28.

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Non era male, dopotutto, stare lì.
Il gruppo stava sempre per i fatti suoi e non davano molta importanza alla mia presenza, tranne Matteo che, ogni volta che mi vedeva nella sala da pranzo, si agitava in continuazione. Lo si poteva notare quando cercava di parlare con gli altri: balbettava e a volte non ascoltava nemmeno quello di cui si parlava. Non che io lo facessi, per carità, ma era impossibile non ascoltarli.
Eravamo davvero in molti ed avevo pensato anche di andarmene, ma ci ripensai: avevo sempre un posto dove dormire e stare al caldo.
Inoltre, se avevo capito bene, si stava avvicinando Natale. Avevo perso il conto dei giorni e, con tutta quella neve e con i membri che cominciavano a parlare di alcuni progetti natalizi, si poteva dedurre l'avvicinamento di quel periodo di festa.
Non facevo mai grandi cose, quando ancora mi trovavo sotto lo stesso tetto dei miei genitori e di mio fratello: rimanevamo in città ed aspettavamo tutti i nostri parenti, anche se cominciarono a diminuire: i miei nonni materni mancavano uno da cinque anni mentre l'altra da due e i miei nonni paterni erano ancora vivi, ma non volevano avere a che fare con il figlio, semplicemente perché aveva commesso scelte sbagliate nella sua vita che ancora non ero riuscita a capire.
La nonna aveva tentato di dirmi cosa avesse fatto, ma mio padre era più furbo ed evitava di lasciarci da sole, il che mi faceva pensare che fosse una cosa piuttosto grave.
Giravo poco per la casa. Non volevo ricordarmi dove mi trovavo, ma era inevitabile. Rimanevo chiusa nella mia stanza a pensare, pensare e pensare; mi lavavo, mangiavo e tutto, ma pensare era la cosa che mi riusciva meglio.
Ancora non avevo avuto notizie di Stefano: continuava a nascondersi, forse, oppure stava progettando qualcosa.
Ma cosa?
Avrei voluto vederlo, però. Non ce la facevo più a restare nascosta così ed era passata solo una settimana da quando mi trovavo in quella abitazione.
Quasi quasi, avrei preferito rimanere tra i banchi di scuola: avrei continuato il mio sogno, anche se sarebbe stato complicato data la mia poca voglia di studiare. Non sarebbe importato nulla se non ci fossi riuscita, ma ci avrei tentato, ma avevo rinunciato troppo presto per via del moro.
Mi ero ritirata dall'università per Stefano, per aiutarlo, per stargli più accanto, ma era stato inutile. Avrei dovuto continuare, lasciarlo perdere ed andare avanti con il mio piccolo sogno: il problema era che era troppo piccolo per essere realizzato.
Avevo scelto Stefano per un motivo valido, ma ancora mi era ignoto: si, lo amavo ma, pensandoci meglio, non c'eravamo conosciuti per bene. Sapevamo qualcosa l'uno dell'altra, ma non tutto: ero sicura che non gli piacesse solo sparare e cavalcare cavalli, ma magari aveva qualche altro sogno nel cassetto che, purtroppo, riteneva irrealizzabile.
C'eravamo conosciuti stando insieme e, ora che sembrava che non mi amasse più, sembravamo dei perfetti sconosciuti.
Pensare a lui era inutile: non sarebbe tornato indietro con uno schiocco di dita, ma oramai era passato troppo tempo e, probabilmente, mi aveva già dimenticata.
Mi sarei dovuta arrendere, ma credevo ancora che ci fosse qualcosa: qualcosa continuava a resistere, a stare in piedi, ad avere delle fondamenta e non sapevo se fosse ciò che provavo per lui o quello che avevamo fatto insieme.
Non avevamo fatto le solite cose da fidanzatini: la maggior parte del tempo l'abbiamo passata una parte litigando, una parte cercando di salvarci.
C'era anche il viaggio ad Oxford. Forse, era stato proprio quello a farmi capire quanto ci tenesse a me: era venuto fino in Inghilterra per incontrarmi e non mi sarei mai dimenticata di quel gesto. Era stato, probabilmente, l'evento che ci aveva legato di più.
Avrei voluto passare altri di quei momenti insieme: magari avremmo fatto un viaggio da qualche altra parte del mondo che sarebbe piaciuta ad entrambi, avremmo continuato con questa storia, saremmo stati insieme.
Lui mi voleva fuori da questo guaio, ma non si sarebbe liberato di me facilmente: avrebbe sempre sentito parlare di me. In ogni caso, mi sarei fatta sentire, mi avrebbe sentita nominare per qualcosa che avevo fatto, ma non sapevo ancora per cosa.
Di sicuro, anche se avevo una grande chance, non avrei abbandonato quella storia: era ciò che voleva Stefano, ma non sarei stata ai suoi voleri. Non avrei combattuto per me, ma per lui senza che ne venisse a conoscenza: si doveva salvare, non poteva davvero pensare che potesse riuscire a risolvere tutti i suoi guai senza un aiuto. Inoltre, ero io che lo aiutavo, non qualcuno che non ci teneva a lui.
Nonostante mi avesse lasciato, nonostante mi avesse fatto soffrire, piangere in solitudine e tanto, sentire sola, continuavo ad amarlo come la prima volta.
Agli inizi, non mi ero innamorata di lui. Mi dicevo che era una delle persone più orribili che avessi mai conosciuto, un arrogante e presuntuoso che pensava di poter ottenere qualunque cosa, aspettando. Invece, era molto più simile a me di quanto mi aspettassi.
Entrambi avevamo vissuto momenti indimenticabili, negativi. Eravamo cresciuti in modo sbagliato, non come dei normali bambini, ma come oggetti da buttar via.
Nessuno dei due avrebbe voluto questo, ma a volte non riuscivo a capirlo.
In quel preciso momento, circondata dalle mura colorate della stanza, volevo soltanto che fosse lì con me, che mi baciasse, che mi stringesse al suo petto: volevo che mi desse ogni singolo tipo di affetto, in modo da sentirmi sempre protetta da lui.
Era così strano non vederlo: era come se qualcosa se ne fosse andato troppo in fretta, come un soffio di vento, lo stesso che lo aveva portato via da me la prima volta, quando avemmo la nostra prima discussione al parco, dove lui aveva ragione.
Forse non avevo fatto una scelta saggia: rifugiarsi dal nemico era l'ultima cosa che Stefano potesse pensare e, forse, non mi avrebbe mai trovata.
Dannazione a me, oh.

My All. ||Stefano Lepri||Where stories live. Discover now