dear psychologist 【 frerard 】

By hxpelessaromantic

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« sai, succede molto spesso che il paziente si innamori del suo psicologo, è un meccanismo involontario. ma c... More

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By hxpelessaromantic

«Ciao tesoro.» lo salutò la madre mentre lui apriva la portiera e si accomodava sul sedile posteriore. La donna continuò a guardarlo tramite lo specchietto retrovisore, accennando un sorriso.
«Cosa succede?» Frank andò subito al sodo. Non gli piaceva rimanere all'oscuro dei fatti, e dato che sua madre si trovava lì, qualcosa doveva essere successo.
«Oh no, nulla.» replicò lei con un sorrisetto, suscitando la frustrazione del ragazzo. Linda accese la macchina e, tamburellando con le dita sul volante, fece manovra e si inserì nella corsia, facendo il percorso che Frank riconobbe essere quello di casa.
Be', di certo la sua guida era molto più confortevole di quella di Gerard.
Sua madre continuava a canticchiare un motivetto allegro lungo la sua strada, aumentando inconsciamente la rabbia di Frank: insomma, da dove cavolo le veniva tutta quella allegria?

Quando finalmente sua madre parcheggiò la macchina di fronte casa, per poco Frank non scattò di fuori come una molla. Si trattenne e scese con cautela dalla macchina, onde evitare strane congetture della donna. Tuttavia, girandosi verso la casa, non poté fare a meno di notare la luce emanata da una finestra. Il ragazzo assunse un'espressione corrucciata, pensando alla causa di quella dimenticanza. Vide la madre incamminarsi verso la porta e così la imitò, seguendo i suoi passi nel piccolo vialetto d'accesso; la donna si fermò per estrarre le chiavi di casa e far scattare la serratura con un solo giro, per poi farsi da parte come se invitasse Frank ad entrare per primo.
Non gli piaceva quel giochetto, proprio per niente, ma decise comunque di darle corda ed entrare. Appena dentro al corridoio gli parve di sentire dei rumori, come di una conversazione. Mano a mano che si avvicinava al salotto aumentava la luminosità e questo chiacchiericcio aumentava di volume ed assumeva un non so che di robotico; probabilmente era qualcosa ascoltato alla radio. Frank prese un respiro ed entrò nel salotto, guardandosi intorno e smettendo di respirare per la sorpresa quando lo vide.

Era seduto sul divano, con ancora la divisa militare indosso e la placchetta al collo; la testa, rasata al taglio dei militari, si muoveva leggermente seguendo il ritmo della musica della radio. Tuttavia, quando si accorse di Frank, il suo viso si illuminò in un sorriso e si sporse per girare la manopola della radio, così spegnendola.
«Allora? Vieni qua a salutare il tuo vecchio.» esordì Anthony Iero, alzandosi dal divano ed andando incontro al figlio.
Frank era sinceramente sorpreso e, sotto sotto, anche contento. Quando la madre gli aveva parlato di un possibile ritorno del padre di certo non si sarebbe aspettato qualcosa di così tempestivo.
Gli piaceva suo padre, in fondo. Condividevano la passione per la musica (Anthony nel tempo libero suonava pure) e nonostante avessero passato non molto tempo insieme, a causa del lavoro di lui, i ricordi che aveva erano quasi tutti felici.

«Allora, come va?» chiese, dando una pacca sulla spalla del figlio. Tanto per la forza militare del padre quanto per la sua esile corporatura Frank vacillò al tocco. Anthony soffocò una risata. «Ne hai ancora di strada da fare.»
«Non mi aspettavo di rivederti così presto.» ammise, seguendo il padre in corridoio.
«Piccola sorpresa; dato che l'ultima missione è andata particolarmente bene, mi hanno concesso un paio di giorni supplementari.» l'uomo aprì la porta della cucina, rivelando che il regno di Linda era crollato nel caos: il lavandino era stracolmo di posate e pentolini, sui fornelli c'era un'orgia di utensili e varie macchie di cibo imbrattavano quasi tutte le superfici.
Sembrava come la stravagante vendetta di un frigorifero particolarmente irascibile.
A spiccare era il tavolo tirato a lucido, con tanto di (orribile) servizio da tè di porcellana, un gentile regalo della zia Lauren, ed una crostata di mirtilli ancora tiepida; sua madre stava versando del caffè nelle tazzine, e sorrise al vedere i due varcare la soglia. Anche la ditata di crema sulla sua guancia sorrise.
«Non mi avevano avvertito che avrei dovuto affrontare una sommossa pure a casa.» commentò il padre, sedendosi a tavola. Incline all'ironia, era solito fare delle battute del genere. Frank segretamente desiderava averla ereditata, pensava che il sarcasmo fosse un ottimo sistema di difesa.
«Oh, sta zitto.» gli rispose affettuosamente Linda, mettendo nei loro piatti una fetta di crostata. Prima ancora di assaggiarla Frank prese la sua tazzina (dipinta a mano con oche con buffi cappelli di paglia in testa) e soffiò sul suo caffè.

Il clima era disteso, calmo. Sebbene Frank non si sentisse a suo agio coi suoi coetanei, nei pochi momenti in cui il suo nido familiare era al completo la situazione cambiava.

«Cosa è successo qui in cucina?» domandò nuovamente il padre. La donna si pulì le labbra dalla pasta frolla col tovagliolo.
«Ho invitato un paio di amici a cena, per festeggiare il tuo ritorno.» il suo sguardo si spostò su Frank. «Verranno anche i Bryar. Ti ricordi di Bob, tesoro?»
L'ultima volta che lo aveva visto era una domenica, e Frank aveva su per giù quattordici anni. Bob, di qualche anno più grande (e anche di qualche centimetro), era alle prese con la patente: nel tentativo di fare retromarcia col furgoncino del padre aveva sfasciato mezza carrozzeria, e anche la cassetta della posta dei vicini, che ora era graziosamente sbilenca.
Frank annuì.
«Sono anni che non vedi Bob, eravate anche legati.» continuò imperterrita sua madre, perdendosi nei ricordi.
«Perché hai invitato a cena mezzo quartiere?» replicò suo padre accigliato.
«Perché me lo hai chiesto tu, di preparare un bel ritorno.» rispose lei, per poi bere un sorso di caffè. Frank guardò i suoi genitori bisticciare, senza essere seriamente arrabbiati l'uno con l'altra. La sua attenzione fu però ben presto catturata dal pasticcio in forno, che stava assumendo un tutt'altro che invitante color marroncino sbruciacchiato.

«Ora su, andate via. Ho ancora molto lavoro da fare.» sbuffò Linda dopo qualche minuto di conversazione, alzandosi in piedi ed invitando con un cenno i due ad uscire. Frank prese il piattino con la crostata e seguì il padre in salotto; quello lo sottopose ad una specie di interrogatorio sui tre mesi in cui non si erano visti (l'ultima volta era stata a fine giugno), e Frank rispose, cercando di eludere argomenti quali amici o vita sociale in generale. Parlare della vita all'interno delle quattro mura scolastiche gli ricordava la chiacchierata con Gerard di qualche giorno prima, e non gli andava di ripensarci; come se Gerard non ronzasse in mezzo ai suoi neuroni già abbastanza.

Una caterva di domande e parecchi piatti portati sul tavolo dopo Frank stava nel salotto, affogato in una poltrona con un bicchiere di birra in mano: nel salotto le luci erano soffuse, e sul lungo tavolo erano esposti vari manicaretti, tra cui il pasticcio semi-bruciato. Visto che sarebbe dovuta essere una specie di incontro elegante sua madre (stretta in un abito da cocktail indaco) aveva insistito affinché si mettesse qualcosa di decente. Tuttavia nel suo armadio non aveva granché di adatto all'occasione, per cui il massimo che era riuscito ad ottenere era una camicia bianca e l'unico paio di jeans neri senza nessuno strappo. Gli invitati, tutti adulti e tutti eleganti come aveva previsto Linda, stavano in piedi a chiacchierare, sovrastando la leggera melodia della musica proveniente dallo stereo nell'angolo. Non aveva toccato cibo, giusto qualche patatina i cui resti giacevano nel piattino di plastica accanto a lui. Bevve un altro sorso di birra.
Inutile dire che si stava annoiando a morte.
Era arrivato ormai al terzo bicchiere quando gli ultimi invitati della serata fecero il loro ingresso, suscitando dei calorosi saluti da tutti gli invitati. Frank roteò gli occhi e non si girò nemmeno a vedere chi fosse, affondato com'era nel morbido cantuccio di buio, velluto e gommapiuma.

«Frank! Ma dai, sei davvero tu?» una voce lo richiamò dal suo torpore, e malvolentieri alzò la testa per delineare i tratti del suo interlocutore. Capelli biondi, un accenno di barba, corporatura sviluppata ed occhi azzurri. «Sono Bob, ti ricordi?»
Un'ombra di un ragazzo alle prese con un camioncino sfasciato attraversò la sua memoria. Sorrise leggermente e si alzò.
«Sì, mi ricordo.»
«Cavolo, che cosa deprimente.» commentò il biondo, scrutando la stanza. «Scrocchiamo qualcosa ed andiamo in camera tua.»
Frank fece spallucce mentre l'altro si avviava al tavolo e abilmente si faceva scivolare in tasca due bottiglie di birra, intrattenendo gli adulti con alcuni saluti cordiali per poi allontanarsi tenendo ben saldo un piatto stracarico di tartine in mano.
«Forza, fammi strada.» gli mormorò, uscendo in fretta dal salotto. «Prima che mi fermino per sequestro di buffet.»
Frank soffocò una risata ed attraversò il corridoio, diretto verso la sua camera.
Non che fosse nulla di particolare: camera sua era un po' piccolina, e gli unici pezzi d'arredamento erano una libreria, la scrivania, l'armadio ed il letto, che si trovava su una piattaforma leggermente rialzata. Appesi alle pareti scure si trovavano poster, parecchie mensole ed una struttura dove poteva mettere Pansy, la sua chitarra.
«Bella camera.» disse Bob, tirando la poltrona a sacco da un angolo vicino al letto e buttandocisi sopra. Frank accese la luce e si sedette sul letto, prendendo la birra che il biondo gli aveva aperto.

Parlarono per un tempo indefinito. Bob gli raccontò un sacco di cose, facendo una specie di cronaca dei tre anni e mezzo in cui non si erano visti: in quel momento era fidanzato con una ragazza e stava studiando musica a livello professionale. Quando gli disse che aveva suonato qualcosa per il film de La Sirenetta, per chissà quale arcano motivo Frank si era immaginato Bob con una buffa coda di pesce ed un reggiseno a conchiglia.
Frank si limitava ad ascoltare, annuire ed ingurgitare birra e tartine. Ogni tanto interagiva, ma solamente quando gli venivano poste domande dirette, tipo quelle sui nuovi tatuaggi che gli ricoprivano il corpo.
«Sei un buon interlocutore.» fece Bob, quando l'orologio accanto al letto di Frank lampeggiava le 01:47. Possibile che sotto non avessero ancora finito? «Ora starò in zona per un po'. Ogni tanto ci dobbiamo risentire.»
Fu interrotto da un ronzio, e con una smorfia di fastidio tirò fuori il telefono dalla tasca, socchiudendo gli occhi quando la luce dello schermo gli inondò il viso. Però abbozzò un sorriso e si affrettò a digitare qualcosa.
«Domani vado a trovare un mio vecchio amico. Hai da fare?»

Non ho mai da fare, non ho uno straccio di vita sociale pensò Frank, ma riuscì a fermarsi prima di dare voce a quei quattro neuroni che aveva in testa, inibiti dall'alcol.
«No, nulla.»
«Dai, allora vieni anche tu. È un po' strambo, ma è simpatico.» concluse, alzandosi e spazzolandosi le briciole degli antipasti via dalla maglia blu. «Ti passo a prendere domani alle otto, va bene?»
Frank annuì e bevve un altro sorso di birra, finendosi la bottiglia. Salutò il ragazzo che usciva dalla sua camera e mandò un messaggio a sua madre dicendo che stava andando a dormire, poi si ficcò sotto le coperte.
Il week-end stava diventando improvvisamente interessante.

Quando la mattina dopo sua madre lo svegliò, sfoggiando due occhiaie violacee, Frank si sentiva come il pendolo di una campana, continuamente percosso contro il metallo. Sbadigliando, Linda gli disse che Bob lo stava aspettando di sotto, così malvolentieri si alzò ed andò in bagno, buttandosi dell'acqua fredda in faccia prima di riuscire a dissipare la confusione. Avrebbe voluto fosse facile quanto pulire la condensa del fiato sullo specchio.
Tornò in camera e prese un paio di jeans e una felpa, per poi correre di sotto rischiando due volte di sfracellarsi sui gradini causa sonno. Forse la notte avrebbe anche potuto dormire invece di porsi domande filosofiche ed alquanto stupide sulla vita a manetta.
Quanto a Bob, stava comodamente accasciato sul divano, mangiando quello che sembrava un pezzo di tacchino arrosto della sera precedente.
«Nottataccia?» lo salutò, sventolando una coscia di pollo e schizzando sugo da tutte le parti. Frank schivò un paio di schizzi e si avvicinò barcollando alla porta di casa.
«Che ore sono?» chiese, tentando senza successo di reprimere uno sbadiglio. Sentì l'altro ridere.
«Le otto e un quarto, stupido sonnambulo nano.» il biondo lo raggiunse alla porta e gli scompigliò tutti i capelli. «Andiamo, l'appuntamento è in un bar qua vicino.»
Frank aprì la porta e fu investito da una folata d'aria fredda tale da fargli rimpiangere il letto. Tuttavia Bob stava già camminando, per cui si fece coraggio e si buttò nella mattinata di fine settembre.

Il tragitto da casa al bar fu estremamente silenzioso. L'unico rumore capace di permeare la frizzante aria mattutina era il lieve poggiarsi delle suole sul marciapiede in cemento, ogni tanto interrotto dal rombare di qualche sporadica macchina guidata da un pendolare. Frank camminò tutto il tempo con le mani infilate nella tasca della felpa, godendosi il silenzio che ormai raramente sentiva attorno a sé; si fermò solo quando Bob gli toccò la spalla, rievocandolo dal suo automatismo. Erano arrivati alla piccola zona commerciale della città.
«Di qua, vieni.» il biondo lo trascinò dentro un bar dalle pareti di un tenue bordeaux coi tavoli in legno. Frank lo avrebbe quasi scambiato per una tavola calda, se non fosse stato per l'insegna che recava a caratteri cubitali la scritta Cafè. Faceva più caldo là dentro ed i due si sedettero ad un tavolo vicino alla finestra, dove appena seduto Frank si ricordò di essere digiuno dalla birra della sera prima. Come a dargli man forte il suo stomaco brontolò, facendolo diventare rosso quasi quanto le pareti.
«Tranquillo, ti ho preso qualcosa per colazione.» sogghignò Bob, da cui si stava allontanando una cameriera bionda intenta a scribacchiare qualcosa sul taccuino. Il biondo fece oscillare lo sguardo dall'orologio alla porta.
Ben presto la cameriera portò un vassoio con su tre caffè ed un piatto di pasticcini assortiti; Frank afferrò rapidamente una tazzina e se la mise davanti, ponderando un biscotto con della marmellata arancione sul piatto davanti a lui. Immersolo in parte nel caffè, vide con la coda dell'occhio Bob osservare la porta, alla ricerca di quel fantomatico amico; gli venne in mente che non sapeva neanche il suo nome, quindi alzò la testa per domandargli qualcosa nel momento in cui il biondo scattava in piedi, volgendo lo sguardo alla porta.
Frank si girò in quella direzione, e non appena riconobbe l'unica persona che camminava verso di loro, ebbe un tuffo al cuore.

Disordinati capelli rossi, giacca nera di pelle, sorrisetto sghembo e jeans perfettamente attillati. Anche se non lo aveva nella sua vita da molto, lo avrebbe riconosciuto ovunque.
«Forze Gerard, muovi quel tuo bel culo e vieni qua.» esordì Bob, andandogli incontro e abbracciandolo come se fosse un soldato al rimpatrio.
Sentito quel nome, Frank non ebbe più dubbi, anzi sentì il suo battito cardiaco aumentare in proporzione all'assurdità della situazione.
Fottute coincidenze.

«Allora, chi è questa persona che mi volevi far conoscere?» chiese Gerard allegramente, sedendosi di fronte al moro e prendendo un piccolo occhio di bue. Dopo poco, il suo sguardo si spostò su di lui. «Oh, ciao Frank. Non sapevo ci fossi pure tu.»
«Vi conoscete?» domandò Bob sbigottito, ed anche stranamente eccitato dalla cosa. «Wow, queste sì che sono coincidenze! Quindi Frank che già conosce Gerard lui è Gerard, Gerard che già conosce Frank lui è Frank.» esordì, buttando un braccio attorno alle spalle dell'altro, facendogli andare di traverso qualche briciola ridacchiando.
Quell'immagine -Bob con un braccio attorno le spalle di Gerard e lui sorridente- fece scattare qualcosa nella mente di Frank, il quale cominciò ad arrovellarsi nel tentativo di catturare quel fuggitivo pensiero: improvvisamente, si ricordò della foto vista il giorno addietro. Con i capelli di Gerard di una tonalità differente, nessun accenno di barba sul viso di Bob ed uno sfondo diverso, sarebbe stato un viaggio nel tempo.
«Voi eravate compagni di classe?» domandò, facendo scattare il viso sorridente di Gerard verso di lui. Frank avvertì l'impulso di voler affogare nella felpa.
«Ci hai beccati Iero.» disse, prendendo la tazza di caffè tra le dita pallide e sottili e bevendone un sorso, avvolgendo la porcellana con le labbra rosee.
Frank si maledì ed abbassò lo sguardo, ordinando ai suoi ormoni di mettersi a cuccia.

Bob e Gerard parlarono del più e del meno, tanto dei tempi presenti quanto del passato. Nella loro conversazione sull'ultimo anno di liceo (Il periodo più bello, hai tutte le opportunità sotto mano ed il mondo è tuo aveva detto il biondo, con disappunto di Frank) uscì fuori anche un nome: una certa Lindsey, che Frank immaginò essere la ragazza con la gonna scozzese nella foto. Tuttavia non continuò a prestare attenzione, la sua testa era come al solito un'accozzaglia di pensieri il cui caos sovrastava di certo quello del piccolo bar. Si limitò ad inzuppare biscotti eccessivamente dolci nel caffè, osservando Gerard e cercando di non sembrare troppo un maniaco. Dopo quella che sembrava essere stata un'ora, il telefono di Bob squillò; ne uscì fuori che doveva urgentemente andare via, in quanto al padre non partiva la macchina.
«Insomma, non è che si fidi tanto di me dopo quella volta...» commentò contrariato, infilandosi la giacca.
«Perché, che hai fatto?» si intromise Gerard. Bob fece un cenno con la testa verso il moro come a dire chiedilo a lui. Ben presto, anche lo sguardo smeraldino del rosso si spostò su Frank.
«Ha abusato di violenza su una povera ed indifesa cassetta delle lettere.» rispose sarcastico. Gerard soffocò una risata.
«Non essere così melodrammatico. Diciamo più che la ho investita.» ribatté l'altro. «Oh insomma, non importa. Ci sentiamo.» lo salutò, correndo di fuori.
«Abusato di violenza, eh?» chiese dopo qualche attimo di silenzio Gerard guardandolo, ancora divertito. Frank fece spallucce, lasciando che il sarcasmo costruisse un'invisibile armatura attorno a lui.
«Era ridotta veramente male.»
«Bella trovata.» Gerard si alzò tenendo le mani sul tavolo, senza smettere di fissare il viso di Frank. «Ti va di passare in studio? Vorrei farti delle domande, dato che ieri non sei potuto venire.»
Il cuore di Frank sussultò per la sorpresa -e anche un po' per la paura-, ma si sforzò di rimanere impassibile ed annuì. Bob aveva pagato in anticipo, per cui poterono uscire senza problemi. Fortunatamente Gerard era venuto senza macchina, per cui lungo quel tragitto silenzioso e macchiato dalle prime foglie di ruggine autunnale, Frank poté tenere ben salda la colazione, mentre con i battiti del suo cuore fece più fatica.

«Allora, oggi ti ho notato più sereno del solito. È successo qualcosa di bello, immagino.» disse Gerard quando ormai erano nel suo piccolo studio. Era più disordinato della volta precedente, ma sembrava stranamente più accogliente. «Vorresti dirmi cosa?»
Frank annuì. «È tornato mio padre.»
«Da un viaggio?»
«No, da lavoro.» ed ecco ancora il graffiare della penna sui fogli. Frank sospirò e si lasciò affondare nella poltrona, portando lo sguardo dalla mano del rosso al soffitto. Non che fosse interessante, ma non voleva continuare a fissare Gerard e passare per uno stalker. Quello continuò a fargli domande -il lavoro del padre, durata delle frequenti assenze, ricordi positivi e negativi che aveva su di lui- per un bel pezzo. A Frank dispiacque meno di ciò che pensava; non ne parlava mai con qualcuno, giusto a Mikey aveva accennato qualcosa, ed aveva paura che rivelare certi dettagli sarebbe stato come privarsi d'un pezzo di sé. E invece no, la situazione era persino confortante.

«Mi stavo chiedendo» concluse Gerard, chiudendo il taccuino. L'orologio al muro segnava le undici appena passate, e Frank ormai a gambe incrociate si divertiva a tracciare con le dita stupidi scarabocchi sul velluto. «Ti sembrerà strano che i nostri incontri durino poco.»
A dire la verità il moro non ci aveva mai riflettuto sopra, ma annuì comunque.
«La verità è che credo che un approccio, per così dire graduale, sia la scelta migliore con un ragazzo come te.»
Chissà cosa intendeva con come te.
«Però non lo so, ho anche io i miei dubbi.» continuò quello, facendosi improvvisamente serio. Il repentino cambio di Gerard catturò l'attenzione dell'altro, che spostò lo sguardo dal velluto al tavolo. Gerard lo stava guardando senza osservarlo, il viso poggiato sulle mani ed i gomiti ben saldi sul legno. «È la prima volta che ho a che fare con qualcuno, professionalmente intendo, ed ho paura di sbagliare. Comunque in teoria qui abbiamo finito, per cui puoi anche andare.»
Frank non capiva, non riusciva a capire ciò che gli voleva dire Gerard. Percepiva che sotto c'era qualcosa, ma non riusciva ad afferrarlo, per cui si alzò e mormorò un ciao, per poi girarsi verso la porta e venire fermato da uno strattone per il braccio. Il rosso gli aveva afferrato la mano e lo stava guardando, causando delle scosse di brividi in tutto il suo corpo.
«Vedi Frank, nel periodo dell'adolescenza e della prima maturità l'essere umano impara a vivere. Tu in questo momento stai imparando a vivere. Ma anche io in questo momento sto imparando, sono alle prime armi esattamente come te. Vorrei solo che lo capissi.» rimasero a guardarsi negli occhi per qualche secondo, poi Gerard lasciò la presa sulla mano di Frank. Non sapeva cosa fare, ma l'altro gli fece un sorriso amareggiato e con la testa gli indicò la porta, per cui titubante si avvicinò alla lastra di legno ed uscì.

Cosa stava cercando di dirgli Gerard?
E poi perché proprio a lui? Perché indirizzare un messaggio così ben criptato proprio a lui?
Anzi, perché proprio nasconderlo?
Rifletteva sulle ultime frasi che gli aveva rivolto prima di uscire, e se voltava appena la testa poteva vederlo attraverso il vetro opaco intarsiato nella porta; si era girato di spalle e guardava la finestra, così che i suoi capelli sembrassero una leggera chiazza rossa, offuscata dal vetro che li separava.
Una porta sbatté accanto a lui e Frank girandosi vide la ragazza coi capelli mori, che aveva visto la prima volta in cui era venuto allo studio, incamminarsi verso l'uscita mentre sbrogliava gli auricolari. Anche quella si girò, ed incontrò lo sguardo di Frank. Gli sorrise, accennando un saluto con la mano.
Prima che la ragazza potesse sparire oltre la porta, inghiottita in quel settembre ormai pressoché concluso, Frank ricambiò il sorriso.

A/n
Capitolo dedicato a life_for_books e creepy_angel povere martiri degli esami. Capitolo che tra l'altro è stato un parto. Insomma, le idee le ho tutte ma non riesco ad organizzarle, il che è piuttosto frustrante.
Aneeway, siamo in vacanza, ye. Mi sento felicia

A chi interessasse, ho pubblicato due Frerard OS, una è un'umoristica (Butta giù le trecce!) e l'alta una robetta un po' più seria (Jump.); inzomma, se volete passate a leggere c:
All the love //hxpelessaromantic

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