23.

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Leggete l'angolo autrice, una volta finito di leggere il capitolo. È importante. Grazie se lo farete.

Quei tre giorni, purtroppo, durarono meno di quanto mi aspettassi. La maggior parte del tempo lo passavo con Stefano, anche se continuavo a stare nella casa di mia sorella e Sascha.
Mio cognato ce l'aveva un po' con me per non avergli riportato subito il motorino, però non era di vitale importanza. Fortunatamente, non gli era accaduto nulla, però non sapeva per quale motivo avevo ritardato di così tanto la consegna del mezzo, altrimenti sarebbe stato contento, ma avevo deciso di non parlargliene.
Non era fondamentale che tutti dovessero venire a sapere che avevo fatto l'amore per la prima volta.
Era un mio momento, faceva parte di me, non di altri.
Non potevo lasciare che tutti sapessero di cosa era accaduto. Non me ne vergognavo, ma semplicemente dovevano pensare a loro stessi, l'unica cosa abitudinaria che ogni essere umano faceva. E, anche se lo avessi detto a qualcuno, non sarebbe importato.
La cosa che mi rattristava più di tutte era il fatto che stavamo facendo i bagagli per notare alla nostra vera vita, quella avventurosa e che purtroppo faceva parte di noi.
Chissà se Firenze era cambiata in quel poco tempo in cui non ero stata lì, e chissà se Giuseppe e la sua banda avevano combinato qualcosa di molto più grave che punire Stefano per essere scappato, anche se era più che grave per me. Avevo deciso di non parlare di lui in quei giorni, volevo viverli a pieno e cercando un lato positivo nelle cose o, per meglio dire, nel nostro stare insieme.
Ed era tutto vero. Quando eravamo insieme, eravamo sereni, felici, spensierati, un po' come le coppiette che si vedono nei romanzi più sdolcinati. Non mancavano i nostri sguardi, l'amarsi senza sosta, stare insieme il più possibile e sfruttare quel tempo a nostro vantaggio, sapendo che non saremmo più riusciti a rivivere quegli attimi così tranquilli e senza problemi in giro.
Notavo un piccolo sorriso dei passanti, alla nostra vista, ma non capivo bene il motivo: forse perché parlavamo italiano, oppure perché sembravamo sereni.
Se solo sapessero ma, alla fine, vorrei che non lo sapessero lo stesso.
Preparare quei pochi vestiti che mi ero portata dietro, riponendoli nella valigia, era una cosa da pochi minuti, ma stavo cercando di prolungare il tempo.
Non volevo lasciare quella città, era un'altro rifugio dalla vera realtà.
Il fatto di non accettare la realtà avviene in base al modo con cui vieni cresciuta e, quando ti ritrovi all'età adulta, hai oramai acquisito un certo comportamento. Immaginarmi in un altro modo da quello che ero non mancava mai, però se non fossi così forse non avrei nemmeno avuto a che fare con Stefano. Alla fine, avrei passato probabilmente il resto della mia vita in quella casa in cui non mi volevano affatto, e forse Salvatore non sarebbe riuscito a sopravvivere lo stesso, anche se non mi fossi messa in mezzo.
Forse pensare a mio fratello non era il modo migliore per dire addio a quel posto. L'immagine era sempre lì nella mia mente che non se ne sarebbe mai andata, ma dovevo cercare di superare quella cosa. Non era possibile che ogni volta che pensavo o sentivo parlare di lui, mi si presentava il suo volto bianco, pronto a darmi la colpa di tutto quello che gli era accaduto.
Sembrava che fossi più sotto shock che paranoica, e non mi sentivo in quel modo, o almeno pensavo questo. Non avevo mai visto un morto e forse era normale ricordarsi sempre di quel momento, di quello che si stava guardando, di quello che non avrei dovuto osservare per poi crollare.
In quei giorni pensai che fosse meglio non chiedere nulla a Stefano riguardo a mio fratello, se aveva parlato con la dottoressa, o se semplicemente non aveva fatto nulla. Anche lui era afflitto da quella perdita, e poteva capire il mio dolore, anche se riusciva a capire qualsiasi cosa di me.
Non mi era ancora chiaro come avesse scoperto il posto preciso della città in cui mi trovavo, forse aveva chiesto a qualcuno, o semplicemente aveva chiamato Nicole per informarsi sulla via, oppure qualche altro modo che a me restava ignoto.
La cosa importante era che avevamo passato qualche giorno in tranquillità ed era l'unico lato positivo della nostra intera vita.
La serenità non era mai stato nel nostro stile di vita, però non era così male: non avere tanti pensieri per qualche istante, pensare a cosa si stava facendo in quel momento e solo a quello, cercare di mettere da parte tutto e dedicarsi soltanto al momento che si stava vivendo.
Per quanto potesse essere bello, non rispecchiava il nostro modo di vivere. Avevamo imparato a vivere nell'odio, nella rabbia, nella riflessione, anche se l'ultimo punto non era da sottovalutare. Ragionare sulle proprie azioni era molto importante per non fare la cosa o la scelta sbagliata, ma a noi era successo: io non gli avevo parlato subito di quei messaggi, e lui aveva deciso di unirsi a colui che lo voleva morto.
Nella vita si possono commettere sbagli, ma quanto possono durare? Un giorno? Una settimana? Un mese? Un'anno? Cinque anni? Una vita?
Stava a noi deciderlo, e avevamo deciso di non farlo durare il più a lungo possibile.
Ci si accorge subito dell'errore che si è fatto, più per il proprio io che per gli altri. Se fai uno sbaglio, di certo non sono gli altri che devono fartelo capire, ma devi essere tu a capirlo per primo. Avevo subito capito il mio sbaglio di non avergli raccontato dei messaggi prima che si arrabbiasse con me, e probabilmente anche lui aveva capito subito dopo aver preso quella scelta.
Non sapevo cosa dovevo ringraziare, esattamente. Forse Nicole, che mi aveva accolto in casa sua, anche se era molto chiaro il fatto che voleva stare da sola con il suo ragazzo, anche se non sapeva in realtà nulla su di lui, ma era normale.
Era accecata dall'amore, come ero io grazie al moro, soltanto grazie a lui.
Ringraziare Stefano era oramai un'abitudine. Lui mi aveva liberato dagli altri, mi aveva fatto iniziare una nuova vita che mi sarebbe piaciuta di più, mi aveva insegnato come vivere veramente.
Ma, molto probabilmente, l'unica persona che dovevo ringraziare a pieno era Salvatore. Non sapevo come funzionava nel mondo dei morti, ma forse loro c'entravano con quello che ci accadeva: in qualche modo, si potevano intromettere nel destino.
Quello era solo un pensiero, in realtà non ne avevo la certezza, ma perché non girare con la fantasia, a volte?
Il detto "la vita è troppo breve per piangere sul latte versato" era in parte vero. La vita andava vissuta passo dopo passo, con tanti ostacoli ma anche con tanti pregi.
Certe volte, mi era passato per la mente l'idea di suicidarmi, finirla con tutta quell'ingiustizia nei miei confronti, finirla con tutto, ma ripensando a quel detto ci avevo pensato molto.
Che senso aveva togliersi la vita per delle persone? Sarebbe soltanto una soddisfazione per loro, e che senso aveva renderli felici?
Meglio continuare a vivere male piuttosto che dare la soddisfazione di togliersi di mezzo per gli altri.
Pensare che io e Salvatore ci eravamo sempre odiati, lui non mi sopportava, mi prendeva in giro, mi riteneva inutile, e poi accadde tutto questo. Stefano era riuscito a legarci, ed era un'altra cosa di cui ringraziarlo. Non eravamo mai stati dei fratelli: vivevamo solo sotto lo stesso tetto, nient'altro.
E, se Salvatore fosse ancora vivo, cercherei di legarmici il più possibile, di esserci per entrambi, di avere un rapporto fraterno. Invece, quello stesso destino che forse gli spiriti potevano cambiare, aveva deciso di togliermelo, di rinunciare ad una vita classica.
Poteva essere un messaggio da parte di questo: ero diversa dagli altri, come Stefano, e non avremmo mai avuto una vita normale, nemmeno se ci avessimo provato in tutti i modi, ma avremmo condotto un altro tipo di vita, forse diversa da quella precedente.
Poteva aspettarci una vita migliore, piena di sacrifici e guai, ma cosa ci importava?
Eravamo insieme, saremmo sempre stati insieme. Quella volta eravamo più uniti che mai, e difficilmente ci saremmo separati.
Tutto stava ricominciando a prendere colore, tutto ricominciava a prendere un senso.
Eravamo pronti per tornare alla nostra vita quotidiana perché eravamo insieme, ed era quello che contava.
Insieme eravamo il tutto, da soli eravamo il nulla.

My All. ||Stefano Lepri||Where stories live. Discover now