My All. ||Stefano Lepri||

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'Ti tratterà come un burattino, e non devi farlo, non sei costretto' 'Preferisco essere trattato come un bura... More

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Ringraziamenti
Copertina!
Nel frattempo...
Our All. ||Stefano Lepri||

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By _spicci

Non era male, dopotutto, stare lì.
Il gruppo stava sempre per i fatti suoi e non davano molta importanza alla mia presenza, tranne Matteo che, ogni volta che mi vedeva nella sala da pranzo, si agitava in continuazione. Lo si poteva notare quando cercava di parlare con gli altri: balbettava e a volte non ascoltava nemmeno quello di cui si parlava. Non che io lo facessi, per carità, ma era impossibile non ascoltarli.
Eravamo davvero in molti ed avevo pensato anche di andarmene, ma ci ripensai: avevo sempre un posto dove dormire e stare al caldo.
Inoltre, se avevo capito bene, si stava avvicinando Natale. Avevo perso il conto dei giorni e, con tutta quella neve e con i membri che cominciavano a parlare di alcuni progetti natalizi, si poteva dedurre l'avvicinamento di quel periodo di festa.
Non facevo mai grandi cose, quando ancora mi trovavo sotto lo stesso tetto dei miei genitori e di mio fratello: rimanevamo in città ed aspettavamo tutti i nostri parenti, anche se cominciarono a diminuire: i miei nonni materni mancavano uno da cinque anni mentre l'altra da due e i miei nonni paterni erano ancora vivi, ma non volevano avere a che fare con il figlio, semplicemente perché aveva commesso scelte sbagliate nella sua vita che ancora non ero riuscita a capire.
La nonna aveva tentato di dirmi cosa avesse fatto, ma mio padre era più furbo ed evitava di lasciarci da sole, il che mi faceva pensare che fosse una cosa piuttosto grave.
Giravo poco per la casa. Non volevo ricordarmi dove mi trovavo, ma era inevitabile. Rimanevo chiusa nella mia stanza a pensare, pensare e pensare; mi lavavo, mangiavo e tutto, ma pensare era la cosa che mi riusciva meglio.
Ancora non avevo avuto notizie di Stefano: continuava a nascondersi, forse, oppure stava progettando qualcosa.
Ma cosa?
Avrei voluto vederlo, però. Non ce la facevo più a restare nascosta così ed era passata solo una settimana da quando mi trovavo in quella abitazione.
Quasi quasi, avrei preferito rimanere tra i banchi di scuola: avrei continuato il mio sogno, anche se sarebbe stato complicato data la mia poca voglia di studiare. Non sarebbe importato nulla se non ci fossi riuscita, ma ci avrei tentato, ma avevo rinunciato troppo presto per via del moro.
Mi ero ritirata dall'università per Stefano, per aiutarlo, per stargli più accanto, ma era stato inutile. Avrei dovuto continuare, lasciarlo perdere ed andare avanti con il mio piccolo sogno: il problema era che era troppo piccolo per essere realizzato.
Avevo scelto Stefano per un motivo valido, ma ancora mi era ignoto: si, lo amavo ma, pensandoci meglio, non c'eravamo conosciuti per bene. Sapevamo qualcosa l'uno dell'altra, ma non tutto: ero sicura che non gli piacesse solo sparare e cavalcare cavalli, ma magari aveva qualche altro sogno nel cassetto che, purtroppo, riteneva irrealizzabile.
C'eravamo conosciuti stando insieme e, ora che sembrava che non mi amasse più, sembravamo dei perfetti sconosciuti.
Pensare a lui era inutile: non sarebbe tornato indietro con uno schiocco di dita, ma oramai era passato troppo tempo e, probabilmente, mi aveva già dimenticata.
Mi sarei dovuta arrendere, ma credevo ancora che ci fosse qualcosa: qualcosa continuava a resistere, a stare in piedi, ad avere delle fondamenta e non sapevo se fosse ciò che provavo per lui o quello che avevamo fatto insieme.
Non avevamo fatto le solite cose da fidanzatini: la maggior parte del tempo l'abbiamo passata una parte litigando, una parte cercando di salvarci.
C'era anche il viaggio ad Oxford. Forse, era stato proprio quello a farmi capire quanto ci tenesse a me: era venuto fino in Inghilterra per incontrarmi e non mi sarei mai dimenticata di quel gesto. Era stato, probabilmente, l'evento che ci aveva legato di più.
Avrei voluto passare altri di quei momenti insieme: magari avremmo fatto un viaggio da qualche altra parte del mondo che sarebbe piaciuta ad entrambi, avremmo continuato con questa storia, saremmo stati insieme.
Lui mi voleva fuori da questo guaio, ma non si sarebbe liberato di me facilmente: avrebbe sempre sentito parlare di me. In ogni caso, mi sarei fatta sentire, mi avrebbe sentita nominare per qualcosa che avevo fatto, ma non sapevo ancora per cosa.
Di sicuro, anche se avevo una grande chance, non avrei abbandonato quella storia: era ciò che voleva Stefano, ma non sarei stata ai suoi voleri. Non avrei combattuto per me, ma per lui senza che ne venisse a conoscenza: si doveva salvare, non poteva davvero pensare che potesse riuscire a risolvere tutti i suoi guai senza un aiuto. Inoltre, ero io che lo aiutavo, non qualcuno che non ci teneva a lui.
Nonostante mi avesse lasciato, nonostante mi avesse fatto soffrire, piangere in solitudine e tanto, sentire sola, continuavo ad amarlo come la prima volta.
Agli inizi, non mi ero innamorata di lui. Mi dicevo che era una delle persone più orribili che avessi mai conosciuto, un arrogante e presuntuoso che pensava di poter ottenere qualunque cosa, aspettando. Invece, era molto più simile a me di quanto mi aspettassi.
Entrambi avevamo vissuto momenti indimenticabili, negativi. Eravamo cresciuti in modo sbagliato, non come dei normali bambini, ma come oggetti da buttar via.
Nessuno dei due avrebbe voluto questo, ma a volte non riuscivo a capirlo.
In quel preciso momento, circondata dalle mura colorate della stanza, volevo soltanto che fosse lì con me, che mi baciasse, che mi stringesse al suo petto: volevo che mi desse ogni singolo tipo di affetto, in modo da sentirmi sempre protetta da lui.
Era così strano non vederlo: era come se qualcosa se ne fosse andato troppo in fretta, come un soffio di vento, lo stesso che lo aveva portato via da me la prima volta, quando avemmo la nostra prima discussione al parco, dove lui aveva ragione.
Forse non avevo fatto una scelta saggia: rifugiarsi dal nemico era l'ultima cosa che Stefano potesse pensare e, forse, non mi avrebbe mai trovata.
Dannazione a me, oh.

Improvvisamente, sentii il mio telefono vibrare sul bianco lenzuolo del letto.
Ero seduta sopra al mobile, a gambe incrociate e con lo sguardo rivolto al tessuto bianco.
Sbiancai appena vidi il suo numero sullo schermo; oramai, lo avevo imparato a memoria.
Era in silenzioso, perciò nessuno sentiva il suono della suoneria. Speravo che nessuno si mettesse ad origliare alla porta, anche perché presi un respiro profondo e risposi.
'Pronto?' Riuscii solo a dire, con un groppo in gola.
Avevo paura di sentire la sua voce: non sapevo il suo stato ed avrei voluto tanto saperlo.
Non mi aspettavo nemmeno una sua chiamata, il che rendeva tutto ancora più strano.
'Ciao, Alice' sospirò il moro ed immaginai che si stesse passando una mano tra i capelli.
Quando lo incontrai per la prima volta, aveva i capelli biondi e non avevo ancora capito perché se li era tagliati.
'Come.. come stai?' Domandai, anche se non ero più sicura di ricevere una risposta.
Mi avrebbe fatto male in entrambi i casi: se fosse stato bene, significava che mi aveva dimenticata e si era lasciato alle spalle tutto quello che era successo tra di noi; se fosse stato male, invece, non avrebbe fatto altro che accertare il mio pensiero, il che mi faceva stare ancora peggio di prima.
'Sto di merda, Ali. Tu piuttosto, come stai?' Quasi sussurrò.
Perché allora mi aveva lasciata?
Saremmo stati entrambi meglio se fossimo ancora insieme, invece aveva preso la decisione peggiore che potesse prendere.
Ancora quel nomignolo. Non capivo se lo facesse apposta, oppure veramente non si ricordava che era lo stesso modo che usava mio fratello per chiamarmi.
Chissà cosa sarebbe accaduto se fosse ancora vivo.
'Di certo non bene' sospirai, sorridendo leggermente.
Era così brutto parlare per telefono. Sembrava che fossimo così lontani quando, invece, non lo eravamo affatto.
Sarei voluta andare a casa sua. Non me ne sarebbe importato nulla di quello che si era imposto: lo avrei baciato e sarei rimasta lì, ma era una cosa così stupida.
'Mi dispiace, ma penso che sia meglio per entrambi' riflettè ed avrei voluto gridargli contro.
'Stai dicendo davvero, Stefano? Sono stanca di stare così male per te. Non puoi capire cosa sei riuscito a creare in me in così poco tempo. Perché non ritorni alla realtà? Perché stai di merda? Te lo sei chiesto?' Gli chiesi, cercando di non urlare.
L'ultima cosa che volevo era farmi sentire dagli altri, specialmente da Giuseppe. Fortunatamente avevo chiuso la porta, altrimenti sarebbe entrato senza bussare.
'Sto di merda perché ti sono capitato io, e non qualcun altro migliore di me. Perché non ti ostini a capirlo? Ti ho lasciata, come dici tu, per il tuo bene, solo per te. Vuoi davvero stare con uno come me, che si trova dentro un guaio da due anni e non ne è ancora uscito? Vuoi questo, Alice?' Domandò nuovamente.
Era bello sentire la sua voce, ma sarebbe stato ancora meglio se si fosse trovato davanti a me, evitando quell'oggetto elettronico tra di noi.
'Se il mio stare bene sei tu, io devo stare con te. E non mi interessa di Giuseppe e degli altri e come finirà tutto questo, ma voglio stare con te: non mi importa del resoconto, almeno sarò insieme a te. E che significa come dico io? Non mi hai lasciata, per caso?' Continuai.
Gli avrei voluto tirare tanti di quegli schiaffi, come quella volta al fiume. Chissà se se lo ricordava ancora, ma non mi sarei mai dimenticata dei momenti in cui c'era lui.
'Non ho mai detto di averti lasciata' rispose e finalmente erano terminate le domande, anche se ne avrei fatte altre.
Certo che lo aveva fatto.
Cos'altro era accaduto, altrimenti?
Era così complicato e mi faceva impazzire.
'Te ne rendi conto di quello che stai dicendo?' Mi interruppi, perché non avevo voglia di litigare con lui. 'Almeno, ehm.. ti sei trovata qualcun'altra con cui passare il tuo tempo?' Azzardai.
Questa volta, non volevo sapere la risposta. Speravo vivamente che non fosse così, ma tutto era possibile.
'Si' disse. 'E si chiama Alice Cinquegrana. La conosci?' Chiese e non potei fare a meno di sorridere.
Nonostante tutto, ci teneva a me. Lo potevo capire, ma faceva troppo male quella lontananza.
'No, dovresti presentarmela. Sai, ho sentito dire che è così antipatica e poco raccomandabile, devo proprio capire cosa ti abbia colpito di lei' dissi e sentii che stava ridendo.
Dio, quanto mi era mancata la sua risata. Sarebbe stato ancora meglio se mi avesse mostrato il suo magnifico sorriso, speciale in confronto agli altri e sincero.
'Mh, io invece la amo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Le persone si sbagliano sul suo conto' rispose.
Un calore pervase l'interno del mio corpo, come se fosse lì e mi stesse abbracciando più forte che poteva.
'Ho sentito anche che è innamorata di un certo Stefano Lepri, che però l'ha lasciata perché vuole farla star male. Confermi?' Domandai.
Lo avevo detto solo per sentire il suo parere, per confermare i miei dubbi, non perché veramente lo pensavo. Non lo faceva apposta a farmi male, ma ero troppo innamorata di lui per non soffrire di quella distanza.
'Qua ti devo contraddire, perché questo Stefano ama così tanto questa ragazza perché è la sua ancora di salvezza, la sua roccia, l'unico amore della sua vita, e non è vero che la sta facendo soffrire apposta, perché anche lui sta soffrendo molto. Vorrebbe baciarla in questo momento, ma deve trattenersi altrimenti la cercherebbe ovunque si trovi' continuò.
Cavolo, quanto lo amavo.
Forse avrei dovuto dirgli che Giuseppe mi stava ospitando, ma non volevo che urlasse dal telefono per quello che avevo deciso di fare. In fondo, mi aveva lasciata per questo, ma ero troppo testarda per ascoltarlo.
Sorrisi e potei percepire che anche lui avesse fatto lo stesso.
'Mi manchi, Alice' disse.
Cercai di trattenere una lacrima, perché anche a me mancava da morire. La cosa che faceva più male era che ci mancavamo a vicenda e che stavamo troppo male separati, ma lui non ci era ancora arrivato.
'Non sai quanto mi manchi tu, Stefano' aggiunsi, sospirando.
Tolsi per un attimo il telefono dal mio orecchio e notai che avevo solo salvato il suo numero, senza aggiungerci un nome. Lo riposi nuovamente sul mio orecchio, pensando al nome che avrei dovuto dargli, ma un semplice nome in rubrica non poteva essere così importante, in confronto a quello che provavo a dire il suo nome.

'Ah, volevo chiederti..' ma qualcosa mi fece sobbalzare ed interrompere la sua frase. 
Qualcuno stava bussando alla porta della mia stanza ed avevo una mezza idea di chi fosse.
'Alice, sono Giuseppe. Vorrei chiederti una cosa. Apri' ordinò, continuando a picchiettare sulla porta.
'Arrivo' dissi, non badando al fatto che Stefano fosse ancora al telefono.
'Alice, dove cazzo sei?' Domandò Stefano dall'altro capo, furibondo.
Non sapevo che rispondergli. Se aveva sentito la voce, ci sarebbe arrivato da solo.
'Questa è una conseguenza della tua scelta' risposi, chiudendo poi la chiamata.
Mi faceva malissimo trattarlo in quel modo, ma era vero. Se non mi avesse cacciata, sarei in casa sua, con lui, insieme, invece sono nella casa del nemico e stavo andando ad aprirgli la porta.
Girai la chiave e lo trovai appoggiato di fianco alla porta. Mi sorrise, ma non in modo furbo e malizioso, ma.. spontaneamente? 
'Ehm, volevo chiederti una cosa' disse, piuttosto imbarazzato.
'Questo lo avevo capito' risposi, con le braccia incrociate al petto.
E dai Alice, con calma. Senti prima che cosa vuole.
Non ero mai calma alla sua vista.
Come facevo a dimenticarmi che lui voleva il mio.. il mio ex ragazzo morto?
Chiamarlo ex faceva ancora più male.
'Comunque.. volevo chiederti, dato che oggi è la vigilia di Natale, se volessi venire a cenare fuori, con me' sospirò, come se sapesse già la risposta.
Gli volevo dire subito di no, ma ci riflettei un momento.
In fondo, Stefano mi aveva lasciata: nonostante gli mancassi e tutto, mi aveva fatta stare così male e, forse, mi sarei dovuta vendicare. Non la stessa vendetta di Angela, ma una vendetta ancora più dolorosa. Non lo avrei ucciso, non ci sarei mai riuscita e non volevo nemmeno, ma gli avrei fatto capire quanto dolore stessi provando.
Pessima idea. Qua succede qualcosa, non ci andare.
Non pensavo che fosse la vigilia di Natale. O almeno, non ci avevo fatto caso. Era strano non stare con le solite persone, ma l'essere abitudinari non era nelle mie caratteristiche: volevo la novità, l'avventura, la libertà, cose che con Stefano si erano realizzate, ma lui non aveva ancora capito che era riuscito a darmi qualcosa che nessun altro poteva darmi: una vita.
'Mh, per me andrebbe bene. Ci saranno anche gli altri, giusto?' Domandai, dato che non lo aveva precisato.
'Loro passano questo periodo in famiglia, non qui. Di solito, ci siamo solo io e Angela qui, ma..' lo fermai, alzando la mano.
Non volevo che mi ricordasse ancora che l'avevo uccisa. L'avevo capito, non c'era bisogno di ripetermelo all'infinito.
Quindi saremmo stati solo io e lui.
Visto? C'era il tranello.
Non accettare, ti prego.
'Va bene' annuii, inespressiva.
Ma allora sei stupida, eh.
Di certo non volevo che pensasse male, ma volevo far capire al moro che cosa avesse combinato.
Era da egoisti, lo sapevo, ma non meritavo di soffrire solo io. Sapevo che stava male, ma non ci teneva quanto me a tutto quello che avevamo costruito.
Indossavo già la mia felpa e il mio adorato jeans blu. Non mi sarei messa qualche vestito elegante per questa cena. Anche se, pensandoci bene, avevo comprato un vestito per il ballo dell'Università, quando io e Stefano avevamo deciso di scappare dalla festa per poter fare equitazione insieme.
Non lo avrei indossato per andare a cena con Giuseppe, ma assolutamente no: i ricordi legati a Stefano non dovevano essere collegati anche al suo nemico.
'Io sarei già pronta. Non ho alcun vestito elegante da mettermi, e non l'avrei messo lo stesso' lo informai, dicendogli una mezza verità.
'Allora possiamo andare' disse, sorridendomi ancora.
Non potei fare a meno di ricambiare il sorriso.
Forse dovevo tenere le divergenze da parte: non potevo continuare così per tutto il tempo.
Mi aveva invitata a cena fuori, cosa che Stefano non aveva fatto e che forse non avrebbe mai voluto fare.

Il tragitto in macchina durò poco, ma non ci fu una parola tra di noi.
Per la prima volta, potevo percepire il suo imbarazzo; non capivo se, invece, io fossi così o meno, però mi ritornò in mente una cosa.
Stavo uscendo con la persona che aveva fatto uccidere mio fratello, che non sopportava Stefano e che aveva detto che non avrebbe avuto pietà per me.
Non riuscivo a non dimenticarmi di queste cose, era tutto troppo doloroso da dimenticare.
Giuseppe parcheggiò l'auto davanti ad un ristorante. Scesi dal mezzo e la stessa cosa fece lui.
Sembrava un posto piuttosto costoso, persino per uno come lui. Chissà come guadagnava soldi: forse usando le persone per i propri scopi, ci riusciva benissimo.
'Andiamo?' Chiese.
Stava tentando di far essere il tutto più normale possibile ed apprezzavo lo sforzo.
Annuii ed entrammo in quel locale.
Dire che era grande era un eufemismo: era davvero enorme. I tavoli rotondi, accompagnati dalle tovaglie bianche, arredavano quel posto. Inoltre, c'erano due piani legati da una scala di legno. Il posto era piuttosto affollato, ma c'era ancora qualche tavolo libero.
Un ragazzo, più o meno intorno alla mia età, si avvicinò a noi. A giudicare dal suo abbigliamento, doveva essere un cameriere.
'Un tavolo per due, per favore' gli disse Giuseppe, senza nemmeno dargli il tempo per parlare.
Lui annuì e ci fece accomodare ad uno di quei tavoli vuoti.
Prese subito le nostre ordinazioni, anche se lui ordinò per entrambi due pizze ed azzeccò anche quella giusta per me.
'La situazione è più complicata di quanto pensassi' sospirò, quando il cameriere se ne andò.
Aveva completamente ragione.
Non tutto poteva andare secondo i suoi piani, doveva capire anche chi aveva di fronte e come comportarsi con quella.
'Partiamo dal motivo per cui mi hai portata a cena fuori: non ci credo che lo hai fatto solo perché è la vigilia di Natale' dissi, tanto per aprire un argomento.
Sorrise.
'Mi sembra ovvio che non l'ho fatto per questo. Volevo solo stare un po' con te: capisco quanto stia soffrendo, ma non ho intenzione di vederti sempre così' continuò.
Era una cosa incoerente, a dirla tutta. Mi faceva male la testa per le cazzate che stava dicendo.
'Avevi detto che non avresti più avuto pietà per me; eppure, mi hai invitata a cena e ti preoccupi del mio stato. E poi, come fai a sapere come ci si sente? Ti sei mai innamorato così tanto di qualcuna a tal punto da farne la tua ragione di vita?' Chiesi.
Cercavo di placare la rabbia che sentivo dentro, ma non era facile. Non capivo se stesse cercando di irritarmi oppure di comprendermi veramente, era difficile capirlo con uno come lui.
'Ti sei per caso dimenticata dei messaggi che ti inviavo? Alice, io mi ero innamorato di te, e non sapevo nemmeno come fosse accaduto. Forse perché sei così coraggiosa, tieni tutto dentro: sei diversa in confronto alle altre, capisci?' Aggiunse.
Era strano che, quelle parole, non mi facessero alcun effetto: non sentivo brividi, il cuore che mi batteva all'impazzata o qualche altra cosa del genere.
Era ovvio che lui non fosse Stefano, era totalmente altro. Quelle sensazioni me le faceva provare solo lui e nessun altro. Sapere che non avrei amato nessun altro se non lui era strano, perché era la conferma che dovevo stare con lui, altrimenti non avrei più sentito quei sentimenti.
'E ora? Cosa pensi di me?' Domandai, ignorando la "dichiarazione" che mi aveva fatto.
Mi ero completamente dimenticata di quei messaggi, forse perché non erano di Stefano.
'Penso sempre la stessa cosa, e credo ancora di essere innamorato di te. Ma, dal mio punto di vista, hai fatto la scelta sbagliata'
'Cosa intendi?' Continuai.
Non poteva dire sul serio.
Era per quello che mi aveva invitata a cena, per farmi stare con lui? Per costringermi a stare dalla sua parte? Era impazzito?
'Se avessi scelto me, ti avrei trattato come una regina e avremmo governato questa città; invece, hai deciso di stare con quello sfigato e di metterti contro di me. Sai, ora avresti di nuovo libera scelta' mi ricordò.
Lo sapevo. Era davvero riuscito ad arrivare fino a questo punto: eravamo andati a cena fuori solo perché mi voleva dalla sua parte. Non aveva più Angela e le poche ragazze che facevano parte del suo gruppo erano della compagnia segreta.
Sospirai e mi trattenni dal gridare.
Era stata una pessima idea quella di venire a cena con lui, pessima.
Qualcuno ha di nuovo ragione, però tu niente oh.
'Non pensavo che potessi arrivare a questo punto. Quasi quasi non ci credo neanche che ti sia innamorato di me. E, per la cronaca, sai benissimo che tra te e Stefano sceglierei sempre Stefano. Ci sono tanti motivi per cui starei dalla sua parte, avrei una lunga lista da farti' lo informai.
Stefano era meglio di lui in tutto: sapeva amare, non costringeva le persone a stare dalla sua parte, aveva un cuore, riusciva ad essere serio, comprensivo e simpatico allo stesso tempo: era semplicemente lui ed amavo troppo la sua semplicità per lasciarmelo scappare.
Avevo una conferma, ora: non dovevo aspettare la mossa di Stefano, sarei dovuta andare io da lui. Non mi interessava la storia del "il maschio fa il primo passo": io e lui non eravamo una di quelle coppiette normali.
Fortunatamente, arrivarono le nostre pizze.
Non parlammo più di tanto e volevo solo tornare nella mia stanza e riporre, ancora una volta, il mio abbigliamento all'interno della valigia.

'Mi dispiace, non volevo che andasse così' disse Giuseppe, quando avevo finito di riporre tutto nel grande oggetto.
Scossi il capo, chiudendo la valigia e prendendola.
Era già tanto se non gliel'avevo data in faccia, mi stavo trattenendo troppo.
Mi bloccò il passaggio per uscire dalla stanza. Nonostante fosse un bastardo, era piuttosto grosso per poter non far passare qualcuno.
'Ti prego, rimani qui. È buio pesto, dove vorresti andare?' Mi fece riflettere.
Sospirai, oramai ero pronta a gridargli in faccia. Non ce la facevo più.
'Non me ne frega un cazzo della tua generosità, voglio solo andarmene da tutta questa merda!' Gridai.
Non sapevo se ci fossero ancora altre persone all'interno della casa, ma non mi importava.
Forse stavo esagerando, ma aveva cercato di giocare con i miei sentimenti, ma aveva fallito miseramente.
Lo spinsi con tutta la forza che avevo e riuscii a spostare un suo braccio dal muro, permettendomi di passare.
Mentre stavo per raggiungere la porta d'ingresso, una ragazza si affacciò dalla sua stanza. Appena incontrai il suo sguardo, mi sorrise ed annuì, facendo capire che stava dalla mia parte.
Poco dopo, capii che era la stessa ragazza che si trovava ad Oxford.
Che ci faceva lì?
Una volta raggiunta la porta, la aprii e Giuseppe mi stava continuando ad inseguire.
Dopo essere fuori, mi bloccò il polso e mi fece mollare la valigia, facendole fare un tonfo per terra.
'Potrò anche essere uno stronzo, ma sono davvero innamorato di te, Alice' sussurrò.
Eravamo davvero troppo vicini e la sua presa aumentava sempre di più.
'Lasciami, Giuseppe! Mi stai facendo male, cazzo!' Continuai a gridare, nonostante la vicinanza.
Anziché mollare la presa, poggiò le sue labbra sulle mie.
Cercai di allontanarmi da lui, tentando di togliere il suo polso e le sue labbra da me, ma non faceva altro che seguire le mie mosse.
Non volevo baciarlo, ma era più forte di me.
Le sue labbra non mi davano alcun piacere: erano solo labbra normali, mentre le labbra di Stefano erano tutt'altra cosa.
'Ti ha detto di lasciarla!' Gridò una voce che fece separare Giuseppe da me.
Mi voltai e vidi una figura che si stava avvicinando a noi. Appena fu abbastanza vicina, attraverso la luce dei lampioni, riuscii a riconoscere chi fosse.
Ero felice di vederlo, gli sarei voluta saltare addosso, ma c'era un problema: aveva appena visto la scena e i suoi occhi erano rossi, ma quello non era un rossore provocato da un pianto.
Dopo tempo, Stefano si trovava davanti a me, ma ubriaco.

ANGOLO AUTRICE:
Io volevo ringraziarvi per le 14k views, ma siamo a 15k lol.
Voi non potete capire quanto vi amo, aw.
Dylan è a Roma e io non sono di Roma..
Chiunque lo veda, gli dica 'Ti saluta Carla, e forza Stalia'
Okkei, mi ritiro.
Al prossimo capitolo!

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