My All. ||Stefano Lepri||

By _spicci

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'Ti tratterà come un burattino, e non devi farlo, non sei costretto' 'Preferisco essere trattato come un bura... More

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Ringraziamenti
Copertina!
Nel frattempo...
Our All. ||Stefano Lepri||

16.

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By _spicci

Mi mancava, terribilmente.
La sua assenza la percepivo ogni secondo che passavo senza di lui.
Andare a scuola non era mai stato così noioso. Un giorno, il preside venne nella nostra classe e ci avvisò del ritiro di Stefano dall'istituto. Nessuno sembrò tanto sorpreso, anzi, sembravano contenti di ciò. In quel momento, il mio sguardo cadde sul banco affianco al mio. Era vuoto, come mi sentii quando quelle parole echeggiarono nell'aula. Avrei accettato quella scelta, lo avevo fatto, ma sapevo che aveva anticipato le cose per non vedermi.
Da quell'istante, la scuola la misi in secondo piano, per poi scendere nel dimenticatoio.
Ritornai nel mio posto preferito: il fiume. Non mettevo piede in quel posto da tempo, da quando la storia del moro mi aveva protagonista, e mi vedeva ancora tale.
Il fatto che Stefano avesse deciso di abbandonarmi così, istintivamente e senza riflettere su quello che diceva, era quello che mi distruggeva di più.
Non sapevo più che fare. Non avevo nemmeno il suo numero di telefono, e andarlo a trovare a casa sarebbe stato troppo da stupida, ma quasi non ricordavo quella strada così lunga che separava le nostre case, e non solo quei due edifici. Non volevo mostrarmi debole davanti ai suoi occhi, cosa che avevo sempre promesso a me stessa, ma rispettandola a volte.
Volevo fuggire. Quel desiderio cresceva ogni giorno, era più forte di qualsiasi altra cosa presente nella mia mente. Il problema fondamentale era la meta, perché non sapevo dove andare, per lo più da sola. Un giorno, mi sarebbe piaciuto andare da qualche parte con il moro dagli occhi verdi, magari all'estero e non sempre nella monotona nazione di cui sentivo parlare sempre. Saremmo stati sempre chiusi in casa, magari a litigare e poi far pace, oppure saremmo andati in giro, visitando la città come due ragazzi che non sapevano dove andare, ma che si stavano divertendo. Però, di solito, quelle cose si verificano soltanto nei film, e non ci trovavamo su un set cinematografico, pronti a registrare l'ennesima scena non reale.
Nella mia mente, scorrevano le immagini di molte scene di film che avevo visto, cercando di trovare quello più adatto per descrivere ciò che stavamo passando io e Stefano: peccato che non ce ne fosse nessuno che ci rappresentasse.
Non sapevo come comportarmi con lui, non capivo cosa fare, come rimediare. In fondo, il mio gesto era la mancanza di verità, perché lui aveva bisogno di sapere ogni cosa ma, data la mia testardaggine, rimandavo sempre quel momento, come facevo per la questione della scuola.
Un mio vizio poteva essere quello di rimandare qualsiasi cosa, e non solo una volta, ma sempre.
Inoltre, provavo ad immaginare come sarebbe stata la mia vita, se non avessi vissuto tutte quelle violenze e giudizi; forse vivrei da sola, oppure con il ragazzo più dolce del mondo, non avrei dubbi sulla scuola e continuerei l'università fino alla fine, rendendo fieri di me i miei genitori e, perché no, dopo la laurea avrei recitato in ogni singolo teatro, dal meno al più famoso, fino a diventare qualcuno di importante.
Ma era tutto frutto della mia immaginazione, che presentava la mia vita sotto un altro aspetto. Un aspetto che, per me, non esisteva.
Dal mio punto di vista, nessuno era importante, e nessuno doveva sentirsi tale. Le persone importanti erano quelle che, nella loro vita, avevano fatto cose fondamentali per le generazioni che sarebbero seguite e quelle che, invece, avevano fatto l'impossibile per farsi conoscere: come Beethoven che, pur essendo sordo e non avendo mai ascoltato la sua musica, diventò un compositore di fama mondiale; per non parlare di Volta, che fu il primo ad inventare la lampadina che, nel corso degli anni, si sviluppò in varie forme, come i lampioni che illuminano le serate di ogni singola città.
Le persone cosa avevano di così tanto speciale? E io cosa avevo fatto di importante, durante la mia esistenza?
L'unica cosa per cui potevo essere riconosciuta era per aver preso in giro l'unica persona che mi rendeva felice. In quel momento, quella persona mi odiava e non si fidava più di me e, forse, credeva che gli avessi mentito su tutto, anche su quello che provavo per lui, ma ancora non lo sapeva con precisione. Se avessi dovuto dire quello che provavo nei suoi confronti, non mi sarei mai spiegata bene. Il fatto era che provare amore era dire poco, per quello che sentivo per lui.
Perché non esisteva un sentimento che andava oltre a quello?
Per me, amare una persona significava provare dei sentimenti per essa e basta. Invece, quello che sentivo, era ben altro di quello. Volevo trovarlo di fianco a me nel letto, ogni mattino, volevo passare con lui il resto dei miei giorni, volevo che appoggiasse con frequenza le sue labbra sulle mie, volevo sentirmi protetta sotto ogni suo tocco.
Lui era tutto quello che non mi aspettavo di ricevere, data la mia vita precedente.
Mi ero ripromessa che la mia vita sarebbe iniziata con Stefano, era ancora impresso nella mia mente, ma senza di lui non potevo concepire l'idea di una seconda vita. Ero giovane e il fatto che avrei dovuto ricominciare da capo, con tutto, era difficile, specialmente se non c'era nessuno al mio fianco.
Il problema era che non sapevo come recuperare la sua fiducia, come cercare di far ritornare tutto come prima. Qualche mese fa, sarei disgustata da tutto questo, dato che provavo un odio profondo per il moro.
Non avrei mai pensato che Stefano sarebbe diventato così importante per me. Insomma, prima non sopportavo il suo comportamento e non volevo avere nulla a che fare con lui mentre, in quel momento, volevo soltanto che fosse accanto a me, facendomi capire che lui, per me, ci sarebbe sempre stato.
Dov'era?

Il mio sguardo era rivolto verso il cielo, mentre le mie orecchie erano concentrare sul fruscio dell'acqua del fiume, che continuava a scorrere ininterrottamente. Quel silenzio era, come al solito, sempre più rilassante, anche se avrei preferito che fosse interrotto da qualcuno e, forse, non doveva essere per forza Stefano a romperlo.
Avevo intenzione di fare qualcosa. Mi misi seduta, in modo da concentrare anche la vista sul fiume. Dovevo smetterla di rimpiangermi addosso per quello che avevo fatto e dovevo assolutamente rimediare. In un modo o nell'altro ci sarei riuscita e, magari, avrei recuperato la fiducia del moro.
Incrociai le gambe e vi appoggiai sopra i gomiti, posando la testa fra le mie mani. Pensare a cosa fare era complicato, non avevo mai cercato di farmi perdonare da una persona, specialmente se si trattava di un ragazzo. Di solito, le ragazze pensavano che i ragazzi erano tutti uguali, tutti pronti ad usarle e poi a mollarle. Lo avrei pensato anche io, se Stefano non fosse diverso da tutti.
Chiusi gli occhi, per concentrarmi su tutta quella tranquillità che poteva dar frutto a molte idee. La mia mente, però, era soltanto concentrata sulla scena in cui Stefano mi rivelava di essere inutile. Era deluso da me, e anche io ero delusa di me stessa, ma quello non era una novità.
'Posso soltanto immaginare da quanto tempo sei qui' disse una voce, quella voce che speravo rompesse l'equilibrio di quel posto.
L'unico suono che volevo sentire era nascosto in quella voce. Mi voltai, notando che era ancora più alto del solito, data la posizione in cui mi trovavo.
'Non da molto' risposi distaccata.
Diamine, non riuscivo ad assumere un tono migliore di quello, neanche con lui.
'Da giorni, sicuro' disse, raggiungendo la mia altezza, ma mantenendo la distanza tra noi.
Beh, alla fine, aveva ragione.
'Ti serve aiuto?' Andai subito al sodo, dato che ero curiosa del motivo per cui era venuto.
'Dopo tutto quello che hai fatto per me, ti devo qualcosa' rispose, anche se non capivo se lo dicesse in tono ironico o no.
'Stai scherzando?' Chiesi, ovviamente confusa.
Non avevo fatto nulla per lui, perché mai avrebbe dovuto aiutarmi? Ero un disastro, non dovevo minimamente far parte della sua vita, ma fui così sciocca da intraprendere quella strada.
Scosse il capo, continuando a parlare.
'Giuseppe e gli altri ti daranno la caccia e, beh, avrai bisogno di questa per difenderti' disse e tirò fuori, dalla cintura dei suoi pantaloni, una pistola.
La stavo per prendere, ma se la mise sull'altra mano, rendendo difficile la presa.
'Credi che puoi averla così facilmente?' Chiese, facendo un sorrisetto che mi mancava vedere sulle sue labbra.
Inoltre, mi mancava quello sguardo che mi stava rivolgendo. Non capivo perché, dopo quello che avevo fatto, era ritornato da me. Non pensavo che lo avrebbe fatto, non voleva più vedermi ed eccolo, pronto ad aiutarmi per la solita situazione.
'Perché sei qui?' Domandai, come se fosse d'obbligo.
Non mi importava minimamente della pistola, di Giuseppe e di tutti quelli che ci volevano morti, ma ero concentrata su di lui e sul motivo per cui si trovava in quel posto, con l'intento di fare del bene per me. Concentrò il suo sguardo sulla pistola, probabilmente pensando a cosa dire.
Davvero credeva che non glielo avrei chiesto?
Sembrava che avesse capito tutto su di me, ma mi sbagliavo, come sempre.
'Sei finita in questo casino, e devi saperti difender-' lo interruppi, dato che non potevo sopportare più quella sua affermazione.
'Da Giuseppe e dagli altri, non riesci a dire altro?' Continuai al suo posto.
Notavo che si stava innervosendo parecchio e, anche se doveva importarmi, non era così, perché non poteva condizionare la sua vita sempre e solo su quelle persone. Non riusciva mai a pensare a se stesso, a noi, ed era una cosa che non accettavo.
Cosa avrei dovuto fare per farlo ragionare?
'Cos'altro dovrei fare? Dirti che mi dispiace delle parole dell'altro giorno? Perché dovrei dirtelo? Mi sono sentito escluso dalla tua vita, Alice, te ne rendi conto?' Disse, quasi urlando.
'Ci tieni così tanto a sapere tutto di me, tutto quello che faccio e tutto quello che subisco? Perché Stefano, perché?' Continuai, alzandomi in piedi.
Sapevo benissimo il motivo per cui lo faceva, ma volevo sentirglielo dire perché, se la sua voce non avesse detto quelle parole che tanto speravo di sentire, potevo rinunciare al nostro rapporto. Fece il mio stesso gesto, ritrovandosi a pochi centimetri da me, avvicinandosi di più a me rispetto a qualche istante prima.
Nei suoi occhi, notavo una fiamma piena di rabbia, incolmabile e inesauribile. Quella fiamma ero io.
Stava trattenendo le parole, non voleva che vincessi, voleva soltanto lasciarmi nel dubbio, anche se avevo le idee chiare. Ormai avevamo acquisito lo stesso tono duro e freddo, accompagnato dalla nostra tonalità di voce alta. Anche se non era il modo migliore per attraversare quella conversazione, era l'unico modo per poter ragionare insieme. Mi infastidiva trattarlo in quel modo, avrei potuto saltargli addosso e baciarlo, ma nulla andava secondo le mie aspettative.
'Vuoi averla sempre vinta, non è così?' Chiese, sorridendo irritato.
Annuii, dato che era esattamente quello che volevo. Volevo avere la stessa conferma che avevo io.
'E va bene, okkei. Ti amo Alice, contenta? Sono fottutamente pazzo di te, e nulla mi farà cambiare idea, ma sono ancora incazzato. Adesso me ne vado e, se mi seguirai, ti insegnerò ad usare la pistola, altrimenti ti salverai da sola' concluse, dirigendosi verso la sua auto e sbattendo la portiera, cercando di calmarsi.
Ti amo. Lo aveva detto davvero. Non mi aspettavo che sarebbe mai uscito dalla sua bocca, come non mi aspettavo che fossero vere. Era frustato, e sembrava che lo avesse detto soltanto per farmi contenta.
Ma, inoltre, cosa volevo aspettarmi?
Ero quello il trattamento che mi meritavo e, anche se non volevo accettarlo, dovevo essere trattata così, almeno finché non gli sarebbe passato. Non potevo perdere definitivamente anche lui, non lui.
Decisi di seguirlo, andando verso la sua auto e sedendomi nel sedile accanto. Era concentrato su ogni mio singolo movimento e, quando incontrai nuovamente i suoi occhi, non volevo far altro che guardarli all'infinito. Da questi, capii che veramente pensava quello che aveva detto, credevo. Era già tanto se mi aveva rivolto di nuovo la parola e, quello, era soltanto un piccolo passo e, prima o poi, si sarebbe di nuovo fidato di me.

Il viaggio lo passammo in silenzio, la solita calma dopo la tempesta. Forse, avrei dovuto scusarmi, ma non era semplice: anche se pensavo che quello che avevo fatto era stato grave, dall'altra non lo pensavo. Il fatto era che c'erano cose peggiori di non raccontargli delle cose ma, a lui, quella cosa era fondamentale, perché probabilmente aveva a che fare con Giuseppe.
E se il numero sconosciuto fosse lui?
Non poteva essere, anche perché non sapevo come avrebbe fatto ad avere il mio numero. Però, l'idea che potesse essere veramente lui, non era da sottovalutare. Era una cosa asfissiante, perché ero sempre in dubbio su tutto.
Vidi che Stefano si era fermato davanti ad una abitazione che, per quelle poche volte in cui la vidi, era casa sua. Scendemmo dall'auto e notai che il moro si stava dirigendo verso il retro della casa, e l'unica cosa che potevo fare era seguirlo. Stranamente, avevo il terrore di parlare, di dire la cosa sbagliata. Non volevo andarmene di nuovo da lui, mi bastava la sua compagnia per stare bene.
Una volta dietro la sua abitazione, potevo notare l'enorme porta di un garage. Il moro tirò fuori un piccolo aggeggio, contenente un pulsante sopra e, quando lo aveva premuto, la porta si aprì verso l'alto, mostrando la vastità di quello spazio. Rapidamente, Stefano mi prese la mano ed entrammo nel garage, chiudendo la porta successivamente.
Il fatto che non volesse far sapere di cosa si trovava, lì dentro, era prevedibile, dato tutto quello che potevo vedere: sagome d'uomo pieni di buchi, dovuti probabilmente ai colpi delle pistole che si trovavano sugli scaffali di quel posto. Non mi spaventava quella vista, me lo aspettavo che avesse un proprio posto in cui allenarsi per poter sparare però, dal mio punto di vista, la situazione stava esagerando.
Decisi di parlare, perché ero stanca di stare con lui e non scambiarci qualche parola, dopo quelle urla.
'Non pensi di esagerare?' Chiesi, con voce tremolante.
Non sapevo quale potesse essere la sua reazione, anche se aveva compiuto il solito gesto che amavo da parte sua. Il contatto era la cosa che mi piaceva di più anche se, poche volte, mi ritraevo al suo tocco.
Il ragazzo si appoggiò alla parete di fronte a me, incrociando le braccia e osservandomi. Speravo che si fosse stancato di non volermi vedere, di superare quella cosa, ma era soltanto nella mia testa.
'In che senso?' Chiese nuovamente, non aggiungendo altro.
Sapeva quello che intendevo, e mi irritava il fatto che facesse finta di nulla. Stava cercando di farmi innervosire, e ancora una volta ci stava riuscendo, ma non volevo dargli quella soddisfazione, anche se qualcuna se la meritava.
'È vero che devo difendermi e tutto, ma uccidere delle persone? Perché mai dovrei farlo?' Spiegai, credendo di essere stata più chiara.
'Strano che hai usato un verbo per indicare te stessa e non noi' rifletté, ancora non considerando la mia domanda.
In effetti, era quello che avevo fatto. Di solito era lui che faceva così, ma dannazione, volevo soltanto svanire dalla faccia della terra. Non riuscivo mai a combinarne una giusta, aveva sempre ragione lui, anche quando ce l'avevo io.
Mi sedetti sul pavimento, con le gambe incrociate e i gomiti su di esse. La mia testa si trovava tra le mie mani, come al fiume, e mi sarei anche tirata qualche capello dalla frustrazione. Mi faceva innervosire il tono presuntuoso ed arrogante che aveva assunto. Stava cercando di tornare quello di prima, quel ragazzo snervante e insopportabile che era. Non dovevo permetterlo, ma ormai non ce la facevo più. Tutto quello, però, era per colpa mia e non potevo non considerare quella causa. Non dovevo mollare, specialmente davanti a lui. Una volta, riuscivo a tenergli testa mentre, da quel momento, non mi veniva più naturale.
Alzai il capo e mi ritrovai il moro davanti a me, anche lui a gambe incrociate e mi guardava, senza fare alcuna mossa. Non capivo cosa stesse provando, i suoi occhi erano inespressivi. Probabilmente, nemmeno lui sapeva cosa fare.
'Quando ero piccolo, andavo matto per i film polizieschi' cominciò, anche se non capivo dove volesse arrivare.
'Insomma, mi piacevano tutti i film che avevano a che fare con le pistole e gli spari. Il mio sogno era quello di diventare un poliziotto, perché li vedevo come esempi da seguire, come pilastri di vita, diciamo' prese una pausa, mentre le mie labbra formavano un sorriso.
Mi immaginavo un piccolo Stefano, attaccato alla televisione, mentre guardava quelle cose e, nel frattempo, si faceva film mentali sulla sua vita futura. Non si aspettava tutto questo, probabilmente lo viveva come un incubo.
'I miei genitori, inventando la solita scusa del "stai troppo tempo attaccato a quel coso", mi impedirono di continuare a vedere quei film di cui ero tanto appassionato' non riusciva a continuare, si mordeva continuamente il labbro inferiore, probabilmente ricordando tutti quei momenti.
Presi le sue mani tra le mie, cercando di fargli capire che c'ero, anche se lui non lo voleva. Dopo quel momento di rabbia nei miei confronti, voleva soltanto farmi passare il mio momento di debolezza, anche se voleva vedermi in quello stato. Non ci stavo capendo nulla, e nemmeno lui.
'Quando mi trasferii, scelsi questa casa per la sua grandezza. Potevo togliere delle stanze e metterne altre che sarebbero state più utili, ma non lo feci. Però, quando vidi questo grande garage, era completamente vuoto. Pensai a tutto quello che ci potevo fare qui dentro, ma la migliore idea fu quella di trasformarlo nel mio rifugio' disse, indicando l'intero spazio in cui ci trovavamo.
Avrei voluto chiedergli perché era lo riteneva tale, dato che ero convinta che fosse il fiume, ma appena aprii la bocca per dire qualche parola, mi precedette e continuò il suo discorso.
'Quando guardavo quei film, scoprii il mio hobby preferito: sparare in libertà. Nessuno che ti guarda, nessuno che ti giudica e, grazie al materiale delle pareti, le persone fuori non sentono gli spari, quindi non si fanno domande' concluse, come se si fosse liberato di un peso.
Riflettei su tutto quello che aveva detto, anche se ancora non trovavo una risposta alla mia domanda.
'Quindi ami uccidere le persone, allenandoti qui dentro?' Chiesi, anche se lui sembrava da un'altra parte.
Riprese a guardarmi, sorridendo e scuotendo il capo. Era un segno per farmi capire che, in realtà, non avevo capito nulla.
Ci fosse una volta in cui capisci qualcosa.
'Io amo sparare, non amo uccidere persone. Se le cose si mettono male, qualche colpo è necessario' spiegò, non accennando, nella sua voce, alcun segno di frustrazione per quella mia domanda.
'Io amo te' pensai, anche se lo avevo sussurrato, ma me ne accorsi poco dopo.
Speravo che non mi avesse sentito ma, data la vicinanza, poteva ascoltarmi molto bene. Lo dissi così, sciolta, senza alcun cenno di imbarazzo e senza esitazione, forse perché davvero lo amavo, nonostante non volesse vedermi per quello che combinavo.
'Guarda che ti ho sentito' disse, continuando a tenere quel sorrisetto per tranquillizzarmi, ed era quello il suo scopo.
Anche se speravo che le mie parole fossero così impercettibili, allo stesso tempo, volevo che non fosse così.
'E, se ti fossi fidata di me, ti starei già baciando' seguì, anche se era tentato dal farlo.
Vedevo che continuava a mordersi il labbro inferiore, mentre osservava i miei occhi e anche io volevo sentire le sue labbra sulle mie. Ma mi stavo concentrando su un'altra cosa: pensava che non mi fidassi di lui. Era l'ultima cosa che doveva pensare; credevo che mi stesse dando la colpa per tutto, invece stava incolpando se stesso. Forse, era uno dei tanti motivi per cui lo amavo. Cercava sempre di non dare la colpa agli altri, perché era lui che pensava di essere colpevole di qualunque cosa che gli accadesse. Prima o poi gli sarebbe passato quel vizio, e glielo avrei fatto passare.

Si alzò in piedi, porgendomi la mano per aiutarmi.
'Iniziamo questa lezione' annunciò, mentre presi la sua mano e aiutandomi ad alzarmi.
Alla fine, era quello il motivo per cui mi aveva portata lì. Avrei voluto continuare a parlare con lui per tutto il resto della giornata, ma non potevo pretendere grandi cose se ancora aveva dei dubbi su di noi. Inoltre, lezioni di difesa mi avrebbero fatto bene.
Prese una pistola qualsiasi, me la porse e provai a capire che pistola fosse, prima di prenderla tra le mani.
'Calibro 50, se è quello che vuoi sapere' precisò, notando il mio sguardo curioso.
Non ero un'appassionata di pistole, però vedevo molti film in cui le usavano, dato che mio padre li guardava sempre. Presi la pistola e poggiai l'indice sul grilletto, senza premerlo per evitare di fare danni concreti.
'Fammi vedere che sai fare' cominciò, anche se non sapevo fare nulla.
Non avevo intenzione di deluderlo, e non lo avrei fatto di nuovo. Decisi di seguire l'istinto. Mi voltai verso le sagome, puntando la pistola contro una di loro. Indugiavo sul sparare, temevo di non colpire il bersaglio e dirigere il colpo verso il muro.
Alice, puoi farcela.
Premetti il grilletto, ma non ne uscii alcun colpo. Ripetei il gesto altre volte, ma alcun proiettile usciva dall'arma. Ero confusa, mentre Stefano scoppiò in una grossa risata. Non capivo il motivo, anche se avevo una mezza idea su quello che aveva fatto. Mi era mancata quella risata, e non potei non sorridere a quella scena.
'Mi hai davvero dato una pistola senza munizioni?' Chiesi, mentre si riprendeva da quel momento divertente.
'La tua faccia era stupenda' rispose, ridendo ancora.
Beh si, sei stupida.
Non mi offesi per quella frase, anzi, mi era piaciuto quel complimento, anche se era detto in tono ironico.
Prese la calibro e tolse quella che doveva essere la cartuccia, notando che non era presente nulla. Estrasse dei proiettili dalla tasca e li mise li, per poi riporlo nell'arma.
'Sei uno stronzo' sorrisi, quando mi diede nuovamente l'oggetto.
'Lo so, ma ammetti che ti piaccio anche così' disse, vantandosi di quella sua qualità.
'A dirla tutta, mi piaci in tutto' dissi, senza alcun cenno di timidezza.
Ero stanca di tenermi tutto dentro. Se avessi dovuto dirgli la verità, gliel'avrei detta senza esitazione. Forse, mi era servito tutto quel tempo per poter riflettere meglio sul nostro rapporto e, magari, cercare di migliorarlo. Ma non volevo migliorarlo, mi piaceva così e, anche se era ancora arrabbiato con me, Stefano ci teneva a quello che eravamo. Definirci fidanzati era una parola grossa, di solito era il ragazzo a chiedere alla ragazza di mettersi insieme a lui, ma il moro non lo avrebbe mai fatto. Era già tanto se aveva rivelato i suoi sentimenti, figuriamoci se mi avesse fatto anche quella richiesta. Se un giorno me la facesse, non esiterei a dirgli di sì.
'Ehi bella addormentata, vedi di concentrarti sul serio adesso' mi risvegliò da quello strano pensiero, indicando le sagome d'uomo davanti a me.
Puntai nuovamente la pistola contro una di esse, ma ancora una volta esitavo nel sparare. Non capivo il motivo, però non riuscivo a concentrarmi, specialmente se Stefano mi osservava, ed ero troppo presa da come mi aveva chiamata.
Mio dio, ti ucciderei.
'Ti dò un consiglio' disse il moro.
'Pensa ad una persona che odi in particolare, e pensa che si trovi al posto di quella sagoma' concluse.
Era un ottimo consiglio, sapevo anche a chi pensare. Nella mia mente, la sagoma prese le sembianze di Angela, con il suo sguardo glaciale e il suo sorrisetto malizioso. Premetti il grilletto e sentii il rumore dello sparo che passò da un orecchio all'altro. Avevo davvero premuto, ero riuscita a sparare ed ero fiera di me stessa, per una volta. Angela sparì e ritornai a vedere quella sagoma, non capendo dove avevo colpito, dato gli innumerevoli spari su questo.
'Non pensavo fossi già così allenata' disse Stefano, sbalordito dalla scena che aveva visto.
'Quale parte ho colpito?'
'La spalla. Certo, con un colpo del genere la romperesti a chiunque, però cerca di beccare anche altre zone' mi consigliò.
Tentai di nuovo, ma lui notava che puntavo sempre in quella zona, e non riuscivo a beccare altro.
'Aspetta' disse.
Venne dietro di me, allungando le sue braccia sulle mie e pugnalando la pistola, sopra le mie mani. Quel tocco così ravvicinato era quello che volevo e, forse, lo voleva anche lui.
'Un po' più a sinistra, altrimenti potresti mandare il colpo nel vuoto' spiegò, premendo il grilletto sul mio dito, successivamente.
Mi fece colpire il petto, la zona più debole di ognuno di noi. Se una persona venisse colpita in quella parte, sarebbe già morta. Peccato che avevo provato un dolore interno in quella zona, e non fu dovuto a uno sparo, ma al ragazzo che, in quel momento, mi stava aiutando a difendermi.

Ci allenammo per un altro po', fino a quando non fummo esausti. Vidi il suo modo di sparare ed era perfetto, nemmeno un colpo al muro e centrava sempre tutte le zone del corpo, anche le più impensabili. Uscimmo dal garage e andammo dentro casa sua velocemente, dato che non voleva essere notato.
Non volevo chiederlo, ma dovevo per forza farlo.
'Mi accompagneresti a casa?' Domandai.
Il suo sguardo era strano, non capivo se fosse arrabbiato per il fatto che volevo andarmene oppure non sapevo per quale altra ragione.
'Tu rimani qui, con me' rispose, in tono serio.
'Guarda che se ti dò fastidio..'
'Non mi dai fastidio, voglio che tu stia qui. Non voglio fare altre cazzate' disse, convincendomi a restare con lui.
'Senti, a proposito di cazzate..' Cominciai, sedendomi sul divano, come fece anche lui poco dopo.
'Dimmi' mi incitò, anche se ero indecisa su quello da dire.
Alice, lo stai facendo per lui. Fatti coraggio e digli quello che hai da dire.
'Ehm, è difficile per me da dire..' Cominciai, anche se non era l'inizio che mi aspettavo.
Forza, non sei una debole, anche se lo sei stata per molto tempo.
'Mi..mi dispiace, Stefano. Era nelle mie intenzioni dirti quella cosa dello sconosciuto, davvero, solo che non sapevo come introdurre l'argomento. Dovevi sapere tutto, per filo e per segno, solo che..' Fui interrotta dal un suo gesto.
Prese le mie mani tra le sue, dandomi quel meraviglioso sorriso rassicurante e confortante che solo lui sapeva dare.
'Sono io quello che deve scusarsi. L'ho presa troppo male, e ti ho trattato molto peggio di quello che volevo. Mi sentivo tradito, mi sentivo come se non fossi importante per te quando tu, per me, sei tutto' disse, con occhi luccicanti.
'So che la colpa è mia, però mi hai detto che sono inutile, ricordi?' Ribadii, anche se non volevo che tutto ricadesse su di lui, ma le parole pesanti le aveva dette, non potevo dimenticarle.
'Non ero in me, ero accecato dalla rabbia'
'Stavi per picchiarmi, Stefano. Avevi detto che non ti azzarderesti a toccare una donna' e arrivai al punto.
La cosa che mi sbalordii fu il fatto che me le avrebbe date, se non mi fossi difesa e se non ci fosse stato anche Salvatore ad aiutarmi.
'Ma tu non sei come le altre. Sei coraggiosa, forte, con tanto da dare ma che nessuno apprezza. Sapevo che ti saresti difesa da quel colpo, una parte di me ne era certo' concluse, dato che sentimmo il suono del campanello.
Andò ad aprire ed era impalato, davanti alla vista di un ragazzo. Andai da loro, e potei notare meglio chi era.
Certo, quella era l'ultima persona che voleva vedere.
'Forse ho sbagliato indirizzo' disse Lorenzo, ma Stefano lesse quello che c'era scritto sul biglietto, sopra il cartone di pizza.
'Non hai sbagliato, pizzaiolo' continuò Stefano, trattenendo una risata per il ruolo che stava svolgendo il ragazzo.
Dato il loro rapporto, il moro odiava Lorenzo e, vederlo in quello stato, era ancora più divertente.
Presi la scatola di cartone, dato che entrambi erano intenti ad osservarsi. Il pizzaiolo era spaventato da quello sguardo, mentre quello del moro era sempre più freddo.
'Quanto ti devo?' Chiesi, staccando i loro sguardi e concentrandosi su di me.
'Che stai dicendo? La pizza la pago io, tu non devi preoccuparti di nulla' disse Stefano, stupito dalla mia frase.
'No ehm.. Tranquilli, non fa nulla. Ho altre pizze da consegnare, prenderò altri soldi quindi..' Intervenne Lorenzo, sempre più agitato.
'Okkei' rispose Stefano, scrollando le spalle e chiudendo la porta in faccia al ragazzo.
'Avrei pagato io, non c'erano problemi' dissi, facendo la finta offesa.
'Non dovevi pagare nulla, hai già fatto abbastanza per me' disse, stampandomi un bacio sulle labbra.
Scossi il capo e cominciammo a mangiare. Forse era l'effetto della sera, oppure veramente stava cercando di passare sopra a quella storia.

'Sbaglio o non mangiavi da tempo?' Chiese, mentre buttava lo scatolone vuoto.
In effetti, mangiavo quello che trovavo in casa, e andare a fare la spesa non era una delle cose di cui avevo bisogno.
'Più o meno' ero sincera, non potevo dire che non mangiavo, perché non era vero.
Stranamente sbadigliai, stiracchiandomi, una volta alzata dalla sedia.
'Forse, passare tutta la giornata a sparare, mi ha sfinita' riflettei a voce alta.
Non sarei voluta andarmene da casa sua, però veramente ero stanca.
'Beh, puoi metterti una mia felpa, sono sicuro che coprirebbe gran parte del tuo corpo senza che tu ti vergogna' disse, voltandosi verso di me.
Ma che stava dicendo?
'Vuoi dire che..' Non riuscii a continuare, dato che mi interruppe subito.
'Dormirò sul divano, o sulla poltrona, vedrò quale è più comodo' continuò.
Volevo dire qualcosa, ma non trovavo il coraggio.
Vuoi davvero farlo dormire su un divano, con tutto quel freddo?
'Cosa dici? No, posso dormirci io li' dissi, indicando il divano.
Beh, non intendevo proprio questo, però hai fatto una cosa abbastanza giusta.
'Non devi azzardarti a dormire lì sopra, non chiuderesti occhio'
'Nemmeno tu' gli feci notare.
'Beh, possiamo dormire insieme' propose, anche se non sapevo cosa fare.
Come non sai cosa fare? Andiamo, in fondo è quello che vuoi.
'Se vuoi, ovviamente' aggiunse.
In realtà, lo voleva eccome. E, in effetti, il mio subconscio aveva ragione.
Come sempre, d'altronde.
'Per me è perfetto' affermai, annuendo.
'Vieni' mi incitò, seguendolo.
Entrammo in una stanza, che pensai fosse quella in cui dormiva. C'era un letto piuttosto grande, le solite pistole sugli scaffali, una poltrona e una scrivania con sopra un computer e dei fogli, molti fogli. Era una semplice stanza, parete bianca come il pavimento. Era bello il fatto che desiderasse soltanto cose semplici, ed era semplicemente perfetto.
'Provati questa' disse, prendendo in mano una felpa grigia.
La presi e stavo per uscire dalla stanza, quando lui mi fermò, prendendomi per il polso. Non stava stringendo la presa, era soltanto per prestargli attenzione.
'Dove vai?' Chiese, quasi preoccupato.
'In bagno' sorrisi per la sua preoccupazione.
'Non sai dove è' mi fece riflettere, e aveva ragione.
'Spogliati qui' disse, prendendo la sua roba e andando in un'altra stanza, lasciandomi libertà.
Capiva il mio imbarazzo, ed era un altro dei tanti motivi per amarlo. Cominciai a togliermi gli indumenti, rimanendo in intimo. Indossai la sua felpa, e mi arrivava poco sopra al ginocchio. Non capivo perché fosse così grande: o ero molto bassa in confronto a lui, ed era vero, oppure ero molto più magra di lui, e anche quello era esatto. Quando tornò, era in boxer e con una maglietta a mezza maniche addosso. Nonostante il freddo, riusciva a stare in quelle condizioni, anche se in casa, con l'aria che tirava per le finestre aperte, si stava piuttosto bene. Mi squadrò da capo a piedi, rivolgendomi il suo sguardo.
'Sei molto più magra di quanto pensassi' disse, dato che non si aspettava che la felpa fosse così enorme.
'E non pensavo che resistessi così tanto al freddo' rivelai, notando di nuovo il suo abbigliamento.
'Così, sotto le coperte, non moriremo di caldo' disse, andandosi a posizionare proprio nel posto che aveva indicato.
Accese la luce della lampada, e io spensi quella della stanza. Alzai il lenzuolo e mi misi anche io li sotto, rivolta a lui di spalle. Eravamo piuttosto comodi, il letto era grande abbastanza per poterci stare entrambi.
Stefano cinse il mio addome con un braccio, avvicinandosi di più a me.
'Ti ricordi di stamattina?' Mi sussurrò, come se qualcuno potesse ascoltarci.
'Si' dissi, ricordando specialmente della frase che mi aveva detto.
'Beh, non erano parole buttate al vento' disse.
Voltai il capo verso di lui, trovando i nostri volti poco distanti l'uno dall'altra.
'Ti amo, ragazza testarda' rivelò, dandomi un bacio che, non era a stampo, ma era molto più dettagliato.
Sapere che quelle parole erano vere era una sensazione fantastica, potevo finalmente dire di essere innamorata della persona giusta.
'Ti amo, ragazzo scontroso' riuscii a dire, quando le nostre labbra si staccarono.
Sorrise e mi diede un altro bacio, spegnendo la luce della lampada poco dopo.
'Buonanotte, Alice' disse, quando mi voltai completamente verso di lui, appoggiando la mia testa sul suo petto.
'Buonanotte, Stefano' dissi nuovamente.
Sentivo il suo cuore battere irregolarmente. Era riuscito a superare quella paura che si chiamava amore, era riuscito ad innamorarsi di una persona, di me. E, finalmente, potevo confermare uno dei miei dubbi.
Ero innamorata di Stefano Lepri, e nulla mi avrebbe impedito di amarlo.

ANGOLO AUTRICE:
Ehi people, sono viva. No, non mi hanno dissotterrato e poi tirato fuori, è che non ho avuto tempo per aggiornare. Beh, in realtà guardavo i video dei miei amori e TW, ma dettagli. QUASI QUATTROMILA VIEWS E PIÙ DI TRECENTO STELLINE ACCESE. Siete la vita, giuro.
Spero di essermi fatta perdonare per l'assenza con questo capitolo, che farà molto felici la maggior parte di voi, eheh.
Cercherò di pubblicare di più, giuro.
Alla prossima belle persone!

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