ripeté per la millesima volta.
Tentai di capire quale strada stesse percorrendo, ma mi era nuova: tutto era sempre nuovo, con lui.

Erano passati un paio di giorni da quello che era successo, all'interno di quel ristorante.
Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere; in realtà, non mi aspettavo nemmeno di ricevere un fidanzato con una lunga storia da portare avanti, ma quella era un'altra questione.
Quando tornammo a casa e passammo la serata lì, guardando un film ed ordinando una pizza, pensai a cosa avrei fatto, se non avessi conosciuto Stefano in quella precisa festività: probabilmente, nulla che mi avrebbe permesso di ricordare quella data, ma con lui avevo un motivo per farlo.
Si avvicinava la fine dell'anno, ma c'era qualcosa in me che non andava: sentivo come un brutto presentimento, come se, da un momento all'altro, arrivasse qualcosa di orribile, che rovinerebbe i momenti magici di me e del moro che avevo accanto. Ma forse era solo un'illusione.
Dovevo veramente smetterla di pensare sempre a fini negativi: era il momento di godersi il presente, nonostante il passato e rimanendo incerti sul proprio futuro.
Ancora non sapevo se io e Stefano avremmo resistito per molto, ma sembrava proprio che la nostra fosse una relazione molto seria e non trovavo un motivo valido per lasciarlo andare: entrambi eravamo troppo egoisti per permetterlo veramente.
Durante lo scorrere delle notti, la maggior parte delle volte, quando dormivo sul suo petto, alzavo il viso per poterlo vedere: sembrava così rilassato, senza preoccupazioni, così sereno. Anche se manifestava l'amore che provava nei miei confronti, anche in quel momento, mentre sorrideva, guidando, notavo sempre che il suo pensiero era rivolto a Giuseppe e a quello che avrebbero voluto fargli, una volta per tutte.
Era impossibile non notarlo ma, mentre dormiva, con il suo braccio attorno a me e la mia testa sul suo petto, sembrava dimenticarsi della realtà e di trovarsi in un'altra: migliore, forse, o semplicemente diversa da quella che era costretto a vedere ogni giorno.
Cercavo di farlo sentire meglio, ed ogni tanto ci riuscivo, ma quel riferimento era inevitabile: anche se ci avessi provato all'infinito, non avrebbe smesso di pensare a tutto quello che lo circondava, oltre a me.
Il fatto di aver ferito Giuseppe alla gamba mi faceva stare un po' meglio, dato che avevo ferito colui che, oramai, ci voleva morti entrambi. Avrei potuto ucciderlo, ma non ero come lui: non ero una persona senza pietà, pronta a commettere reati per vendicarsi di coloro che non avevano fatto altro che trattarla male. Era vero che odiavo quelle due persone che mi avevano cresciuta, ma non avrei mai voluto uccidere quella donna, semplicemente perché non volevo essere come lei, o peggio.
La stessa cosa valeva per Angela: nonostante ciò che aveva fatto, non avrei mai voluto interrompere la sua vita così, con uno sparo, senza nemmeno sentire un urlo uscire dalla sua bocca. Mi sentivo sempre in colpa per quello che avevo fatto, ma non c'era altra scelta, in quel momento: o sarebbe morta lei, o io.

Sembrava che stesse guidando da un sacco di tempo, ma erano passati solo dieci minuti da quando eravamo usciti da casa per dirigerci chissà dove, almeno per me.
Per distrarmi dal fatto che ero sempre più curiosa di sapere dove mi stesse portando, osservai l'anello d'argento che indossavo al dito. La sua iniziale incisa sopra sembrava incisa anche in me.
Non pensavo che potesse commettere un simile gesto. Non lo ritenevo molto romantico, era vero, per questo era stato un gesto cosi inaspettato ma ben voluto: non avrei desiderato di meglio.
Quegli anelli ci legavano, ci appartenevano: testimoniavano quello che c'era tra noi e, forse, quello che ci sarebbe stato per sempre.
Quei due piccoli oggetti d'argento sarebbero stati le uniche cose che avrebbero ricordato, per sempre, i nostri momenti di felicità, tristezza, rabbia: avrebbero ricordato noi, quello che eravamo stati; sarebbero stati la prova di una cosa troppo forte da dimenticare.
Anche se erano trascorsi pochi mesi, Stefano era diventato troppo importante per me in così poco tempo.
Ancora mi chiedevo come avessi fatto ad odiare quegli occhi verdi e quel sorriso rassicurante.
Sapevo soltanto che avevo lui, l'unica persona che mi rendeva felice in così poco tempo e con piccoli gesti, l'unico che mi capiva veramente, l'unico di cui mi potevo fidare: era unico in qualsiasi cosa; nel suo piccolo, era riuscito a creare una cosa enorme, una cosa che era riuscita a cambiare il mio punto di vista della realtà, rendendolo migliore.
Il fatto di seguirlo, nonostante non sapessi dove mi stesse conducendo, era segno di fiducia: mi fidavo ciecamente di lui, era una cosa normale in una coppia, ma per me fondamentale. Anche lui si fidava di me, ma non sapevo fino a che punto: per me, non si era mai dimenticato quella storia dei messaggi di Giuseppe. Chissà se fosse accaduto a lui: se Angela avesse cominciato a scrivergli quelle cose, mi sarei infuriata moltissimo, senza neanche più riconoscermi. Il suo comportamento era giusto nei miei confronti, ma pensavo che tutto fosse finito, distrutto, caduto, ma fortunatamente non era stato così: eravamo troppo deboli da soli, ma due forze insieme.

My All. ||Stefano Lepri||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora