dear psychologist 【 frerard 】

Door hxpelessaromantic

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« sai, succede molto spesso che il paziente si innamori del suo psicologo, è un meccanismo involontario. ma c... Meer

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Door hxpelessaromantic

Quasi 6000 parole.
Sì, non so come sia possibile.
Non ammazzatemi.

Il ragazzo aprì la bocca un paio di volte nel tentativo di dire qualcosa, ma dalle labbra gli uscì solo una breve, sterile emissione di fiato.
Ma in fondo cosa avrebbe dovuto dire? "Complimenti"? "Auguri e figli maschi"? "Belle bocce, chissà se ti stenderanno il birillo"?
E poi se lo ricordava bene cosa era successo -o meglio, quasi successo- nello studio l'ultima volta che si erano visti. Poteva rigirarci intorno più e più volte, invertire i fotogrammi o far finta che il tutto fosse stato solo un'enorme coincidenza o un altrettanto grande scherzo del destino. Ma era innegabile, se i loro visi si fossero avvicinati un po' di più, se avessero potuto respirare lo stesso fiato, se Frank gli fosse stato tanto vicino da poter contare una ad una le lievi lentiggini che aveva sulle gote altrimenti ceree, chissà cosa sarebbe successo. Frank ultimamente si ritrovava a rivivere quei pochi secondi nei momenti meno aspettati e opportuni, gli sembrava di avere un sassolino nella scarpa. Un pensiero piccolo, ma nel suo essere insignificante ti mordeva dolorosamente la carne finché tu avessi trovato un modo per liberartene. Ma era un pensiero piccolo e piacevole, da conservare in tasca una volta levato dalla scarpa. Una volta a pranzo si era pure ritrovato ad arrossire nel scacciarlo via, e si era dato uno schiaffo mentale, mentre Mikey lo guardava come di suo solito con fare impassibile. Si ritrovava spesso e (mal)volentieri a chiedersi se, effettivamente, non desiderasse quel contatto mai avvenuto.
Possibile che Gerard non avesse neanche un po' pensato a quella scena? O magari era tutto frutto della mente di Frank e sarebbe solo passato per pazzo facendoglielo notare? E se non fosse mai accaduto? In caso contrario, avrebbe dovuto ricordarglielo?
Anzi no, con Gerard le figure di merda avrebbero dovuto già essere capitolo chiuso da tempo. Si stava facendo troppe paranoie e si stava scollegando dalla realtà, cosa che negli ultimi tempi gli accadeva pure troppo spesso; certo, a ragione, ma comunque doveva distrarsi di meno. Inspirò col naso tornando coi piedi sulla terra, incapace di non restare a fissare Gerard e Lindsey, quest'ultima con la testa poggiata sulla spalla del ragazzo e gli occhi semichiusi, mentre lui guardava Frank assorto, i loro capelli che scossi dal vento autunnale si fondevano, un rosso e nero in continuo mutamento. Un po' come la stabilità di Frank, eterea e precaria. Il ragazzo in quel momento si sentiva come se gli avessero appena tirato un pugno.
«Uhm... Be', allora piacere Lindsey... Way.» aggiunse, cercando di fare lo scherzoso, mentre in realtà si sentiva parecchio nervoso. Ma perché? Forse aveva ancora in mente il viso della madre, stanco e sconfortato. Sentì l'ombra di un groppo in gola quando ci ripensò. O forse non si era ancora ripreso dalla rissa di prima.
«Oh no tranquillo» Lindsey rialzò il viso e rise, anche se ora quella risata, per quanto potesse essere spontanea, gli suonava quasi antipatica. «Non sono proprio sicura che si andrà fino a certi livelli.»
«Ah no?» ribatté Gerard, alzando un sopracciglio in un'espressione di dubbio.
«Eh no.» Lindsey seguì con un dito il profilo del suo naso e gli sorrise, facendo sorridere anche il ragazzo. Come il primo raggio di sole a primavera che fa schiudere il bocciolo, qualcosa si aprì nel petto di Frank, pompandogli schegge di ghiaccio e fuoco nel sangue. Improvvisamente Lindsey non gli parve più solo un'infermiera che lavorava in un liceo in una piccola cittadina del New Jersey. Ora sembrava un personaggio in più, uno schizzo d'inchiostro dove la penna si era rotta. E sentiva una specie di astio nei suoi confronti, un astio che si accese quando Gerard e Lindsey si baciarono ancora.

Quello non era astio.
Era gelosia.

Al primo impatto Frank pensò che fosse impossibile, che in fondo era assurdo che provasse un sentimento tale per un ragazzo che in fondo altro non era che il suo psicologo. Ma non c'erano alternative, per quanto il moro si stesse sforzando di nasconderlo a se stesso o di trovare una via di fuga. Non riusciva semplicemente a sopportare il fatto che Lindsey lo stesse guardando con tenerezza e gli stesse stringendo la mano, la stessa mano che pochi giorni prima aveva tranquillizzato Frank, lo aveva consolato e lo aveva aiutato.
Doveva andarsene, non poteva rimanere lì un minuto di più o chissà cosa avrebbe fatto o pensato. Borbottò un saluto e corse via sul marciapiede senza voltarsi, mantenendo un passo sostenuto fin quando non ebbe svoltato l'angolo dell'edificio. A quel punto si fermò, poggiandosi al muro e mettendosi una mano tra i capelli, tirando tra le dita le ciocche scure. Cosa gli era preso? Perché aveva avuto una reazione del genere?
Frank non si seppe rispondere e come un automa aprì la tasca posteriore dello zaino, tirando fuori un pacchetto di sigarette e l'accendino. Ne sfilò una, poi la poggiò tra le labbra e la accese, lasciando che la sensazione bruciante del fumo gli dissipasse la confusione.
Rimase poggiato al muretto con una mano in tasca ed il cappuccio in testa, prendendo boccate di fumo e cercando di pensare razionalmente. Okay, aveva avuto una reazione esagerata, però un motivo ci doveva essere. Capì con inattesa e trepidante ansia che forse, molto forse, il loro rapporto avrebbe potuto rischiare di diventare qualcosa più del semplice legame psicologo-paziente. Si ricordava quando a cena aveva quasi rischiato di strozzarsi e aveva pensato a Gerard, che magari avrebbe potuto fargli la respirazione bocca a bocca. O la volta precedente nello studio, quando effettivamente si erano quasi baciati. E lui che ultimamente era troppo tra i suoi pensieri, che era così bello e così deciso ad aiutarlo, gli aveva stretto la mano e sussurrato parole di conforto... Scosse la testa, chiudendo gli occhi.
Sebbene gli avrebbe potuto far piacere, cosa che effettivamente pensava e lo intimoriva, non poteva permettere che accadesse. Gerard era fidanzato, e poi aveva già abbastanza problemi. Non aveva la minima voglia di pensare al livido sbiadito che aveva in faccia o al litigio coi suoi. Inoltre quel sentimento gli faceva paura, per quanto infimo e sconosciuto. Non lo aveva mai provato, e poteva far male. Ma Frank non voleva sanguinare ancora. Doveva stroncare quello che poteva nascere ancora prima che potesse sbocciare.
Vide come in terza persona se stesso sfilare dalla tasca dei jeans il telefono, sbloccarlo ed aprire la rubrica. La fece scorrere e si bloccò, fermandosi solo un attimo prima di inspirare e cliccare sul nome. Al quarto squillo rispose.

«Pronto?» fece una voce femminile dall'altra parte del telefono, leggermente attutita dall'apparecchio. Frank dovette prendere una profonda boccata di fumo e buttarla fuori, prima di riuscire a convincersi di non attaccarle in faccia e fare come se nulla fosse accaduto.
«Ciao Jamia, sono Frank.»
«Lo avevo riconosciuto che eri Frank.» replicò lei allega. «Come va? Ti serve qualcosa?»
«Ecco, effettivamente mi chiedevo una cosa.»
«Va bene, dimmi pure
Frank rivolse uno sguardo al cielo. Si stavano addensando alcune nuvole, ed in lontananza poteva sentire alcune risate leggere e lo sbattere di una portiera. Fallo. Fallo anche se non vorresti.
«Per caso hai da fare domani pomeriggio?»

Frank si issò per bene lo zaino in spalla e uscì dall'aula avviandosi all'ingresso della scuola, dove si era dato appuntamento con Jamia per quel pomeriggio. Alla fine della chiamata lei aveva accettato, gli era sembrata pure felice della proposta. Non la aveva vista per tutto il giorno, ma il pensiero di ciò che stava per succedere lo aveva perseguitato dalla sera prima. Non ne aveva parlato con Mikey, non sapeva come l'altro avrebbe potuto reagire. E non gli serviva altra confusione . Stava facendo la cosa giusta con quell'uscita?
E poi la vide, accanto alla porta d'entrata in vetro con il cappottino di lana cotta blu mentre si guardava intorno, poggiata accanto alla parete. Il cuore gli cominciò a battere. Non per la trepidazione, ma per il timore di star commettendo qualcosa di sbagliato. Poi Jamia si girò verso di lui, lo guardò e sorrise. Ormai non c'era più tempo per i ripensamenti.
«Ciao.» lo salutò lei mentre si avvicinava. Aveva i capelli sciolti e una camicetta bordeaux infilata in una gonna nera. Per un attimo Frank si chiese se non avesse freddo alle gambe.
«Ciao. Andiamo?» propose lui, mordendosi il labbro ed eludendo il contatto visivo. Il giorno prima Jamia gli aveva detto che aveva una mezz'idea su dove andare, e lui le aveva lasciato carta bianca. Si impose di ricacciare indietro i dubbi, che quel pomeriggio si sarebbe dovuto solo distrarre dalla sua situazione attuale. E be', anche cercare di capire che cosa gli stesse dicendo il cervello, ché da solo a quanto pare non riusciva a capirlo.
Nel frattempo Jamia aveva risposto affermativamente ed erano usciti dalla scuola. Sul marciapiede fecero varie svolte e il ragazzo riconobbe la strada per la stazione. Durante il cammino discussero della giornata scolastica e del fatto che la scuola stesse diventando più difficile, ora che i primi tempi erano passati, ma non toccarono argomenti più delicati o più profondi. In un quarto d'ora giunsero alla stazione -un vecchio edificio grigio e gremito di gente- e Jamia si diresse verso il parcheggio degli autobus, puntando alla corriera.
«Almeno mi puoi dire dove stiamo andando?» chiese Frank mentre lei praticamente lo strattonava verso l'autobus.
«È una sorpresa.» ribatté lei laconica, percorrendo a grandi passi il marciapiede. «Però se ti può essere utile scenderemo alla terza fermata.»
Frank strizzò gli occhi cercando di decifrare la lista delle fermate scritte sul cartello, ma si ritrovò spinto sui gradini dell'autobus da una Jamia che rideva. Pensò che fosse carina, eppure gli tornò improvvisamente alla mente di quando Gerard era scoppiato a ridere al bar, quando assieme a Bob gli aveva detto che da più piccolo lo sfasciacarrozze aveva abusato di violenza su una povera cassetta della posta. Si sentì riavvolgere per un attimo dal calore del bar e della risata di Gerard. Quella risata era bella. E anche Gerard lo era.
«Tutto bene?» sentì la voce di Jamia porgergli la domanda, così come se fosse appena riemerso da sott'acqua si girò verso di lei, accorgendosi di essersi impalato sui gradini della corriera.
«Io... Sì, perché?»
«Ti sei bloccato sui gradini improvvisamente.» Frank non poté fare a meno di darle ragione, eppure voleva farle notare che era lei a continuare a spintonarlo. In ogni caso, mosse i piedi e salì il resto della scaletta. «Ah già, scusami.»
«Non devi mica scusarti.» replicò lei seria, guardandolo con gli occhi marroni. Erano belli. Ma erano abbastanza per offuscare quelli di Gerard?

Per tutto il viaggio chiacchierarono di argomenti futili, giusto per distrarsi un po'. Frank le raccontò di Bob e della cassetta sfasciata e lei gli fece un resoconto di quando era andata in campeggio con la famiglia e avevano incontrato un branco di cinghiali. Quando la corriera arrivò alla terza fermata il tempo era volato; Jamia gli fece cenno di scendere, così Frank si alzò dal sedile e la seguì fuori. Si sentì rilassato, la ragazza era una piacevole compagna e gli risultava facile non pensare a Gerard, sebbene gli spuntasse in mente nei momenti meno opportuni come un pop-up fuori da un bigliettino di carta.
«Che posto è?» chiese però guardandosi intorno, accanto a Jamia. Si trovava davanti una specie di istituto in mattoni con un enorme cortile pieno di gente e festoni, con un clima di festa molto coinvolgente. Si sentiva la musica da lì, a tratti soffocata dalla confusione creata dalle persone.
«Questa è un'accademia artistica, e come puoi vedere oggi fanno una specie di mostra.» spiegò lei, cominciando ad avvicinarsi all'ingresso, segnato da alcuni palloncini colorati. «Fanno vedere le opere degli studenti, per così dire. È un posto carino, ho letto di questa fiera su un giornale a casa e volevo venirlo a vedere da un po' di tempo. Spero possa piacerti.»
«Sì, certo.» rispose Frank, anche se avrebbe preferito un luogo con meno gente. Per lo meno là sarebbe stato più difficile perdersi tra i suoi pensieri. Forse tra la folla, ma nella mente sicuramente no.
L'ingresso era ad offerta libera. Jamia diede cinque dollari ad una ragazza con metà faccia truccata ad arte che consegnò loro un piccolo depliant e un biglietto a testa da usare ad uno dei vari chioschi là presenti. Quando riuscirono ad entrare Frank notò subito che il grande viale era costeggiato da quadri, disegni e piccole sculture di creta o in pietra; sopra ad ogni fila di opere, ai lati dei sentieri, erano stati sistemati dei teloni bianchi sorretti da pali onde evitare di farle bagnare in caso di pioggia. Alcuni ragazzi stavano realizzando qualcosa davanti agli occhi degli altri, e Frank tra questi individuò anche un paio di giornalisti, fotografi e pure qualche critico d'arte. Imboccarono uno svincolo a destra che scoprirono essere quello degli acquerelli. Paesaggi lacustri, praterie, nature morte e tramonti tinteggiavano con i loro colori liquidi simili ai pastelli quel pomeriggio d'ottobre. Erano molto belli, e pure piuttosto realistici.
«Ti va se andiamo lì?» chiese Jamia poggiandogli una mano sulla spalla ed indicando con l'altra un piccolo chiosco adibito a bar, circondato da alcune panchine e un paio di gruppi di ragazzi.
«Okay.» acconsentì lui, seguendola verso quel bar. Consegnarono i loro biglietti e presero un caffè. Si sedettero su una panchina.

«Grazie ancora per avermi invitata.» disse Jamia sorridente mentre soffiava sul caffè bollente, onde evitare di scottarsi la lingua.
«Grazie a te per aver accettato.» e Frank era sincero. Con quel pomeriggio si stava riuscendo a distrarre, poi gli avrebbe anche fatto bene fare qualcosa diverso dall'ordinario, sebbene gli risultasse più facile non pensarlo come un appuntamento. A Jamia sfuggì una risatina.
«Devo ammettere che la prima volta che ti ho visto nella sala di attesa mi hai fatto un certo effetto.»
«Cosa intendi?» fece Frank incuriosito. E forse anche leggermente offeso. Involontariamente si portò una mano al collo, sopra il tatuaggio con lo scorpione che sbucava di poco dalla giacca.
«Oh, sai» la ragazza bevve un sorso di caffè e fece una smorfia, segno che era ancora ustionante. «Non credo mi sarei mai aspettata di trovarti lì. Insomma, non mi capitava spesso di incrociarti a scuola, e il vederti là... Non so, non mi è sembrato un segno del destino o qualcosa del genere, ma mi ha fatto piacere. Cioè, nel senso che...» Jamia sembrava imbarazzata a continuare il discorso e voltò il viso, ma subito ebbe come un sussulto e si rigirò di scatto, ogni traccia dell'imbarazzo di prima sostituita da un'espressione di felice sorpresa.
«Là c'è una mia vecchia amica» spiegò, indicando un gruppetto di ragazzi che stavano ridendo guardando una caricatura, ed in particolare una ragazza dai boccoli biondi ed una lunga giacca chiara. «Posso andare a salutarla?»
«Non dovresti neanche chiederlo.» provò a replicare Frank, ma Jamia si era già alzata ed era corsa via verso l'altra, salutandola con un gesto della mano. Frank sospirò. Jamia era una compagna piacevole, riempiva il silenzio alla perfezione, ma poi la realtà si rivelava più cruda e silenziosa di prima, dandogli la sensazione di camminare attraverso della carta vetrata. In quel momento la ragazza era stata portata dalla sua amica al suo gruppetto e stava salutando con la mano tutti i componenti. Intuì che ci sarebbe voluto un po'.
Incapace di rimanere là seduto a lungo Frank buttò il bicchiere di carta del caffè ormai vuoto in un cestino lì accanto e si alzò, guardandosi intorno. A sinistra c'era un sentiero più silenzioso, che si addentrava in una specie di boschetto. Sul depliant era indicato come la Galleria degli ex alunni. Il ragazzo si strinse nel cappotto e si diresse verso il sentiero.
Là non c'era una vera e propria suddivisione di generi, c'era un quadro dallo stile cubista proprio accanto ad una statua simile a qualche opera antica greca, ma sul foglietto c'era scritto che erano vari lavori recenti o meno che degli ex studenti avevano dato volontariamente per quella fiera.

C'era molta poca gente, e a Frank fece molto piacere il potersi godere in pace quello scorcio di pomeriggio, passeggiando accanto alle opere e stando un po' con se stesso. Sorpassò un volto che usciva da quelle che sembravano fiamme in creta, qualche quadro ispirato all'arte moderna ed un paio di schizzi di natura morta e di progettazione. Poi c'era un acquerello di un porto. E ciò che catturò la sua attenzione, un chiaroscuro fatto col carboncino.
Frank si fermò sotto un pioppo che ombreggiava la zona circostante e guardò con più attenzione quel foglio, alzando un sopracciglio. Era un semplice chiaroscuro, a quello ci arrivava, affisso su un cavalletto e ritraeva il profilo di un ragazzo in penombra con dietro alcuni alberi che perdevano foglie e in lontananza lo schizzo di una città. Era bellissimo, si vedeva che la mano che aveva tracciato quelle linee lo aveva fatto con passione. Frank si avvicinò un po' di più, soffermandosi sul ragazzo ritratto. I capelli scuri gli pendevano in morbide ciocche sul viso oscurando gli occhi, che sembravano però avere un'espressione ferita, lontana. Le labbra erano sottili. Aveva un labret.
D'istinto Frank si portò una mano al labbro, sfiorando con le dita l'anellino di metallo. Sembrava veramente il suo. Fece scendere lo sguardo più in basso. Dal colletto della felpa gli sbucava l'ombra di un tatuaggio.
Il ragazzo inspirò di scatto e fece un passo indietro, ricordandosi improvvisamente di quando si era ritrovato assieme a Gerard in quel parco dopo avere quasi avuto una crisi nervosa e di come avesse risposto alle sue domande con dei semplici gesti del capo. Eppure, era sicuro di essere totalmente solo se non fosse stato per Gerard. Tuttavia...
Ripensò ai vari quadri disposti nella saletta che frequentava settimanalmente, quindi fece scivolare lo sguardo nell'angolo del foglio, dove appariva scarabocchiato un nome.

Gerard Way

La data appena accennata sotto era recente, giusto forse una settimana prima, massimo dieci giorni. E ormai non c'era più alcun dubbio, quel ragazzo nel ritratto era lui, ed effettivamente ci assomigliava tanto: la curva del naso, lo sguardo perso, le pieghe della felpa sembravano quasi reali. Poi si riscosse, un pensiero gli attraversò come un fulmine la testa. Gerard ti ha ritratto in un disegno.

«Ma guarda un po' chi si vede.» disse una voce alle sue spalle, una voce che ormai conosceva bene. Ancora confuso si girò, trovandosi davanti proprio Gerard. Aveva i capelli rossi scompigliati e le mani in tasca, a coprirlo solo una misera giacchetta di jeans. Solo una giacchetta di jeans. Eppure Frank aveva l'impressione di star subendo incessantemente i brividi del freddo. «Ciao Frank, cosa ci fai qui?»
Il moro avrebbe potuto benissimo mentirgli e inventarsi una scusa, del tipo che era andato a trovare un cugino o giù di lì. Ma dopotutto, perché avrebbe dovuto mentirgli? Era lui quello che si era presentato a tradimento in un pomeriggio in cui voleva non pensare a lui. «Sono uscito. Con una ragazza.» Per dimenticare te.
Gerard aveva l'espressione di chi a Natale aveva aperto un pacco enorme e ben incartato per trovarci un salmone morto e puzzolente. Inarcò lievemente le sopracciglia ed il sorriso gli sparì dalle labbra. «Cosa?»
«Sono uscito con una ragazza.» ripeté Frank, incrociando le braccia. «Che problema c'è? Ora non posso neanche uscire con qualcuno?»
«Perché non me ne hai parlato?» rispose invece Gerard, più serio di prima.
«Primo perché è accaduto poco fa. Secondo, perché non vedo per quale motivo dovresti saperlo, mica sei la mia guardia del corpo.» replicò Frank sulla difensiva e con tono acido. Era veramente arrabbiato con Gerard in quel momento. Arrabbiato perché gli si presentava davanti nei momenti meno opportuni, quando aveva deciso di non pensare a lui. Arrabbiato perché non riusciva a capire il ragazzo che aveva di fronte. Arrabbiato mentre era solo sorpreso e un po' confuso di trovarselo improvvisamente accanto. Arrabbiato perché Gerard aveva il labbro sporco di caffè e non poteva certo andare là e toglierlo. Arrabbiato perché nel bellissimo disegno lì dietro c'era lui, senza alcuna logica. E in fondo, arrabbiato perché la persona che aveva stretto tra le braccia e aveva baciato il giorno prima era Lindsey, non lui.
«Questo no, ma in ogni caso-»
«E comunque non sono cose che ti riguardano.» il moro incrociò le braccia. Gerard lo guardò divertito, un divertimento sarcastico. Tuttavia, Frank ebbe l'impressione di vedere un'ombra nei suoi occhi, come se lo avesse ferito. Provò un misto tra trionfo e senso di colpa.
«Ah no? Frank, scusa se te lo faccio notare ma sarei il tuo psicologo, mi piacerebbe che mi informassi di certe cose.»
«Ah sì, certo, ora qualsiasi cosa mi capita devo venirla a raccontare a te.»
«Non qualsiasi, ma un avvenimento del genere sì.»
«Quindi sarei dovuto venire da te per raccontartelo e magari trovarti praticamente appiccicato a Lindsey nel tuo studio?» fece Frank stizzito, e l'altro rivolse lo sguardo a terra. Lo intravide mordersi il labbro. Centrato.
«Queste non sono cose che ti riguardano.» concluse riusando le stesse parole di Frank, facendo per girarsi ed andarsene. Il ragazzo lo prese per il gomito, stringendo il morbido jeans logoro tra le dita e costringendolo a girarsi. I due si guardarono un secondo negli occhi.
«Be', invece questo mi riguarda.» senza lasciare la presa sul ragazzo Frank si tirò da parte ed indicò il carboncino alle sue spalle, aspettando una qualsiasi spiegazione. Gerard guardò prima lui poi il disegno, sgranando gli occhi e schiudendo le labbra, come per dire qualcosa. Evidentemente pensava che non l'avesse visto. «Perché mi hai disegnato?»
«Non ti piace?» chiese Gerard, riassumendo un'espressione neutra. Anzi, sembrando quasi estraneo a quella situazione. Frank alzò gli occhi al cielo grigio, carico di nuvole.
«Perché hai disegnato me? Hai Lindsey come ragazza e lei è carina, avresti potuto fare lei...»
«Io disegno ciò che voglio io, non ciò che vogliono gli altri.» replicò il rosso scrollando le spalle. A Frank scese un brivido lungo la spina dorsale mentre Gerard lo scrutava con attenzione, delicatamente. Aveva scelto di disegnare lui.
«Perché?»
«Perché esiste il libero arbitrio?»
Frank chiuse un pugno, stringendo finché sentì le unghie fargli male contro il palmo. Stava cominciando a spazientirsi e la curiosità lo corrodeva come acido. Perché? Perché proprio lui in mezzo a tantissimi altri soggetti possibili?
Prese un respiro e chiuse per un attimo gli occhi, riaprendoli e trovando tutto esattamente come prima, solo che ora Gerard lo guardava con un'espressione indecifrabile, ogni traccia della rabbia di prima svanita. Sospirò.
«Gerard, perché proprio me? Insomma, guardami.» e fece scivolare via la presa dal gomito dell'altro, allargando le braccia come a incitarlo ad osservarlo. Sorrise mestamente. «Sono un disastro, a diciotto anni non riesco neanche a trovarmi a capo nella mia stessa vita. Mi sembra di stare perennemente fuori luogo, sintonizzato su un'onda diversa. E non dirmi che è normale, perché non tutti gli adolescenti si vestono come me, si comportano come me, si sentono come me. Gerard, perché proprio me?»
Questa volta il rosso si soffermò a guardarlo, mordicchiandosi leggermente il labbro inferiore, i capelli che gli si confondevano con le foglie autunnali prossime a morire. Sembrò soppesare veramente le parole che Frank aveva pronunciato in tono serio. Ed ora lui lo guardava, in quanto sentiva di essersi esposto dicendogli quelle parole, aveva l'impressione di essersi rivelato un po' di più, di aver lasciato intravedere un'ombra delle insicurezze che lo accompagnavano da anni. Non era come nello studio, là all'atto pratico era normale confidarsi così, ma ora stavano fuori, in un luogo aperto, e lui aveva deciso di usare quelle parole, per quanto spontanee e nate sul momento potessero essere. E si sentiva esposto. Più esposto e vulnerabile che mai.

«Perché tu sei perfetto.»

Frank sentì il sangue affluire alle guance dopo quel momento detto con tanta spontaneità. E poi, contro ogni previsione, fece una breve risata gutturale. «Perfetto? Io?»
«Sì Frank, hai dei lineamenti perfetti per essere ritratti. Sono fini e delicati, e creano un contrasto meraviglioso con i tuoi capelli.» il moro intravide la mano dell'altro alzarsi verso il suo viso, e poi percepì una ciocca dei suoi capelli essere presa tra due dita e rigirata, accarezzata. Gerard aveva lo sguardo assorto e l'ombra di un sorriso sulle labbra. «Anche la tua ossatura è proporzionata. E... E i tuoi occhi, raccolgono tutte le emozioni che non dici. È stato difficile disegnarti, perché non riuscivo mai ad imprimere l'essenza di te, ma mi ci sono tanto impegnato che alla fine sono giunto a qualcosa.»
Frank si immaginò Gerard seduto ad un tavolo da disegno con solo una lampada da lettura ad illuminarlo. Se lo figurava mentre cancellava una linea di troppo e poi si portava la matita alle labbra, la mordicchiava, la poggiava e ne prendeva una dalla mina più morbida e poi si riabbassava sul foglio, lasciando una seconda traccia per definire un contorno. Forse. Era tutto un forse.
«È assurdo.» mormorò, perché neanche lui riusciva ad immaginare che qualcuno potesse spendere del tempo per lui in un modo tale.
«No, non credo proprio.»
«E invece sì.» Frank scosse la testa, mordendosi il labret. Si ricordava le parole di conforto di Gerard la scorsa volta che era andato allo studio, ma in fondo nessuno poteva dargli la sicurezza che fossero state sincere. «Non sono perfetto, proprio per niente»
«Frank, dai retta a qualcuno che di queste cose ha più esperienza.» Gerard alzò gli occhi verdi e marroni al cielo per poi riabbassarli subito sul suo viso amareggiato; sospirò con fare spazientito, eppure in qualche modo comprensivo. «Nessuna vita è perfetta. Nessuna. Per quanto possa sembrarti tale la vita della cheerleader coi capelli biondi e lucenti ed il classico fighetto della scuola con i genitori ricchi che gli comprano la Porsche, non è così. Poi vengono a galla i genitori morti, i traumi da bambini o un semplice discordo interiore e nessuno ti sembra così diverso, anzi, a volte per il solo fatto di aver frequentato compagnie di persone superficiali può render loro il dolore ancora più forte. E questo vale per tutti, dal professore di scuola che comanda a bacchetta gli alunni ma che a casa è totalmente sottomesso alla moglie a... A un ragazzo con un fratello un po' impacciato ed i capelli colorati, che credeva finalmente di aver trovato la pace a livello emotivo e poi arriva un altro ragazzo a confondere tutto ciò che si era creato.» fece una pausa, breve, e per pochi secondi i loro respiri si mischiarono. Per un attimo moro ebbe l'impressione che quello di prima fosse un riferimento personale, ma il pensiero se ne andò così com era venuto. «Insomma, Frank, nessuno è perfetto per se stesso, nessuno è abbastanza, ma il fatto che tu non ti ritenga tale non implica che per qualcuno tu non possa avvicinarti a quel canone di perfezione. Non sottovalutarti, okay?»
«Okay un cazzo.» sbottò Frank. Le parole del rosso lo avevano profondamente scosso, ed ora aveva fatto un passo indietro stringendo i pugni. Non si sentiva neanche arrabbiato, solo scosso, senza neanche saperne il perché. C'erano troppi perché irrisolti in quel pomeriggio. «Gerard, io non sto okay, capito? Io non sto fottutamente okay. E non riesco a sopportarlo, perché non faccio altro che litigare con i miei ed odiare chi mi sta attorno, dando e ricevendo violenza, sono una sottospecie di incapace che riesce solo a sfogarsi con la chitarra, poi arrivi tu e mi stringi la mano, mi dici che vuoi aiutarmi, che vuoi starmi accanto, mi abbracci e io ci vorrei morire in quell'abbraccio. Mi agiti come una palla di vetro, per intenderci, ma poi mi posi. E pochi giorni dopo ti presenti davanti scuola mia e baci la tua ragazza, la guardi come se la amassi, e poi oggi cerco di distrarmi e di toglierti dalla mia mente ma anche tu vieni qua, ed io vedo questo.» e senza neanche guardarlo indicò il disegno, mentre un groppo gli stringeva la gola. «Come se non fossi abbastanza confuso. Disegni me, io vedo il ritratto ed impazzisco. Gerard, come puoi anche solo pensare che io stia bene dopo l'annuncio del divorzio dei miei e il solo fatto che tu-»
Gli fu impossibile continuare a sputare fuori tutto ciò che pensava, perché improvvisamente le mani di Gerard si posarono sulle sue guance e gli reclinarono il viso verso l'alto. Le punte dei loro nasi si sfiorarono, impercettibilmente, ma sembrarono quasi far scoccare una scintilla d'elettricità statica. Al moro si mozzò il respiro, dimenticandosi immediatamente della sfuriata e di ogni altra cosa.
«Ma io cosa devo fare per farti stare zitto?» il rosso pronunciò queste parole con un filo di voce, facendo capire a Frank che aveva pronunciato qualcosa solo grazie al lieve spostamento d'aria percepito sul viso. Gli occhi di Gerard gli scesero lentamente lungo il viso, studiandolo quasi bramosi. Frank rimase immobile mentre quello sguardo lo teneva in soggezione quasi scannerizzandolo, impedendogli di formulare un pensiero. Si sentiva contemporaneamente consapevole di tutto ciò che lo circondava ed estraneo dal resto del mondo: era consapevole del lieve fiato di Gerard miscelato al suo, del tocco cauto dei suoi polpastrelli dove aveva ricevuto un pugno il giorno prima, sentiva i capelli rossi solleticargli la fronte e la vicinanza dei loro corpi, troppo infima per essere colmata. Eppure si sentiva come se galleggiasse nell'aria ed i suoi piedi non fossero più a contatto col terreno ricoperto dalle foglie secche. Non c'era nulla in quel momento fuorché loro due, nulla esisteva, né i problemi di Frank in famiglia, né la scortesia della gente nei suoi confronti, né la scuola, né il freddo incombente, né Jamia, né Lindsey, né la realtà. Nulla, nulla, nulla.
«Mi farai impazzire prima o poi.» aggiunse sottotono Gerard. E forse era solo un'impressione di Frank, ma i loro visi si trovavano sempre più vicini. La ruggine e l'oro degli alberi si fusero e si mischiarono in un unico colore, rinfrescato dall'aria pungente che segnalava pioggia, ma ormai il volto di Gerard era tanto vicino al suo, pochi millimetri e si sarebbero sfiorati, riusciva a contare le leggeri pieghette delle sue labbra che si schiudevano, più scure del resto, vedeva le leggere lentiggini lasciate come polvere sui suoi zigomi, sentiva le sue mani a coppa sfiorargli appena il viso, tendendolo verso il suo.

Frank socchiuse gli occhi.
Il suo cuore batteva all'impazzata, era diventato una calamita e voleva avvicinarsi sempre di più al polo opposto, scalpitava tra le costole pur di riagganciarsi al pezzo mancante, incastrato nel petto del ragazzo che per la prima volta era riuscito a notarlo tra la gente, una goccia di inchiostro su una pagina altrimenti immacolata.
Fallo. Fallo. Fallo! Sembrava quasi urlargli di avvicinarsi e alzare di poco il mento all'insù. E non si seppe spiegare perché per la prima volta desiderasse qualcosa con tanto ardore da fargli male, come se avesse un palloncino gonfio all'inverosimile in petto. Fallo.
E lo fece.
Lo baciò.

Fu un lieve scontro di labbra. Quelle sottili di Gerard si posarono sulle sue e si modellarono assieme in un bacio al sapore di autunno, caffè e ricordi troppo difficili per essere confessati. Le labbra di Gerard si mossero appena sulle sue, accarezzando il labret di Frank e causandogli un brivido, continuando dove la settimana prima non avevano osato andare. Le sue ossa si stavano liquefacendo e diventavano sangue stesso, riusciva a reggersi solo tramite la mano che aveva inavvertitamente poggiato sul braccio del rosso. Le loro fronti si sfiorarono ed il bacio ricominciò, questa volta un po' più deciso e le bocche un po' più schiuse, le guance più rosse e nuove emozioni con cui fare i conti.
Gli aveva detto che era perfetto, nonostante lui non si sentisse tale. Eppure, ora che lo stava baciando gli sembrò come se un ingranaggio finalmente cominciasse a girare dal verso giusto. Ora si sentiva migliore, in bianco e nero, etereo e mortalmente vulnerabile come il suo alter ego impresso sulla carta. E le labbra di Gerard erano soffici, sottili e sembravano combaciare perfettamente con le sue, come due pezzi di un antico tutt'uno, come se stesse tornando a respirare aria pura dopo un lungo periodo di apnea. Gli sembrò di stare ancora tra le sue braccia nello studio, era la sensazione dell'abbraccio moltiplicata per cento, per mille...

Gerard si staccò, improvvisamente ed inavvertitamente. I suoi occhi fino a poco fa semichiusi erano aperti, quasi spalancati. Le labbra rosse erano schiuse. Frank alzò una mano per toccarsi le sue. Sapevano ancora di Gerard.
«I-io... Scusami, non, non volevo.» disse annaspando, guardandosi intorno con aria confusa ed evitando ogni minimo contatto con Frank. Lentamente, la realtà gli era ripiombata addosso con una forza inaudita, costringendolo a mettere a fuoco ciò che gli stava attorno. Ora che era finito fu più facile rendersi veramente conto di ciò che stava accadendo prima. Ho baciato Gerard. Sentì un tonfo al cuore, che ora batteva con una calma mortale. E mi è piaciuto.
«Devo andare.» disse quello, che sembrava appena uscito da un sogno. Si girò senza aggiungere altro e a passo svelto proseguì lungo il sentiero, perdendosi tra gli alberi e le opere d'arte, lasciando dietro di sé solo il suo sapore sulle labbra di Frank e la sua ombra a seguirlo come un cagnolino fedele.
Frank non si mosse, neanche quando il telefono gli vibrò per un messaggio di Jamia, chiedendogli dove fosse finito. Rimase là anche quando le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere, leggere ed inattese. Rimase là, immobile come i cocci delle promesse rotte, a guardare l'imboccatura del viale dove Gerard era sparito in fretta come una folata di vento, lasciandolo demolito ed ancor più confuso di prima.






A/N
Pubblicato in anticipo ma ormai avevo il capitolo pronto quindi perché no?
Lunghetto, lo so, ma non potevo proprio spezzarlo eeeeeh va be', finalmente li ho fatti baciare quei due, anche se in realtà la scena non doveva avvenire proprio così ma chissene, futili ed inutili dettagli (cit. La Robs a cui voglio tantoh bene). Credo che ormai i capitoli a venire avranno tutti più o meno questa lunghezza, quindi preparatevi. Nel prossimo appare Rayo, urleggio.

Ormai è iniziata la scuola, neanche una settimana ed io sto già in carenza di sonno, voglio morire uff. E magari anche avere una bella motosega portatile da nascondere nello zaino.
Aneeway, spero il capitolo vi sia piaciuto, come spiegato nel capitolo di avviso (che ora provvederò a cancellare) aggiornerò attorno la fine del mese, o forse pure prima dato che ho già buttato giù qualcosa. Aspettatevi una svolta alla fine del prossimo capitolo, but okay, ora la smetto. Vi amo tutti, ho tanto sonno e bla bla bla, solite quisquilie //hxpelessaromantic

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