dear psychologist 【 frerard 】

By hxpelessaromantic

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« sai, succede molto spesso che il paziente si innamori del suo psicologo, è un meccanismo involontario. ma c... More

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By hxpelessaromantic

Ci aveva riflettuto sopra veramente tanto, forse anche troppo. Ci aveva riflettuto durante la lezione di storia del venerdì, mentre delle ordinate gocce di poggia rigavano la finestra e tamburellava pigramente col pollice sul tasto della penna. Ci aveva riflettuto sotto la doccia, coi vapori caldi che danzavano confusionari attorno a lui. Ci aveva riflettuto a colazione, rischiando di addormentarsi due volte con la faccia nella tazza del caffè. Ci aveva riflettuto tornando a casa da scuola, coi passi cauti sul cemento bagnato. Ci aveva riflettuto pure all'andata e durante la giornata, anche con Mikey e Jamia che chiacchieravano imperterriti accanto a lui e Ray che maneggiava forchette con aria da esperto. Ci aveva riflettuto ovunque ed in ogni occasione: in camera con la chitarra, sotto la pioggia, mentre si infilava una felpa, quando prendeva il latte dal frigo, studiando in biblioteca con Mikey, sul punto di addormentarsi, guardando un film con i nonni.
E alla fine era giunto ad una conclusione.
Lui Gerard proprio non riusciva a capirlo.
Insomma, okay che magari lui stesso potesse aver cominciato ad affidarsi un po' troppo a Gerard e di conseguenza stesse diventando un pensiero fisso, però pure lui gli si era presentato a tradimento sulla porta con il disegno in mano. Non che non fosse stata una sorpresa gradita, ma era servito solo ad aggiungere carne al fuoco. Le emozioni provate quella sera con la testa abbandonata contro la sua spalla erano state una lingua di fuoco di quel braciere acceso un acerbo pomeriggio autunnale. Si ricordava di quando da bambino colorava quegli album da disegno le cui pagine erano tutte tracciate a linee nere raffiguranti allegri paesaggi di montagna con strani soli sorridenti, e lui, piccolo bambino dalla fervida immaginazione, colorava i cieli di verde ed i prati di viola. Si sentiva così. Gerard stava colorando a caso qua e là con le matite su di lui, un po' di rosso sulle mucche e tracce di un pallido azzurro sui recinti. A volte qualche colore lo azzeccava, tipo le nuvole dai gonfi riflessi perlacei o le farfalle tutte variopinte, ma la maggior parte sembravano opera di un'artista pazzo. Con seri problemi di daltonismo. Eppure stava nei contorni, e ciò donava un'assurda normalità all'insieme.

Perfetto, se mi comincio a sentire come uno stupido album da colorare posso considerarmi totalmente arrivato.

Rabbrividendo si tirò su il polsino della giacca, confermando così il suo dubbio: era come al solito in ritardo. Accelerò il passo sul marciapiede e attraversò all'ultimo secondo un semaforo sul punto di tornare rosso. Il suo fiato formava nuvolette pallide nell'aria fredda, che gli riusciva a pungere la pelle anche attraverso il morbido giaccone blu e la sciarpa ben annodata attorno al collo. Ai suoi nonni aveva detto che stava andando da un suo amico. Forse non aveva neanche mentito con loro così tanto. Non lo sapeva. Era stanco di tutti quei dubbi a permeare ogni ragionamento nella sua testa, chiedendogli insistentemente una risposta e creando congetture che poi lo trascinavano prigioniero solo del suo battito cardiaco e della sua mente. Si strinse il pugno in tasca. Che poi avrebbe potuto far male non gli importava. Quel giorno avrebbe chiarito con lui. Si affrettò lungo la strada cercando di non guardare il cielo scuro che prometteva pioggia e in poco più di cinque minuti raggiunse finalmente lo studio di Gerard. Il cuore batteva velocemente per la corsa appena fatta, per cui prima di entrare si concesse un attimo per chiudere gli occhi e recuperare piano piano il fiato, in modo tale da mandare ossigeno ai pochi neuroni superstiti. Poggiò le mani sulle ginocchia per poi sfregarle tra di loro, cercando invano un po' di tepore. La porta era chiusa, per cui si ritrovò costretto con immenso imbarazzo a dover suonare il campanello. Ad aprirgli fu Donna.
«Vieni dentro Frank, fuori fa veramente freddo.» disse quasi sconcertata quando lo vide fermo sulla soglia. Lui le sorrise ed entrò nel salottino, sentendosi pungere le guance per il repentino cambio di temperatura. L'ambiente odorava come al solito di fiori d'arancio. «Gerard ancora non c'è, probabilmente è in ritardo per via del traffico. Posso offrirti qualcosa di caldo?» la cordialità nella voce della donna era palese, sembrava quasi si stesse sforzando di metterlo a suo agio. Frank rimase un po' amareggiato dal ritardo di Gerard, in fondo aveva chiamato a raccolta la sua volontà per chiarire con lui ed aveva paura che nel frattempo se ne sarebbe andata via. Questo non era comunque un valido motivo per essere maleducato con Donna, in fondo lei non c'entrava nulla.
«Non si preoccupi, non vorrei disturbare.» cercò di sviare l'invito, cominciando a slacciarsi la giacca visto che la stanza era calda, impressione incrementata dal colore accogliente delle pareti, lo stesso arancio che a volte gli fluiva assieme al sangue per donargli un po' di serenità.
«Innanzitutto non darmi del lei, e poi non disturbi affatto. Dimmi cosa vorresti ed intanto se vuoi accomodati pure nello studio, ti porto io qualcosa.»
«Grazie, se possibile allora posso avere un caffè?» Donna annuì e si avviò verso il piccolo corridoio trasversale senza aggiungere altro, mentre Frank si diresse verso lo studio di Gerard ed aprì cautamente la porta. Le pareti erano ancora di quel bianco latteo su cui erano disseminati vari quadri, il che fece tornare in mente a Frank il carboncino regalatogli al compleanno. Amava guardarlo e vedere come era stato colto il suo profilo sfuggente all'ombra del tramonto con solo il puro contrasto tra il nero pastoso del carboncino e la carta. Non lo aveva appeso da nessuna parte però. Preferiva tenerlo nel cassetto del comodino, a portata di mano per ogni volta in cui avrebbe voluto un pezzetto di Gerard accanto a lui. Si richiuse la porta alle spalle e si fece scivolare la giacca di dosso, per poi metterla sullo schienale della poltroncina assieme alla sciarpa. Non aveva mai auto l'occasione di vedere quell'ambiente da solo, per cui colse l'occasione di guardarsi intorno, di camminare sulla moquette grigia che ricopriva il pavimento senza nessuno a guardarlo. Si diresse verso le ampie finestre dall'altra parte della stanza e ci poggiò una mano sopra. Attraverso la condensa che si stava formando tra le dita intravide uno scorcio di un cortile interno e qualche porta, oltre ad un via letto d'accesso. Probabilmente la finestra era orientata a sud, perché nonostante il cielo fosse pressoché del tutto coperto, alcuni deboli raggi filtravano attraverso il manto di nuvole e colpivano i fili d'erba del fazzoletto di terra, trasformando il verde intenso in uno smeraldo abbagliante. Donna gli portò praticamente subito un bicchiere di plastica con dentro il caffè e lui la ringraziò, dopodiché lei tornò nell'ingresso avendo cura di richiudersi la porta alle spalle. Frank così poté continuare indisturbato a guardarsi intorno con la sola differenza che il caffè gli scottava la lingua. Cominciava a sentirsi ansioso, per cui prese a camminare lungo le pareti per scaricare un po' della tensione accumulata. Dopo che erano passati più di cinque minuti, ma che a lui parvero infiniti, si fermò in prossimità della finestra, poggiandosi con le spalle al muro. Fu allora che gli cadde l'occhio sulla scrivania, come al solito un putiferio di libri e scartoffie varie. Si chiese se almeno Gerard ci provasse a mantenere in ordine quel tavolo, ma la risposta sembrava un no più che palese. Chissà cosa c'era nascosto in mezzo a tutti quei fogli. Immediatamente Frank si disse di levare lo sguardo dalla scrivania e di non farlo, ma cedette molto presto. Sapeva che non sarebbe stato corretto farlo, ma era troppo curioso di sbriciare un po'. Si staccò dal muro e si avvicinò alla scrivania, scannerizzandola con lo sguardo. La maggior parte delle cose presenti sul tavolo erano libri di testo e appunti dai titoli assurdi, ma c'erano anche varie penne senza tappo e alcune graffette. Si avvicinò di più al bordo del tavolo, sempre avendo la cura di non protendersi troppo nel guardare per non incorrere in figure di merda colossali. Niente, sembravano tutti fogli scarabocchiati. Poi notò nell'angolo un foglio, un po' nascosto, le cui linee non erano a penna, bensì a matita. Sembrava un disegno. Si fermò un attimo per sentire se da fuori la porta provenissero dei rumori, ma sembrava non ci fosse nessuno oltre a lui. Con un rapido gesto della mano smosse le scartoffie attorno a ciò che gli aveva catturato l'attenzione, con il cuore che gli batteva più veloce. Ora poteva vederli chiaramente, due fogli totalmente ricoperti di schizzi e bozzetti a matita, senza neanche un centimetro di carta lasciato a nudo. La bravura di Gerard nel trasmettere su un piano cartaceo tutto ciò che volesse lo affascinava sempre di più, come la carta si tramutasse in pelle e poca grafite potesse dare vita ad un pensiero. Un paio di volti dai tratti indefiniti di profilo e di lato sembravano quasi veri, con la linea della mascella leggermente curva ed i capelli morbidi a ricadere in onde appena accennate sulla fronte. E poi le mani, una marea di mani chiuse, aperte, che stringevano qualcosa o con una penna in mano, dal chiaroscuro così limpido e definito che davano l'impressione di essere vere mani, solo guardate attraverso un vetro di carta. Due profili che si baciavano, indefinibili, sembravano due figure zuppe d'acqua. C'erano anche degli occhi, poi alcuni alberi, dei passaggi ed alcuni scarabocchi su cui erano state tracciate con rabbia delle linee scure in modo tale da cancellare l'immagine sotto. Vicino a questi spiccava il profilo di gatto dalla pelliccia folta e delle labbra, delle labbra sottili e screpolate, appena socchiuse, pronte a sussurrare un segreto. Delle labbra definite, su cui spiccava la rigida curva di un labret. Il rumore della porta che si apriva in tutta fretta gli fece distogliere di scatto lo sguardo, mentre la mano gli si rituffava in tasca.
«Se dicessi che fuori è un inferno vero e proprio non esagererei.» si lamentò Gerard entrando dalla porta, per poi fissare per un secondo lo sguardo su Frank, accennandogli appena un sorriso. «Veramente, mi dispiace tantissimo. Sarei dovuto essere qua tipo... Non so? Venti minuti fa?»
«Non preoccuparti, capita a tutti qualche volta.» replicò Frank, per poi sedersi sulla poltroncina tenendo ben stretto il bicchiere di plastica tra le dita. Gerard finì di slacciarsi la giacca e la appese assieme al cappello di lana blu all'appendiabiti di legno accanto alla porta, poi si avviò verso la sedia di fronte al ragazzo passandosi una mano tra i capelli scuri. Se li scompigliò un po', poi sbuffò e rivuole tutta la sua attenzione a Frank. Lui, come di suo solito quando era nervoso, cominciò a mordersi il labbro inferiore, screpolato e già ridotto a sangue.
«E poi fa pure un freddo glaciale, che fregatura. Però almeno è una scusa per passare le serate in casa a guardare vecchi film sotto sette coperte.»
«O a leggere.» disse Frank senza pensarci, ricordandosi con un secondo di ritardo che poche sere prima Gerard gli leggeva un libro a voce misurata, nel calore confortevole di casa sua, con la testa poggiata sulla sua spalla e le punte dei capelli che gli pungevano la guancia. Incontrò lo sguardo di Gerard, il quale sbatté le palpebre e riabbassò subito il viso.
«Sì, anche leggere non è male.» quello si schiarì la voce e perse un paio di secondi a mettere in ordine un plico di fogli davanti a lui già perfettamente impilati, per poi intrecciare le mani e poggiarla sul tavolo. Inconsciamente o meno, aveva coperto col gomito il foglio dei disegni. «Allora Frank, come sta andando? Se può esserti utile, puoi usare il metodo della diga, sempre ammesso che tu voglia.» Frank si ricordava quella storia della diga, insegnatagli da Gerard qualche settimana prima. Consisteva nell'immaginare una diga, un muro metafisico nella mente a bloccare i pensieri dall'essere detti, e di aprirla, lasciando così fluire parole e concetti senza alcuna interferenza esterna. Nonostante continuasse a trovare quell'immagine un po' buffa si figurò un enorme muro di sterile cemento grigio colpito da veloci flutti scuri, turbinanti e torbidi, onde di inchiostro e giudizi repressi che si riversavano sulla diga. Chiuse gli occhi e si immaginò di aprirla. Lui una diga non l'aveva mai vista, ma gli bastò immaginare il normale clic d'apertura di una porta e il fiume straripava e correva in riccioli d'acqua nera fuori dalla precedente costrizione. Frank riaprì gli occhi, vedendo che Gerard sembrava incitarlo a parlare con lo sguardo. «Va meglio la situazione a scuola?»
«A dire la verità sì. Nessuno mi ha dato fastidio più di tanto, cioè, a volte in corridoio ancora mi indicano o cose del genere, ma provo a non pensarci e semplicemente ad ignorarli, come mi hai detto tu. E poi mi convinco che non devo farci più caso, così non ci faccio più caso veramente.» diede libero sfogo a tutto ciò che gli passava per la mente, accompagnando alcuni concetti gesticolando nervosamente con le dita o assumendo diverse espressioni facciali. «E va meglio, insomma. Però a volte ho comunque paura che riprendano, sai com è. Non lo puoi sapere, anche se quando succede...»
«Anche se...?» lo spronò Gerard, le sopracciglia scure aggrottate in un'espressione pensierosa. Frank mandò giù il groppo in gola. Non si sentiva ancora pronto ad esternare lo sconforto che gli prendeva in certe occasioni se immaginava tale scenario, a quanto si sentisse improvvisamente piccolo, stupido, insignificante e buono a nulla. Non voleva ancora dirgli quanto si sentisse risucchiato in fondo, il vuoto nel petto che gli prendeva il posto del cuore, l'assenza di calore che poi si insinuava nelle arterie e nei vasi principali, toccava e sfiorava i suoi nervi e tutte le sue funzioni vitali per poi permeargli sottopelle con un unico brivido immobilizzante, facendolo sentire vuoto, senza più emozioni né utilità né funzioni. Era tremendo, non voleva dirlo, ancora non era pronto e già al solo pensiero Frank cominciava a sentirsi soffocare. Continuò a stuzzicare il labbro stretto tra i denti, incapace di guardare Gerard negli occhi.
«Anche se nulla. Non ci faccio caso e basta.» scosse nervosamente la testa, ma poi non aggiunse più nulla. Si prese le mani l'una con l'altra e cominciò ad attorcigliarsi le dita tra di loro, sentendosi lo sguardo di Gerard puntato contro. Non alzò neanche il viso per controllare se lo stesse guardando o meno. Il silenzio comunque non durò a lungo.
«Va bene.» fece Gerard, anche se dal tono sembrava che non stesse andando bene per niente. Frank gli lanciò un'occhiata sfuggente, sperando di non sembrare così patetico come invece era sicuro di apparire. L'altro stava sistemando ancora il plico di fogli perfettamente in ordine, poche ciocche di capelli scuri oscuravano lo sguardo rabbuiato degli occhi di quel colore così bello. Avrebbe volto prenderle tra le dita e spostargliele dietro l'orecchio. «Ehi Frank, non avere paura di alzare la faccia.» il ragazzo voltò il viso verso di lui. «E invece di fare così con le mani, poggiale sul tavolo. Prova a tenerle ferme, okay?» Frank slacciò la stretta delle mani lasciando così che il sangue tornasse a fluire nelle dita, poi con un po' di titubanza le poggiò sul ripiano di legno, vicino al bicchiere di plastica ormai vuoto. Prontamente l'altro gli afferrò la mano sinistra, facendogli piccole carezze circolari sul dorso della mano, cercando di sciogliere la stretta violenta in cui era chiusa. Altra cosa che Frank non riusciva a capire. Normalmente si sarebbe dovuto sentire violato, insomma, un altro po' non permetteva neanche ai suoi amici o ai suoi parenti di toccarlo o abbracciarlo, eppure Gerard gli stava stringendo la mano con delicatezza e non si sentiva invaso. La mano poco a poco si rilassò, così come il nodo dell'ennesimo dubbio nella mente di Frank. Se a lui non importava, anzi, gli importava ma in senso buono e non lo infastidiva, non aveva bisogno dell'opinione di nessuno no? Quindi era inutile continuare a farsi tanti problemi. Gerard riusciva in qualche modo a stargli vicino e ad entrare in contatto con la sua parte fisica ed emotiva senza urtare nessun parametro, era una cosa mai successa. Non era facile lasciare che qualcuno potesse spaziare così tranquillamente tra le sue parole e le sue dita, ma continuare a ripetersi che lo stava solo aiutando e che lo faceva stare meglio allentava la morsa là in mezzo al petto. «Va un po' meglio?»
«Sì, suppongo di sì.» Frank sospirò. La mano di Gerard si rilassò appena sopra la sua.
«Preferisci che ti faccia delle domande io?» a quella richiesta Frank annuì, sentendosi un bambino stupido che non poteva neanche dare libero sfogo a se stesso senza farsi prendere d'assalto dalla sua mente. Prima o poi si sarebbe strappato il cervello con le sue stesse dita.
«Vediamo un po'... Di scuola ne abbiamo già parlato abbastanza, ti va di dirmi come ti trovi con Mikey? Mi ha detto che state legando più rispetto a prima.»
«Con lui va bene. Sì, insomma, prima non eravamo tanto amici come stiamo diventando, più che altro ci sostenevamo a vicenda durante le ore scolastiche, però ora ci troviamo più a nostro agio l'uno in compagnia dell'altro. È simpatico, anche se riservato e sembra che non rida mai, ma nonostante ciò mi ci trovo bene. Comunque ci continuiamo ad aiutare con lo studio, soprattutto per quanto riguarda gli appunti.» la domanda fece balenare in mente a Frank la settimana prima, quando in corridoio gli era caduto il raccoglitore e Mikey aveva trovato un foglio diverso dagli altri. Probabilmente stava ancora sulla scrivania a prendere polvere infilato tra le foderine di storia. Se n'era completamente dimenticato. Si ripromise di dargli un'occhiata non appena sarebbe tornato a casa.
«E con Jamia? Stai legando anche con lei?» Frank non poté fare a meno di rialzare di scatto lo sguardo a quella domanda. Gli occhi di Gerard non lasciavano trasparire nessuna emozione, così come la scioltezza del suo viso e di come aveva esposto la domanda non tradivano nulla. Frank si chiese se si rendesse conto che argomento aveva tirato in ballo. Gerard aveva ancora alcuni capelli neri sparpagliati sulla fronte, quanto avrebbe voluto in quel momento sfilarglieli da là e non pensare alla domanda.
E con Jamia? E con Jamia in parole povere era un casino totale. Rispetto a qualche giorno prima si era sciolta la tensione tra di loro, per quanto lei sembrava come se fosse rimasta delusa in qualche maniera. Ma come? Si aspettava forse che le avrebbe chiesto di chiarire per quel bacio? Di situazioni da chiarire ne aveva abbastanza, così come di pensieri per la testa. Sapeva benissimo di starsi comportando da stronzo, però ignorare la situazione fin quando questa non si fosse appallottolata da sola e fosse sparita nell'angolo più buio e polveroso della realtà gli sembrava l'idea migliore. Jamia era una buona amica, schietta, sociale e di compagnia, ma il suo affetto per lei non andava di certo oltre quei limiti. E poi, nonostante a volte senza alcun apparente motivo lo ignorasse completamente o gli rispondesse male, la maggior parte del tempo era allegra come al solito, solo forse un po' più timida. Rialzò lo sguardo sugli occhi nocciola di Gerard. Avrebbe dovuto dirgli che aveva tentato di baciarlo?
Scrollò le spalle. «Anche con lei sto legando. Forse non quanto con Mikey, o almeno in maniera diversa, però sì, stiamo stringendo. Come con Ray. A volte si comporta in maniera insolita, ma è a posto. Ascolta buona musica.»
«A proposito di Ray e Jamia, mio padre pensava che farvi incontrare sia stato utile. Vi siete aperti un po' l'uno con l'altro, è un inizio. Ora? Stai meglio?» chiese, dandogli un'intensa stretta alla mano. Aveva la pelle calda, leggera, anche più pallida della sua, che tanto amava ricoprire con dei tatuaggi. Dalle sue spalle, il sole stava tramontando ed il cielo si era finalmente liberato, il che presagiva una notte limpida, come quella in cui era uscito dalla finestra di casa di Gerard. Forse un giorno glielo avrebbe raccontato.
«Sì. Grazie.»
«Ti ricordi? Noi ci aiutiamo a vicenda.»
«Lo dici solo perché sei il mio psicologo.»
«No, assolutamente no.» Gerard scosse la testa, per poi sorridergli appena con l'angolo della bocca. Cosa intendeva? Stava aprendo la bocca per chiederglielo ma Gerard lo precedette. «Comunque, ora non importa. Ti ricordi cosa ti avevo detto riguardo alle relazioni sociali?»
E allora quando importerà? si chiese, però non proferì parola. Si morse il labbro, ripensando ai consigli di Gerard mentre lui gli accarezzava distrattamente la mano. «Di non temere il contatto umano, e anche di non tenere sempre alzate delle difese per intimidire gli altri.» elencò, alzando gli occhi al soffitto per concentrarsi, passandosi poi la lingua sulle labbra. Intravide Gerard annuire. «Ah sì, e anche di... Di provarci, ecco.»
«Esattamente.» disse Gerard con un sorriso. «E stai provando anche a seguire questi consigli?»
«Mi ci sto impegnando. Non è facile, anche perché ormai è il mio ultimo anno di liceo, ma qualche tentativo lo sto facendo. Credo che se mi ritrovassi improvvisamente in un nuovo contesto sociale potrei, ecco, evitare di isolarmi e parlare con le persone. Almeno parlare senza la paura che succeda chissà cosa.»
«Ne sono contento. L'anno prossimo comunque sarai fuori da scuola, che tu vada all'università o comincerai a lavorare sarai catapultato in un mondo diverso.» le dita diafane di Gerard si alzarono verso la fronte e se la sgombrarono dai capelli. «A proposito, non ne abbiamo mai parlato, hai già qualche idea per ciò che farai dopo?»
Frank abbassò per l'ennesima volta lo sguardo, affondando i denti nel labbro. Avrebbe dovuto smetterla, lo sapeva, anche perché stava cominciando a dargli fastidio il labret contro i denti. «No, non ci ho ancora pensato.» mentì, ripensando fugacemente all'opuscolo che giaceva sul comodino di camera sua.
«Non hai neanche una vaga idea?» chiese Gerard alzando le sopracciglia. «Insomma, qualcosa che ti piacerebbe fare o un'ispirazione in particolare?»
«Io... In realtà forse sì, ma è una cosa che non accadrà mai e poi in realtà non credo di...»
«Frank, nulla è stupido o irrealizzabile, escluso molto poco.»
«Sì, però...» Frank sospirò, ricordando con un brivido l'occhiata di sua madre qualche sera prima. «Non so. Mi piacerebbe provarci e farlo, ma credo rimarrà appunto un sogno.»
«Se non sono indiscreto, cosa ti piacerebbe fare?»
«Frequentare un'accademia musicale. Suonare, comporre canzoni, melodie, esprimermi al meglio tramite la musica. È stupido, lo so, pochi fanno veramente carriera.»
«Perché dovrebbe essere stupido? Non lo è affatto.» replicò Gerard poco dopo, intrecciando le dita con le sue. A Frank accelerò il battito. Gerard non sembrava essersene accorto, aveva compiuto il gesto involontariamente. «Anzi, se è veramente ciò che desideri fare ti consiglio di provarci. È vero, è un mondo difficile con delle regole tutte tue, ma credo che tu potresti farcela. Anche solo per passione, per quanto credo che tu possa proprio riuscirci come professione. Tante volte mi hai parlato di come ti piace suonare la chitarra e... Anzi, la prossima volta ti andrebbe di suonarmi qualcosa? Magari non per forza con la chitarra elettrica, anche con un'altra, però mi piacerebbe sentirti suonare.»
«Va bene, certo. Mi farebbe piacere.» rialzò lo sguardo ed incrociò quello di Gerard. Effettivamente gli sarebbe piaciuto suonargli qualcosa, magari seduti sul letto a gambe incrociate, senza calze, coi gomiti poggiati sulle ginocchia ed il silenzio interrotto solo dagli arpeggi. Il che lo colpiva, perché non gli era mai piaciuta l'idea di qualcuno ad ascoltarlo mentre suonava. Chissà se a Gerard poi sarebbe piaciuto. Magari sì, magari no. Gli si alleggerì il cuore in petto. «Grazie.»
«Lo penso davvero, non devi mica ringraziarmi. E poi se la musica significa davvero qualcosa per te, tanto vale la pena provarci.» Frank annuì distrattamente. Aveva senso. Avrebbe potuto quantomeno tentare di tirar fuori il discorso con sua madre.
«Cosa intendi con significa davvero qualcosa? Cioè, in che senso?» chiese poco dopo. Gerard parve pensarci su un attimo.
«Se per te compiere quell'azione ha un significato. Se, compiendola, senti che questa ti raggiunge ad un particolare livello emotivo, se riesce a farti provare qualcosa. Insomma, se per te quell'azione è particolare, unica nel suo genere e ti aiuta ad esprimerti e a sentirti parte di qualcosa. Non credo abbia molto senso detto così, ma insomma, più o meno questo.»
«Per te allora ha significato qualcosa quando mi hai baciato?» le parole gli uscirono di bocca spontanee, prima anche solo di poter pensare di fermarle. Quando si accorse di un'espressione stupefatta prendere forma sul viso di Gerard, capì cosa aveva combinato. Per una volta, sarebbe stato meglio pensare prima di agire.
«Perché me lo domandi?» replicò in un tono camuffato, quasi a nascondere qualcosa tradito comunque dalla leggera tonalità di rosa apparsa sulle sue guance. Frank sentì il cuore accelerare un po'. Ormai la figura di merda era fatta. Tanto valeva andare a fondo e risolvere una volta per tutte la questione.
«Non ne abbiamo mai parlato. Perché è successo, vero? Alla mostra d'arte, me lo ricordo.»
«Sì, sì è successo. Però non vedo perché parlarne ora.»
«Non puoi semplicemente rispondere e basta?»
«Non sono di certo domande da prendere tanto alla leggera. Frank, sinceramente, non so dirti come o perché sia successo.» Gerard slacciò la stretta delle loro mani per poi poggiare la testa contro i palmi, puntando i gomiti sui fogli stropicciati presenti sul tavolo. Il tono di voce ora lasciava presagire una certa difficoltà. «Credo... Non so, è come una di quelle cose che succedono e basta.»
«Perché lo hai fatto allora?» domandò con più veemenza, incrociando le braccia al petto.
«E allora perché tu hai ricambiato?» qui seguì una pausa di silenzio relativamente breve. «Vedi, nessuno dei due lo sa dire. Veramente, suppongo che in realtà fossimo entrambi abbastanza confusi, poi tu eri veramente arrabbiato, io avevo i miei problemi per la testa e non so, non ricordo bene.»
«Tu avevi ancora i capelli rossi.» una fulminea immagine di quei sottili capelli di un rosso vivo stretti cautamente tra le sue dita inesperte gli attraversò per un secondo la mente.
«Quello me lo ricordo. E poi ha cominciato a piovere.»
«Ed io mi sono beccato l'influenza subito dopo.» Frank sospirò, stringendosi nelle spalle. Nessuno dei due aveva il coraggio di guardare l'altro negli occhi. «Quindi? Per te ha significato qualcosa?» Gerard esitò.
«No. Non so dirlo, ma credo di no. Perché, per te?» Frank chiuse gli occhi a quell'affermazione. In fondo se lo aspettava. Si immaginò di sfilare l'accendino dalla tasca, di prendere il ricordo in mano e di dargli fuoco, come con una vecchia foto troppo carica di significato. Scosse la testa. «No, assolutamente nulla.»

Per il resto del tempo Frank si limitò a rispondere alle domande, senza lasciar trapelare nulla. In un certo senso era strano, in fondo se lo aspettava benissimo, ma non poteva negare che la conferma non avesse per niente giovato. Era come se provasse una punta di amarezza, una leggera delusione che per quanto infima non accennava ad andare via. Ma in fondo cosa si aspettava, che Gerard si alzasse, lo trascinasse tra le sue braccia e gli rivelasse il suo eterno amore in un turbine di petali di rosa? Certo che no. O almeno, di sicuro non una scena del genere. Prima di andare via aveva sorriso a Gerard come faceva sempre, ed anche lui gli aveva sorriso di rimando. Aveva come al solito un sorriso leggero, bello, però era come se si fosse spento qualcosa di sottofondo. Erano solo congetture. Era ovvio che per Gerard non sarebbe significato nulla. Eppure nel tragitto di casa quel pensiero continuava a ronzargli tra i neuroni, lo tormentava insistentemente, dandogli non poco fastidio. Era involontario, stava lì e basta. Frank imprecò sottovoce contro se stesso e contro il vento freddo che si era alzato e gli pungeva la faccia, poi sentì il telefono vibrargli in tasca. Nella scarsa luminosità lo tirò fuori, rimanendo effettivamente colpito per il nome apparso sullo schermo.
«Ciao Jamia, cosa succede?» chiese, aggrottando le sopracciglia. La ragazza a scuola gli parlava solo se necessario, ed ora lo chiamava a telefono. Si tirò più su la sciarpa per proteggersi dal freddo pungente, senza smettere tuttavia di camminare da una pozza di luce all'altra. D'accordo che stava guarendo dal raffreddore, ma non voleva riprenderselo subito.
«Ehi Frank, no, nulla in particolare.» replicò lei, interrompendo il suo flusso di pensieri. «Mi stavo chiedendo una cosa, in realtà. Ti ricordi quella ragazza che abbiamo incontrato alla mostra? Quella bionda che sono andata a salutare?»
«Ehm... Sì, mi ricordo.» rispose Frank cercando di non ricordare anche il resto della mostra, camminando in fretta sul marciapiede per arrivare il prima possibile a casa. «Perché me lo chiedi?»
«Vedi, lei suona in un gruppo con alcuni suoi amici, e venerdì sera si esibiscono in un locale, qui a Belleville. Mi aveva invitata a vederla, quindi mi chiedevo se... Se per caso ti andasse di accompagnarmi, tutto qui
Frank si fermò davanti al semaforo rosso. Era un chiaro invito ad uscire. Alzandosi sulla punta dei piedi per poi puntellarai sui talloni, si morse il labbro. Non era certo il migliore dei momenti per la sua sfera emotiva in generale, dopo ciò che gli era appena stato confermato non aveva tutta questa voglia di gioire o di essere contento. non ne era per niente contento a dirla tutta. Certo non era un buon motivo per riversare la sua negatività su Jamia. Non aveva fatto nulla. Magari sarebbe anche potuta essere l'occasione giusta per chiarire con lei. O per passare una serata diversa dalle altre. Anche se una piccola parte del suo cervello non riusciva a farsi scivolare del tutto via la cenere di quel ricordo che andava bruciato, che ancora brillava del suo significato per quanto fosse ridotto a stupida polvere grigia. Affondò i denti nel labbro e decise di ignorarlo. «Va bene. Sì, certo, mi farebbe piacere.»

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«Lo so, sono in ritardo, scusami.» disse Frank alla ragazza, ancora cercando di riprendersi dalla corsa. Pensando che tanto aveva tempo per andare aveva speso tutta la serata ad esercitarsi con la chitarra per lo spartito regalatogli da Bob, che tra parentesi gli stava finalmente riuscendo, poi a forza di distrarsi e riprendere in mano lo strumento si era fatto tardi, quindi si era trovato inevitabilmente in ritardo come al solito a correre per strada cercando di non congelarsi. Forse non aveva neanche tutta questa voglia di uscire a dirla tutta, ma si era sforzato di farlo, non gli sembrava giusto nei confronti di Jamia, la quale gli sorrise, anche se un po' spazientita. Si era persino truccata, anche se leggermente, il che accentuava il suo sguardo.
«Fa nulla, non stavo aspettando da tanto. Però almeno entriamo, qua fuori fa freddo.» replicò, strofinandosi le mani tra di loro. Frank fece un cenno d'assenso e la precedette nel locale, che aveva scoperto essere lo stesso dove era stato con Bob. Aperta la porta si aspettava una folla di ragazzi davanti ad un piccolo palco a dimenarsi a ritmo di musica con una birra in mano, invece rimase sorpreso quando notò che la sala era quasi del tutto sgombra. Non aveva fatto caso alla disposizione di eventuali tavoli la volta prima, ora invece questi erano tutti disposti nella zona sinistra della sala, illuminata da fasci di morbida luce viola. A destra c'era pure il piano bar. Il palco era invece deserto se non fosse stato per gli amplificatori e l'asta del microfono. Jamia lo raggiunse.
«Tutto bene?» gli chiese, guardandosi attorno come a cercare la ragione dello sconcerto di Frank. Lui scosse la testa.
«No, nulla, è che sono già stato qui una volta e... Be', era diverso.»
«Diverso?» continuò lei, avviandosi verso i tavolini. Frank nel seguirla allungò una mano verso uno degli immobili fasci di luce viola, illuminandogli la pelle del polso di bianco e lilla. Era carina quell'illuminazione.
«Diciamo molto più affollato.» i due si sedettero ad un tavolino relativamente davanti e di lato, uno dei pochi liberi. C'erano molti gruppi di amici e anche un paio di adulti, il che lo colpì, anche se non quando la presenza di coppie. Erano di sicuro la porzione di pubblico più gremita. Frank sperò vivamente che Jamia non li considerasse parte di quella porzione. Per un attino si ritrovò ad immaginare come sarebbe stato se davanti a lui ci fosse stato Gerard invece di Jamia. Le luci viola rendevano l'atmosfera così surreale.
«Il gruppo di Grace dovrebbe essere il secondo o il terzo se non sbaglio.» disse lei per poi sfilarsi la giacca e metterla sullo schienale della sedia di legno. Frank fece lo stesso, ma poggiò la giacca sul bracciolo.
«Che genere sono?»
«Uh... Rock, credo. Non so, non me ne intendo tanto, anche se mi piacerebbe. Ho l'impressione che tu ne sappia più di me.» nei i minuti seguenti Frank le fece una descrizione dei principali generi musicali, soffermandosi molto sul rock e facendole confermare la sua ipotesi inziale. Dopotutto, quasi tutti i gruppi che suonavano là sembravano essere del genere. In seguito il discorso verté sulle temperature che stavano scendendo velocemente (si diceva che avrebbe nevicato persino prima del  Ringraziamento) e su Ray, che entrambi trovavano simpatico. Uscì fuori che era tra i migliori, se non unici, amici di Jamia, la quale rivelò di conoscerlo dall'inizio della scuola. Quando arrivò un cameriere ad avvertirli che in dieci minuti i gruppi avrebbero cominciato a suonare e a chieder loro se volessero qualcosa da mangiare loro ordinarono due vaschette di nachos e due bibite, poi Frank si girò a guardare Jamia, che si stava sciogliendo la treccia che aveva prima. Era carina, simpatica, loquace e tutto il resto, però c'era quella nota di fondo, fuori contesto, che stonava col resto. Non capiva perché non potesse semplicemente farsela piacere e basta. Ogni volta che pensava sarebbe stato meglio arrivava a pensare a Gerard, alle sue labbra sottili e curvilinee che gli regalavano spesso dei sorrisi anche inaspettati, alla sua pelle eburnea e a come risaltasse a contrasto coi capelli scuri, intensi. Ma lui gli aveva candidamente detto che lo aveva baciato per chissà quale motivo e che non era significato nulla, assolutamente nulla. Eppure non riusciva a levarsi dalla testa che anche in altri contesti  era sembrato che invece gli importasse eccome. La sera poco dopo il suo compleanno. Hemingway ed i quarantasette finali letti da lui. La testa sulla sua spalla. La sua testa sulle sue ginocchia, quando lo era andato a trovare sotto consiglio di Mikey. La lacrima che gli aveva asciugato via col dito prima di entrare. Il cielo che si tingeva del colore del mare in autunno. Aveva tanti di quei ricordi con lui che lo lasciavano sempre più confuso. Possibile che dovesse bruciarli tutti? Eppure non capiva perché continuava a rigirare attorno a quel No. Non so dirlo, ma credo di no. Possibile che si stesse innamorando di lui e che quel rifiuto lo avesse colpito tanto? Possibile era, ma non riusciva a capacitarsene. Non poteva essere innamorato di Gerard. Non poteva piacergli ed avere un debole per lui. Sembrava star filando tutto liscio, finalmente si stava riuscendo a convincere che era solo il suo psicologo e bam, si incasinava tutto di nuovo. Non era mai stato innamorato di qualcuno, aveva avuto qualche cotta, sì, ma nulla di serio. Quindi non poteva saperlo. Era un bruciante senso di appartenenza che si appagava solo quando i due trovavano un contatto. Aveva l'impressione che non tutti avessero tali sentimenti per il proprio psicologo. E se gli avesse mentito riguardo al fatto di aver provato qualcosa? Frank afferrò il drink che intanto aveva portato il cameriere e ne prese un sorso. La leggera parvenza di alcol gli pizzicò la gola. Lato positivo di avere diciotto anni era che poteva finalmente bere un alcolico in tutta tranquillità. Eppure questo non bastava a levargli Gerard dalla testa. Il primo gruppo entrò sul palco ed iniziò a suonare praticamente subito una canzone martellante. Il ragazzo cominciò a tamburellare il ritmo delle canzoni sul tavolo con le dita, scambiando qualche parola con Jamia, fin quando non sfiorò erroneamente la mano della ragazza poggiata là accanto. Si ritrasse immediatamente.
«Scusami, non volevo.»
«No, è tutto apposto.» replicò Jamia, abbassando il viso e lasciando cadere la mano lungo il fianco. Nel frattempo la gente attorno a loro applaudiva al gruppo che stava tornando nel backstage, per poi essere sostituito da quello in cui era presente l'amica della ragazza. «Senti, a proposito, dovrei parlare con te.» e fu così che a Frank andò di traverso il drink. Il ragazzo poggiò il bicchiere di vetro sul tavolo, poi si girò verso Jamia, la quale si stava morsicando le unghie.
«Di cosa si tratta?» e lo sapeva benissimo di cosa si trattava, lo poteva immaginare, però lei prima ancora di poter rispondere voltò il viso verso il palco e sorrise, facendo un piccolo cenno di saluto con la mano. La chitarrista bionda ricambiò il saluto.
«Te lo spiego dopo, adesso tocca a Grace.» concluse Jamia, poi rivolse la sua completa attenzione al gruppo dell'amica. Mentre loro suonavano Frank passò il tempo a sbocconcellare dei nachos e a fare il gioco delle tre carte con le salse. Prima uno con la salsa piccante, poi la salsa al formaggio, poi alle verdure, poi tutte e tre, poi nessuna. Tutto pur di temporeggiare e rimandare il momento in cui si sarebbe trovato faccia a faccia col problema. Non voleva essere scortese con lei, però doveva dirle che tra di loro non c'era nulla se non una buona amicizia. Non poteva neanche esporle la questione dicendole Mi dispiace, ma credo di star provando qualcosa di forte come un tir in faccia per il mio psicologo, che tra l'altro ho pure baciato l'ultima volta che siamo usciti insieme. Cambiando discorso, li finisci quei nachos?
Una via di mezzo sarebbe stato l'ideale, non troppo rude ma diretto. Passò l'ultima canzone del gruppo di Grace a mordere nervosamente la cannuccia del drink immaginando vari scenari e vari modi per lasciarle intendere con delicatezza il nocciolo della questione, pescando di tanto in tanto alcuni nachos dalla vaschetta ridotta ad un appiccicoso miscuglio di salse e poche briciole. Alla fine della canzone Jamia batté le mani assieme a tutti gli altri e sorrise gioiosamente all'amica sul palco, poi se ne uscì con un improvviso «Voglio frequentare un corso di teatro.»
E Frank tentò così il secondo suicidio per annegamento nel drink. «Cosa?»
«Sì, insomma, volevo parlarne con te perché sei una persona di cui mi fido.» Jamia gonfiò le guance ed espirò. «Vedi, Way, sì insomma Way senior, lo psicologo, mi ha consigliato per uscire dal guscio e per potermi relazionare meglio con la gente di seguire un corso di teatro. Già lo facevo da piccola, ma poi ho smesso e non so cosa fare. Secondo te dovrei provarci di nuovo?»
Il cuore di Frank si sgonfiò come un palloncino bucato, lasciando una sensazione di calma improvvisa a prendere posto della tensione precedente. «Immagino potrebbe esserti d'aiuto. Non vedo perché non dovresti.»
«Dici davvero?»
«Sì, credo potrebbe aiutarti, per l'espressione e cose del genere, ho sentito dire che aiuta a diminuire la timidezza. Te la caveresti.»
«Allora ci proverò. È per questo che mi piace parlare con te.» Jamia sorrise, mentre le sue dita giocherellavano con un elastico per capelli. Nel frattempo un altro gruppo fece il suo ingresso sul palco, così le due parole seguenti furono soffocate dal clamore delle persone, ormai nettamente aumentate di numero. C'era persino chi stava in piedi poggiato ai muri. «...migliori che conosco.»
«Cosa?»
«Sei tra le persone migliori che conosco.» nettamente in imbarazzo Jamia ripeté la frase. Ahi. Non voleva parlare solo del teatro. Frank si rimise a mordicchiare la cannuccia. «Vedi, è che mi trovo veramente bene con te. Non so, da tempo non mi capitava qualcosa di simile.»
Frank eluse il suo sguardo. «Ehm, sì, anche tu per me sei una buona amica.»
«Sì, immagino.» Jamia si perde un attimo a guardarsi le dita, le cui unghie erano contornate da un po' di sangue. Come quelle di Frank. «Senti, mi dispiace di averti baciato la sera del tuo compleanno. È inutile far finta che non sia successo nulla, quindi direi anche di smetterla di ignorarci. Vedi, l'alcool ha facilmente effetto su di me ed io... Io non so cosa mi sia preso, ho disturbato te e Gerard mentre parlavate e poi ti ho baciato. Mi dispiace, per quanto be', sì, non mi è dispiaciuto farlo ma... Non lo so, per ora mettiamoci una pietra sopra va bene? Ho bisogno di chiarire la situazione anche con me stessa e magari... Per ora rimanere amici. Okay?» disse la ragazza tutto d'un fiato, facendo temere per un attimo a Frank che potesse esplodere per il nervosismo, palese in ogni parola e gesto. Frank annuì, poggiando il bicchiere sul tavolo mentre il cuore gli si sgonfiava come un palloncino appena bucato per il sollievo. Per lo meno, aveva recuperato un'amica.
«Credo che sia la cosa migliore.»
«Infatti. Almeno per ora.» la ragazza guardò verso il palco, facendo un sorrisetto. «Questi sono bravi, non trovi?»
«Vero.» concordò Frank, prestando attenzione alla canzone con più facilità ora che non doveva pensare a nulla in particolare. Ben presto il primo pezzo finì e attaccarono subito con un secondo, il cui ritmo per qualche motivo al moro suonava familiare. Accanto a lui Jamia giocherellava con i cubetti di ghiaccio della Coca-Cola, mantenendo però fissò lo sguardo dubbioso sul palco. Ad un certo punto arricciò le labbra e strattonò Frank per la manica.
«Quello non sembra Mikey?» gli sussurrò, indicando il bassista del gruppo. «Potrò anche sbagliarmi ma, diamine, è identico.»
Frank strizzò le palpebre e guardò nella direzione indicata da Jamia. Il bassista teneva il viso chinato e sembrava completamente concentrato sulle note da suonare, si vedevano solo vagamente il profilo aguzzo ed i capelli, di un incerto castano chiaro. L'illuminazione violetta non aiutava per niente. Le dita si muovevano velocemente, ma poi il ragazzo alzò lo sguardo un attimo e si girò di più. Frank sbatte le palpebre, perplesso. Quel ragazzo era veramente uguale a Mikey. Stessi capelli, stessa corporatura, stesso modo lievemente impacciato di muoversi. Non indossava gli occhiali, ma quando la canzone finì ed il pubblico applaudiva al gruppo finalmente il ragazzo alzò il viso, sciogliendosi per un attimo. Frank non esitò a riconoscerlo.
«Jamia, quello è Mikey.»
«Cosa ci fa sul palco?» domandò stupita la ragazza. «Insomma, suona in una band? Non ce lo aveva mai detto e dannazione, è pure bravo.» Frank non poteva darle torto. Era bravo, dava segno di passione e continuo impegno nel portarla avanti. In poco si sciolsero tanti piccoli nodi nella mente di Frank, il tempo per far riprendere al gruppo di suonare. Mikey che accennava a come saper suonare uno strumento a corda al parco. Mikey che spesso era stanco e stressato. Mikey che cantava un motivetto sconosciuto alle orecchie di Frank. Il Mikey introverso ed impacciato con un gran cervello che a scuola era solo come lui, l'unico abbastanza per i fatti suoi da voler condividere con lui un posto a mensa, era diventato un bassista sul palco di un locale, parte di un gruppo e soprattutto più sicuro di sé, come testimoniato dai gesti più asciutti rispetto al solito e dalla fiducia in se stesso che accompagnava ogni suo movimento.
«Da quanto lo conosci?»
«Dall'inizio del liceo.»
«E non te ne ha mai parlato?»
«Del fatto che suonasse in un gruppo?» replicò Frank, scuotendo la testa e continuando a guardare Mikey sul palco. «No, non mi ha mai detto nulla. Non gli ho mai chiesto nulla del genere e lui non ne ha mai accennato. Neanche sapevo suonasse a dire la verità.» nel dirlo si accorse di quanto effettivamente conoscesse poco Mikey. A parte il fatto che odiava i compiti di trigonometria e che suo fratello era il suo psicologo non sapeva quasi nulla. Il suo compleanno era a Settembre, odiava i maccheroni della scuola, fumava e sapeva prendere benissimo gli appunti, ma la sua conoscenza sull'amico si fermava lì. Si chiese quante altre persone avessero un segreto, quante altre persone stessero costruendo la facciata di un edificio in uno stile e poi arredarlo completamente in un altro, colorare la facciata di un tenue giallo pastello e mettere dei mobili di un aggressivo grigio metallico. Sua madre, poi Gerard, ed ora anche Mikey. Il genere umano non finiva mai di stupirlo, in senso tanto buono quanto negativo.
«Perché non lo chiediamo a lui?»
«E come pensi di farlo? Per telefono?»
«Là c'è la porta del backstage.» Jamia gli indicò con un veloce gesto della mano una porta alla destra del palco. «Ho visto un paio di tecnici ed anche qualche ragazzo entrare da lì, non appena finiscono andiamo pure noi e ci parliamo.» asserì la ragazza in tono determinato, come se stesse parlando di un progetto per salvare l'umanità da un'invasione aliena. Frank aveva ancora i brividi dall'invasione canina di zombie che si era immaginato come eventuale scenario suonando la chitarra. «Che ne dici? Almeno possiamo ottenere una risposta diretta.»
Frank accettò e passarono il tempo rimanente a tenerlo sott'occhio di soppiatto pescando le ultime briciole dei nachos con le dita, senza imbarazzo né nulla, come una coppia di vecchi amici che guardavano un film di spionaggio e si impersonavano nei protagonisti, similitudine che lo fece divertire. Al gruppo ci volle un'altra canzone completa per finire la sua esibizione, la cui conclusione venne accompagnata da applausi ed acclamazioni da tutta la sala.
«Forza, andiamo.» sussurrò Jamia, approfittando della confusione dovuta al cambio di gruppo per infilarsi la giacca e prendere la borsetta, da cui estrasse una banconota da dieci dollari. Frank tentò di protestare (regola numero uno, gli aveva detto una volta sua madre, quando sei fuori con una ragazza paga tu, è buona educazione, inoltre se non farai così lei te lo rinfaccerà per il resto della vita nelle vostre litigate, o al massimo lo farò io) ma lei lo ignorò bellamente e si tuffò a capofitto nella folla, diretta verso la porta del backstage. Frank aggiunse un'altra banconota sul tavolo e la raggiunse poco dopo, poi insieme spinsero la maniglia, trovandosi immediatamente catapultati in un corridoio accogliente dalle morbide luci color crema, percorso da pochi tecnici intenti a portare cavi da una parte all'altra o dei semplici fogli.
«Di là, andiamo.» senza fermarsi un attimo Jamia proseguì per il corridoio, imboccando dopo poche porte una svolta a sinistra. Frank la seguì, fidandosi del suo istinto, e non appena ebbe svoltato l'angolo vide una piccola saletta nella più totale confusione con strumenti appoggiati sui ripiani e due porte in fondo. Di fronte la parete di destra alcuni ragazzi stavano parlando allegramente con il gruppo che aveva appena suonato sul palco, tra cui Frank riconobbe Mikey. Assieme a Jamia cominciò ad incamminarsi verso di lui. Nonostante avesse scoperto un nuovo lato di Mikey il ragazzo era rimasto lo stesso: nel gruppo era quello più in disparte, stava poggiato con le spalle al muro ed ascoltava distrattamente la conversazione, intervenendo poche volte esattamente come faceva a scuola con loro. Si era rimesso gli occhiali, e non ci volle molto prima che gli occhi dietro li inquadrassero in un'espressione sorpresa. Immediatamente il ragazzo si staccò dalla parete e venne loro incontro.
«Cosa ci fate voi due qui?» domandò non appena lo ebbe raggiunti, con un tono non tanto di rimprovero quanto più di sorpresa. Jamia gli si parò di fronte.
«E tu piuttosto, suoni in un gruppo? Perché non ce l'hai mai detto?»
«State uscendo insieme?»
«Non sono affari tuoi.» Jamia arrossì leggermente. «E poi, anche se fosse, la domanda rimane questa. Suoni in un gruppo?»
Mikey si spostò nervosamente gli occhiali sul naso, per poi lanciare un'occhiata al gruppo dietro, dal quale uno degli altri componenti lo guardava preoccupato. Lui gli fece un cenno come per dirgli che era tutto apposto, poi si voltò e iniziò a camminare per il corridoio. «Forza, seguitemi, è meglio parlare di là.»
Senza dire una parola Jamia e Frank andarono con lui fino ad una porta relativamente in fondo, che si rivelò essere un camerino pieno di giacche, luci e custodie di strumenti. Jamia si appollaiò sul bordo del tavolo in metallo continuando a fissare insistentemente Mikey, il quale non appena si ebbe chiuso la porta alle spalle ci si poggiò, battendo nervosamente col piede a terra. Frank rimase in piedi con le mani infilate in tasca, aspettando che uno degli altri due parlasse. Non riusciva a districare il garbuglio dei pensieri nella sua mente, sentiva un'immotivata ondata di rabbia per il fatto che non gli avesse mai detto nulla riscaldarlo da dentro, ma era anche contento per lui. Eppure, non riusciva a togliersi dalla testa il dubbio che lo avesse tenuto volontariamente all'oscuro di tutto. «Allora?» esordì Jamia.
«Non prendetevela con me se non vi ho detto nulla. Insomma, non vado a sbandierare ai quattro venti tutta la mia vita. Però sì, mi dispiace che l'abbiate scoperto in questo modo, avrei preferito dirvelo io anche se dubito l'avrei mai fatto.»
«Da quanto tempo è che suoni in un gruppo?»
«Due anni, praticamente due anni.» ammise lui, abbassando leggermente il capo. Due anni. Frank non poté fare a meno di guardarlo. Si conoscevano dall'inizio del liceo, quando avevano capito che entrambi si sarebbero ritrovati pressoché soli se non avessero in qualche modo beneficiato della compagnia dell'altro. Si erano sostenuti a vicenda in una qualche maniera, ma comunque lui non ne aveva saputo nulla. Nessun accenno, nessun riferimento. Frank si stuzzicò il labret. «Forse un po' meno, ma comunque il periodo è quello. I ragazzi sono fantastici, mi sono trovato bene sin dall'inizio. E poi mi piace fare musica con loro.»
«Perché non ce ne hai mai parlato?» domandò senza accorgersi di sembrare più insolente di quanto volesse effettivamente essere. «Insomma, ci conosciamo abbastanza bene ormai, avresti potuto anche dircelo.»
«Frank, sai chi sono, sono sempre lo stesso Mikey che viene a scuola da te e ti conosce qualche anno. Non sono il tipo di persona che va a dire ogni cosa che gli capita al primo che passa, non è il mio carattere, non è il mio modo di fare.»
«Con noi è diverso» insisté il moro. «Non siamo di certo degli sconosciuti qualunque. Per caso non ti fidi di noi?»
«Ci sono cose nella vita che preferisci tenere per te, come se l'atto di esporle a qualcuno le indebolisse e le rendesse meno preziose, capisci?» e Frank dentro di sé capiva benissimo il concetto, lui stesso la pensava alla stessa maniera e spesso non condivideva con gli altri ciò che gli succedeva, ma in quel preciso momento non riusciva a comprenderlo. Stava tornando una pentola a vapore sottoposta ad un'eccessivo calore, sempre e costantemente sul punto di esplodere. «Non cambia tanto la persona che hai davanti, ma il valore di ciò che ti accade.»
«E noi non siamo abbastanza?»
«Frank, per una buona volta, prenditi un attimo e ragiona.» sbottò Mikey, per poi fare un lungo sospiro. «Lo capisci che ognuno ha diritto alla propria vita? Se una persona vuole tenersi qualcosa per sé, ne ha tutto il diritto. Ognuno ha i suoi segreti o come li vuoi chiamare, e bisogna rispettarli. Io non so cosa tu faccia il sabato mattina, non lo so, e di certo non vado ad impicciarmi. Sono fatti tuoi, se vuoi dirmelo bene. Non ho idea del perché Ray abbia questa assurda mania delle forchette, ma non vado là ad assillarlo per farmelo dire. Saranno fatti suoi. Ed anche tu e Jamia, se non ve l'ho detto è perché volevo tenerlo per me, e tu non puoi essere incazzato con me per questo motivo, non ha alcun senso. Ognuno può avere la sua vita e le sue passioni, non si deve sempre essere al corrente di tutto.»
Frank si passò nervosamente una mano tra i capelli. «Credevo che fossimo amici, Miks.»
«E certo che lo siamo. Siete tra i miei amici, forse tra i migliori. Gli unici con cui parlo a scuola, in ogni caso. Non credo che smetteremo di frequentarci solo per una cazzata del genere.»
«Non è una cazzata. Non una cazzata qualunque. Fai parte di una band, suoni nei locali, componi canzoni. Non è così stupida come cosa.» Frank non riusciva proprio a capacitarsene. Mikey suonava in una band da quasi due anni e lui non ne aveva saputo nulla. Si chiese quante occasioni avesse perduto. E se fosse solo geloso del fatto che lui fosse riuscito a realizzare in parte quella sua ambizione.
«Ma sarebbe altrettanto stupido smettere di parlarci per questo.» fece notare lui, riprendendo la sua solita calma. Jamia li osservava a braccia conserte, analizzando la situazione. «Ammetto di essermi sbagliato, forse non è stato corretto da parte mia non dirvelo, ma ora lo sapete. Sono pur sempre fatti miei, e se vi può consolare lo sanno solo i miei e Gerard. Frank, certo che sei un mio amico, ma abbiamo cominciato ad entrare in confidenza solo quest anno, prima ci scambiavamo poche parole, solo ci sedevamo vicini e studiavamo insieme in biblioteca. Su questo credo che tu sia d'accordo con me.»
Frank non disse nulla, si limitò ad annuire. Non riusciva a capacitarsene, almeno non da un secondo all'altro, ma in fondo il suo punto di vista era giusto. E poi con Mikey andava veramente d'accordo, non fingeva né si sforzava. Si ricordò di Gerard e del suo consiglio di provarci e di essere un po' più accomodante e tollerante con le persone. Avrebbe potuto cominciare da quel momento. «Okay, va bene, devo solo avere il tempo di metabolizzare il fatto che un mio amico sia parte di una band.»
«E devo ammettere che è fottutamente fantastico, anche se stancante.» disse sogghignando Mikey. «Insomma, il basso mica si suona da solo.»
«Sai che sei veramente bravo?» aggiunse Jamia, fino a quel momento rimasta zitta a guardare gli altri due.
«Ho imparato apposta per entrare nel gruppo. Comunque grazie, in fondo me la cavo bene.»
«Se cominci a fare soldi la prossima volta che veniamo qui offri tu la cena.» Jamia fece un sorrisetto. «In fondo è questo che fanno gli amici.»
«A proposito, che ci facevate qui stasera?»
«Sono fatti nostri.» lo scimmiottò la ragazza. «No, sto scherzando, eravamo venuti a vedere una mia amica, suona anche lei, nulla di che.»
«È così. Mi ha chiesto di accompagnarla ed io ho accettato.» confermò Frank. Mikey lo guardò per un istante, un'occhiata di sospetto e avvertimento che fece disconnettere il ragazzo per un attimo dal clima disteso che si era venuto a creare. Frank si ricordò del pomeriggio al parco passato con i due e Ray, di quando senza alcun preavviso Mikey gli aveva fregato una sigaretta e si era lanciato in un lungo discorsetto su suo fratello. Che se lo ricordasse anche lui? Non preoccuparti Miks, tra me e tuo fratello non c'è assolutamente nulla. La foto era bruciata, non aveva più consistenza. Non doveva più averla. Si sforzò di non pensarci, di non rovinarsi la fine della serata. Mikey aveva già distolto lo sguardo. Forse se l'era solo immaginato.
«Mi dispiace anche di non averti conosciuto meglio prima.» aggiunse titubante Frank. «Forse nulla di tutto questo sarebbe successo.»
«Forse, sì. Si può anche rimediare, che dici?» Mikey gli fece un sorrisetto, che Frank ricambiò. Non gli serviva avere una presenza fissa accanto sempre a spronarlo e ad aiutarlo, qualcuno che stesse ogni momento a sostenerlo. Almeno, non in quel senso, non da Mikey. Da quella sera gli bastò la consapevolezza che se mai avesse avuto bisogno di una persona, di qualcuno con cui parlare per avere un sostegno amico, per una qualsiasi stronzata, anche solo per ridere, avrebbe potuto rivolgersi a quel ragazzo che per lungo tempo aveva forse sottovalutato.



















A/n
Credo che ormai abbiamo capito tutti quanti che una tabella di marcia per le pubblicazioni sia totalmente inutile.
Insomma, scusate il ritardo, ma Melanie Martinez, la scuola e la depressione hanno risucchiato il mio tempo. Per cambiare discorso, ho fatto la scaletta del resto della storia, appuntandomi gli eventi salienti ed i collegamenti tra essi. E nulla. Mancano una decina di capitoli. Mi sembra così strano. Ma posso garantirvi che prima di terminare questa inizierò un'altra Frerard, sta là nelle bozze con titolo, copertina e tutto il resto ed un paio di capitoli scritti. Sono mesi che la programmo ed il pensiero di pubblicarla, idearla e portarla avanti mi esalta particolarmente.

A chi lo festeggia faccio gli auguri di Buon Natale in anticipo, bc di sicuro per Natale il prossimo capitolo non sarà pronto ma vedrò se durante le vacanze riesco a fare un doppio aggiornamento, intanto fate il conto alla rovescia perché tra due/tre capitoli succede una cosa bella ye. A proposito di Natale, per quel giorno aspettatevi una sorpresina dalla sottoscritta... Non su questa storia, ma tenete d'occhio la bacheca e le storie, detto questo io e la Gerarda ci chiudiamo la bocca :) e nulla, buon capitolo e buona vita //hxpelessaromantic

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