22.

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Dovevamo incontrarci in uno dei bar della città, che Nicole mi aveva detto di essere uno dei posti più popolati.
Voleva fare le cose in grande, probabilmente, se aveva scelto un posto così affollato, oppure voleva solo che fossimo tra delle persone che non pensavano a nient'altro che stare per i propri conti.
Non sapevo come mi sarei dovuta comportare, quando l'avrei visto.
Avrei dovuto abbracciarlo, oppure lo avrei aspettato ad uno dei tavoli, dove avremmo cominciato a parlare?
D'altronde, era come se ci fossimo lasciati. Gli avevo detto che era finita, avevo rinunciato a tutto quello che eravamo.
Eppure, lo stavo aspettando dentro a quel posto, con gli innumerevoli inglesi che parlavano e avrei voluto capire quello che si stavano dicendo, se solo sapessi la loro lingua e non fossi così preoccupata.
Era passato qualche minuto da quando mi trovavo lì, ci saremmo dovuti incontrare poco dopo, ma non avevo capito molto bene dove si trovava il posto, però ci arrivai prima.
Chissà come lo avrei trovato. Non avevo ancora ben capito se aveva abbandonato quel gruppo, se aveva capito che Giuseppe ci avrebbe fatto del male ugualmente, specialmente grazie al fatto che ci aveva divisi. Sapeva che potevamo distruggerlo e cercò un modo per indebolirci, e ci era riuscito.
Avrei voluto scusarmi con il moro, però per cosa? Non ero stata io quella che aveva deciso di abbandonarlo, lo avevo fatto soltanto come conseguenza della sua scelta.
Però lo hai abbandonato lo stesso.
Mi ripetevo sempre in testa il fatto che non aver mantenuto la promessa. Almeno, qualcuno ci provò a starci affianco, come Salvatore, mentre invece con me no. Anche se Ludovica poteva essere considerata la mia migliore amica, non lo era mai stata. Certo, mi ascoltava, provava a capirmi, mi aveva convinto ad avere una migliore amica, ma non era così. Non avevo avuto una persona che ricopriva quel ruolo, Ludovica era solo una persona che mi aveva salvato dagli altri, ma non si era mai comportata come una persona a cui interessava così tanto di un'altra a tal punto di diventare migliori amiche.
Stefano, invece, non era solo la persona che amavo, ma l'unica che riusciva a capirmi, anche quando non voleva farlo. Lui mi rispecchiava, poteva quasi essere considerato me, solo in versione maschile.
Era strana la vita, e piuttosto buffa. Nonostante il nostro odio iniziale, eravamo finiti per amarci. Non avevo mai creduto di poter amare qualcuno, figuriamoci di odiare per poi amare. Credevo che l'amore fosse per le persone normali, per quelle che erano sempre felici e vivevano una vita calma e serena.
Per quanto potesse essere stupido, mi piaceva la mia vita, in un certo senso. Il desiderio di vivere una vita senza paranoie e senza preoccupazioni mi intrigava, avere una vita normale era intrigante, però lo ritenevo anche noioso. Insomma, fare sempre le solite cose, innamorarsi di qualcuno, sposarsi, per poi essere felici e contenti. Assomigliava all'amore delle favole e, forse, tutti avrebbero voluto un rapporto come quelli raccontati. Si sapeva che niente era come nelle favole, si parlava della vita reale, di quella che bisognava vivere un secondo alla volta, di quella dinamica e pieni di problemi di ogni genere, di quella che se cercavi di scappare, ti si piantava davanti, impedendoti la fuga.
La vita poteva essere perfetta, come poteva essere un disastro. La mia non riuscivo a spiegarla: la ritenevo perfetta per viverla a pieno, a causa anche di quella storia, ma la ritenevo anche un disastro per quello che avevo subìto.
Stefano era l'unica persona che poteva permettere di rifarmi una vita. Era l'unico che, nonostante tutto, era rimasto, come gli avevo detto quando ci catturarono. Non erano parole al vento, ma non connettevo più nulla.
Provai ad immaginarmi un altro modo con cui io e Stefano ci saremmo potuti incontrare.
Forse ci avrebbe fatti conoscere Salvatore, oppure in un bar, oppure come nei film. Ma ci incontrammo all'università, per poi scontrarsi con me, fino a chiedermi una sigaretta ed incontrarci nuovamente al fiume.
Anche se lo odiavo, dalla prima volta che incontrai i suoi occhi sapevo che non mi ci sarei più staccata. Stefano era speciale, noi eravamo speciali. Nel nostro piccolo, c'era tutto quello di grande che avevamo creato.
Provai ad immaginare come sarebbe proseguita la mia vita, se non mi fossi imbattuta in quello sguardo. Avrei continuato l'università, probabilmente mi sarei fatta bocciare, avrei continuato a frequentare Ludovica in quella farsa, Salvatore sarebbe ancora vivo, vivrei ancora in casa mia, non sarei venuta ad Oxford, non sarei entrata in quella storia, non mi guarderei alle spalle per vedere se qualcuno aveva intenzione di uccidermi, non mi sarei di nuovo imbattuta in Angela, non avrei conosciuto Giuseppe, Valente, Matteo e tutto il resto del gruppo, non avrei mai conosciuto Stefano.
Sarebbero successe le stesse cose monotone, e odiavo le cose che si ripetevano sempre allo stesso modo. Forse non ero pentita di tutto quello che era accaduto, era un chiaro esempio che stavo vivendo una vita diversa da quella a cui ero abituata. Quando intendevo ricominciare una nuova vita con Stefano, non sapevo cosa sarebbe accaduto: pensavo che saremmo stati sempre insieme, avremmo lottato per la salvezza nostra e di quella di Salvatore, sarebbe andato tutto per il verso giusto.
Ma la vita non è una fabbrica di desideri, come diceva un libro che avevo letto da mia sorella.
Eravamo troppo preoccupati della nostra salvezza per poter pensare a quella di mio fratello, e la cosa mi rendeva così egoista da quasi volermi uccidere, ma sapevo che Salvatore non lo avrebbe voluto. Lui, nonostante il suo fare da stronzo, mi aveva fatto capire che dovevo essere forte in qualsiasi momento, anche se avessi avuto bisogno di qualche aiuto. Mio fratello, dopotutto, era riuscito a farmi capire che potevo farcela da sola, in qualche modo. Lo avevano torturato e ferito perché mi aveva salvata, ci aveva salvati, ed era quello che voleva farmi capire forse.
Le persone che cercavano di aiutarci facevano una brutta fine, e non potevamo difenderle, perché venivamo prima noi di tutto. Preoccuparsi di altre persone sarebbe stato più un peso che un intralcio, perché non sapevamo se, alla fine, ne saremmo usciti vivi, figuriamoci gli altri.
Non c'entravo nulla, all'inizio, eppure sembrava che ci fossi sempre stata dentro fino al collo.
Come faceva Giuseppe a continuare ad andare avanti, nonostante sia passato molto tempo? Non era stanco di quella situazione?
Ma la domanda più importante era un'altra.
Ne saremmo usciti vivi? Avremmo vinto, oppure sarebbe stato tutto un completo fallimento?

My All. ||Stefano Lepri||Where stories live. Discover now